robert Fico
(Ansa)
Dal Mondo

Le ragioni politiche dell'attentato a Robert Fico

Anti europeista, filo russo, accusato di corruzione dai suoi avversari in un paese dove la tensione politica è alle stelle

«Robo, vieni qui». Pochi attimi e poi Robert Fico crolla a terra, raggiunto da almeno tre proiettili all’addome, al petto e a un braccio. Il primo ministro della Slovacchia oggi è stato vittima di un vero e proprio tentativo di omicidio, avvenuto dopo una riunione del governo, davanti a un centro culturale della città di Handlova, mentre salutava la folla. L’autore del gesto, che si nascondeva tra la gente radunata davanti all’edificio dove stava parlando il leader slovacco, è stato fermato da alcuni passanti e poi arrestato dalle forze di sicurezza.

Trasferito in un ospedale di Bratislava in elicottero, Fico rischia la vita. Ma è tuta l’Europa invero a rischiare. Perché il gesto – fosse anche opera di un folle – è «un attacco contro l’idea stessa della democrazia», come ha sottolineato la premier estone Kaja Kallas e come ha ribadito la presidente slovacca Zuzana Caputova.

Come a dire che l’intera Europa è sotto attacco. E, se non lo si fosse capito, lo è a partire almeno dal 24 febbraio 2022, quando cioè la Russia di Vladimir Putin ha portato la guerra nel cuore del Vecchio Continente. Da allora, non soltanto la politica e l’economia continentale hanno avuto dei contraccolpi significativi, ma anche il concetto stesso di sicurezza è cambiato.

Non solo in Ucraina. Ne sanno qualcosa anche in Georgia, dove il Parlamento ha appena approvato in via definitiva il controverso progetto di legge sull'influenza straniera, ispirato a una norma adottata dal regime di Putin in Russia nel 2012, che da allora si è trasformata in un efficace strumento di repressione del dissenso e di limitazione delle libertà democratiche, come stanno già sperimentando i georgiani, che hanno dato vita a manifestazioni di dissenso prontamente stroncate dalle forze di polizia.

Ne sanno qualcosa anche la Bielorussia, la Moldavia e i Paesi Baltici. E presto le conseguenze della destabilizzazione organizzata o comunque stimolata dal Cremlino potrebbe coinvolgere numerosi altri Paesi. Proprio come la Slovacchia. Perché di questo si tratta: Mosca punta a creare il caos in Europa e, a quanto pare, ci sta riuscendo.

Lo aveva gridato dalle sue colonne il Financial Times di Londra che, citando fonti di diverse agenzie di intelligence europee, ammoniva: «La Russia ha già iniziato a preparare più attivamente in segreto attentati dinamitardi e attacchi incendiari per danneggiare le infrastrutture sul territorio europeo, direttamente e indirettamente, senza preoccuparsi apparentemente di causare vittime civili». I servizi segreti, insomma, avevano avvisato da tempo i rispettivi governi sulle nuove minacce russe, scoperte sulla base di informazioni e indagini ancora in corso.

Che l’attentato a Robert Fico possa essere legato a quest’opera di destabilizzazione non è possibile affermarlo. Anche perché vale la pena qui ricordare come Fico sia il meno europeista fra i premier slovacchi degli ultimi anni e il suo partito Smer sia noto, tra le altre cose, per le posizioni filorusse, similmente all’Ungheria di Viktor Orban.

Fico si era impegnato a porre immediatamente fine al sostegno militare slovacco all'Ucraina e aveva promesso di bloccare le ambizioni dell'Ucraina in ambito NATO, mettendo in discussione l'appoggio convinto della Slovacchia all’Ucraina. Prima delle ultime elezioni, Robert Fico non si era neanche sforzato di nascondere le sue simpatie per il Cremlino e anzi aveva accusato «nazisti e fascisti ucraini» di aver provocato l'invasione di Vladimir Putin, ripetendo la stessa narrativa che il presidente russo aveva usato per giustificare la sua invasione.

