Con la ricostruzione dell’Ucraina ci guadagnano le emissioni svizzere
In grosso ritardo sul taglio delle proprie emissioni Berna sigla un accordo per usare a proprio vantaggio i crediti di Co2 delle infrastrutture più ecologiche che saranno costruite una volta finita la guerra
Per una volta la Svizzera non arriva puntuale, anzi, sugli obiettivi climatici che si è data è in abbondante ritardo. Il Governo di Berna ha stabilito di dimezzare le proprie emissioni di Co2 entro il 2030, poco meno di quanto dovranno fare nello stesso periodo i Paesi Ue che hanno l’obiettivo di ridurle del 55%. Visto però il ritardo sulla tabella di marcia e l’impossibilità di raggiungere l’obiettivo abbattendo effettivamente il proprio inquinamento atmosferico, la Svizzera ha deciso di ricorrere a un artificio reso possibile dagli accordi internazionali, grazie al quale usufruirà di progetti verdi realizzati altrove per compensare le sue emissioni di Co2. Tra questi, anche la ricostruzione di un Paese distrutto dalla guerra come l’Ucraina andrà a vantaggio della Co2 svizzera.
L’accordo di Parigi consente infatti la “cooperazione” tra diversi Paesi al fine di ridurre le emissioni. Un principio che di fatto ha innescato un mercato dei crediti di Co2 per cui i Paesi che non riescono a raggiungere i propri obiettivi ambientali investono in progetti sostenibili in altre nazioni. In questo modo la Co2 risparmiata con quei progetti viene riscattata dal Paese che ha investito il denaro, che può così dire di aver tagliato le emissioni anche se in realtà le proprie fabbriche inquinano esattamente quanto prima. Approfittando così dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi la Svizzera ha siglato intese con diversi Paesi, tra cui uno con l’Ucraina nel bel mezzo della guerra, in modo da approfittare dalla ricostruzione post bellica per raggiungere i propri obiettivi climatici.
Il Ministro per la Protezione ambientale e le risorse naturali dell’Ucraina, Ruslan Strilets, ha firmato le 13 pagine di accordo il 4 luglio scorso a Lugano insieme a Simonetta Sommaruga, Ministro dell’Ambiente del Governo elvetico. Una volta finita la guerra la Svizzera investirà milioni di franchi (l’accordo non pone un tetto) nelle infrastrutture, nei trasporti e nei nuovi impianti energetici ucraini. Kiev ringrazia e nei prossimi anni, speriamo il prima possibile, il governo ucraino costruirà con i soldi svizzeri sistemi di trasporto e centrali elettriche non inquinanti cedendo in cambio il risparmio in inquinamento che quegli impianti genereranno.
All’apparenza un accordo in cui vincono tutti: progetti ecosostenibili, ricostruzione e risparmio di emissioni ma dietro si cela un tema più spinoso. Gli esperti di clima e le associazioni ambientaliste fanno notare infatti come i progetti finanziati all’estero dai Paesi più ricchi sarebbero stati in molti casi portati a termine anche senza i soldi delle nazioni più inquinanti in cerca di crediti di Co2. Inoltre questi accordi fanno si che Paesi più industrializzati beneficino di progetti non inquinanti realizzati altrove, senza avviare tagli strutturali nelle proprie emissioni. E se pensate che l’impatto sul clima della Svizzera, che nell’immaginario collettivo associamo a montagne incontaminate e riciclo efficiente dei rifiuti, sia ininfluente vi sbagliate di grosso.
Per via dell’altissimo livello di consumi e di importazioni dall’estero i cittadini svizzeri hanno un’impronta di carbonio (l’impatto che ciascuno di noi ha sull’inquinamento del pianeta) esorbitante. Un report di McKinsey del luglio scorso ha calcolato come per il peso della sua economia sul sistema globale la Svizzera sia responsabile del 2-3% delle emissioni inquinanti mondiali, praticamente quanto fanno Stati ben più grandi come Giappone, Indonesia e Brasile. E nonostante le temperature in Svizzera stiano salendo al doppio della velocità rispetto alla media globale e i suoi ghiacciai siano ad altissimo rischio, i cittadini elvetici hanno comunque bocciato con un referendum un pacchetto di misure proposte dal Governo che mirava a penalizzare i soggetti più inquinanti. “Sarà difficile ora raggiungere gli obbiettivi climatici”, commentò proprio Sommaruga all’indomani di quel referendum.
Aderire agli accordi internazionali per poi comprare all’estero quote di Co2 risparmiata non aiuta a salvare il pianeta nei tempi che la scienza indica come necessari se parallelamente non cambia il proprio sistema industriale. Una lezione che i Paesi più ricchi dovrebbero dare per primi.