Per meglio comprendere il contesto politico in cui è immerso Robert Fico, si può citare il libro di Alberto Simoni, non a caso intitolato proprio Ribelli d’Europa: «Nel 2006 la vittoria dello Smer portò al potere Fico: fece un governo con la formazione di estrema destra capitanata da Jan Slota. Fra ungheresi e slovacchi di Komarno scoppiarono violenze e ci furono diversi episodi di razzismo; tanto che nel 2009 in un resort a Bled, in Slovenia, si ritrovarono i ministri degli Esteri ungherese e slovacco e si parlò di “individuare una soluzione diplomatica” alla crisi. Locuzione piuttosto forte per dire che c’era un grosso problema di convivenza, ma perfettamente allineata con quanto succedeva. Qualche settimana prima una bomba era stata ritrovata dinanzi all’istituto culturale slovacco a Budapest mentre una molotov era scoppiata fuori dall’ambasciata. Lo scambio a colpi di leggi fra Fico e Orbán sulla doppia cittadinanza è stato poi il culmine di una tensione che, secondo il politologo Filip Sebok, si è allentata dal 2012 poiché alla “paura dell’ungherese, gli slovacchi hanno sostituito quella per il migrante”. E su questo la vicinanza di posizioni con Budapest è stata immediata».

Sin qui i precedenti. Fico peraltro era stato premier già dal 2006 al 2010, poi dal 2012 al 2018, e infine è tornato presidente del consiglio lo scorso 25 ottobre 2023. Era stato costretto a dimettersi nel marzo 2018 dopo settimane di proteste di massa per l'omicidio del giornalista investigativo Jan Kuciak e della sua fidanzata, Martina Kušnírová. Kuciak aveva denunciato la corruzione dell'élite del Paese, comprese persone direttamente collegate a Fico e al suo partito Smer.

A temperare le sue pulsioni illiberali e l’influenza russa – lo Smer è una formazione socialdemocratica da lui stesso fondata nel 1999, dove confluiscono nazionalismi di sinistra e conservatorismo socialista – era stata nel 2019 l’elezione a presidente della Repubblica di un’europeista convinta come Zuzana Caputova, un chiaro segnale su dove gli slovacchi volevano condurre il Paese.

Da quel momento in poi, qualcosa è cambiato in Slovacchia, e lo scontro tra le due anime – quella filorussa e quella europeista – si è accentuato. Fico e il suo partito non solo sono stati coinvolti in diversi scandali e accusati ripetutamente di corruzione; ma hanno portato a compimento la riforma del Codice Penale, che ha abbreviato i termini di prescrizione per i reati più gravi – da 20 a 5 anni – e abolito l’ufficio del procuratore speciale che si occupava di reati come quelli relativi alla criminalità organizzata e alla corruzione di alto livello.

A fare da argine alle derive di accentramento del potere sinora era stata la battaglia solitaria di Zuzana Caputova, che fino a quest’oggi ha tenuto dritta la barra della Slovacchia evitando che il Paese potesse deragliare. Ma a giugno la presidente Caputova verrà sostituita dal candidato sostenuto dal governo filorusso di Fico, Peter Pellegrini, uscito vincitore dal ballottaggio delle presidenziali dello scorso aprile. Dunque, il momento è delicatissimo.

Pellegrini sostiene con la sua presidenza «non sarà modificata la direzione futura della politica estera» della Slovacchia e ha assicurato: «Garantisco che continueremo ad essere un membro forte dell’Ue» e della Nato. Ciò nonostante, la Slovacchia – che ha inviato i propri rappresentanti a Mosca per la quinta cerimonia d’insediamento del presidente Vladimir Putin (solo Ungheria e Francia hanno fatto altrettanto) – è certamente un pezzo importante della scacchiera su cui conta Putin per battere i suoi antagonisti in Europa uno dopo l’altro.

L’anima politica della Slovacchia odierna si divide perciò tra una componente europeista e filo-Ucraina (di cui Pellegrini avrebbe potuto anche essere premier in passato) con progressisti, cristiano-democratici e i liberali; e un’alleanza con le due forze filo-russe, i socialdemocratici di Smer e la destra estrema del Partito Nazionale Slovacco che alla fine hanno prevalso, portando Pellegrini alla presidenza della Repubblica. Un ruolo, quello del presidente, che così come in Italia ha poteri effettivi limitati sulla presidenza del consiglio, ma che diventa cruciale in casi di leggi liberticide e rischi per lo Stato di diritto: oltre a ratificare i Trattati internazionali, infatti, il presidente nomina i giudici delle Corti più importanti, può porre il veto sulle leggi approvate dal Parlamento e può concedere l’amnistia.

Che l’attentato a Fico si innesti in uno scontro di potere che oppone presidente e premier? Che l’attentato sia un monito al presidente Pellgrini? Forse questa è solo fantapolitica. Di certo, conviene sperare che si sia trattato davvero del gesto di un folle. E che Robert Fico possa presto rispondere direttamente circa le tante domande senza risposta sulla reale posizione del governo della Slovacchia rispetto al contesto internazionale.

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Luciano Tirinnanzi