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(Ansa)
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Robert Fico è un nuovo passo sulla strada dell'abbandono della Ue all'Ucraina

La vittoria alle elezioni in Slovacchia del filo-russo aumenta il coro di quelli che stanno prendendo le distanze da Zelensky

Robert Fico non è un parvenue della politica slovacca ma è abbastanza spregiudicato per cambiare idea in nome della convenienza. Con il suo “le armi all’Ucraina non sono una priorità” ha convinto il popolo della piccola repubblica slovacca a votare per lui. Ma, sebbene ci sia già chi (tra i filo-russi) esulta nella convinzione che il fronte pro Kiev inizi a incrinarsi, una simile speranza non tiene conto né di Fico stesso e delle sue nostalgie socialiste, né del suo tatticismo e capriole politiche.

La questione infatti non è afferente alla politica estera ma meramente una questione di blandizie nei confronti degli alleati con cui dovrà convivere per mantenersi al governo.

Fico è già stato più volte premier e sa che all’economia slovacca serve inevitabilmente un rapporto con Mosca, visto che la sua economia vive di export e che la Russia è un partner ineludibile perché quello di maggior peso: come per l’automotive, punta di diamante della produzione industriale di Bratislava, ma non soltanto. Complice la pandemia, i risultati eccellenti in campo economico della Slovacchia si sono infatti raffreddati e così adesso c’è da mantenere un equilibrio e le ottime performance pre Covid. Ma, diversamente dall’Ungheria di Orban (l’altro paese Ue più generoso con Mosca dall’inizio della guerra), l’atteggiamento slovacco e di Robert Fico in prima persona non passa per l’ideologia o per una volontà di schierarsi pro o contro Kiev, ma meramente e più realisticamente per la bilancia economica e il pil.

Stessa cosa che può dirsi per la Polonia, ad esempio: la volontà di non spedire più armi a Kiev è funzionale a far ripartire l’economia interna e alimentare il Pil per fare di Varsavia l’esercito più forte della NATO in Europa, il che - come insegna l’economia di guerra - vale la ripresa e molti punti di Pil.Dunque, il Cremlino non ha un alleato in più in Europa e di certo non ha incrinato il fronte europeo.

A dimostrarlo è la presenza in Ucraina proprio oggi del Vice Presidente del Consiglio Ue e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale: Antonio Tajani è a Kyiv per una sessione informale del Consiglio Affari Esteri dell’Unione europea con il presidente ucraino Zelensky e l’Alto Rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. Insieme stanno studiando un confronto tra i 27 Ministri e le autorità ucraine sulle modalità con cui proseguire il sostegno dell’Unione a Kyiv, anche nell’ottica della ricostruzione post-bellica.Questo è il vero punto dell’intera questione del sostegno a Kiev: la difesa della libertà, certo; la condanna delle guerre e degli appetiti imperialistici, anche; la difesa dei diritti dell’uomo, ovvio. Ma soprattutto, il grande anzi enorme business della ricostruzione dell’Ucraina, dove l’intera Unione Europea è coinvolta in primaLinea e che vale una parte molto importante del Pil comunitario.

Dunque, di là dalla retorica e dalle giuste motivazioni per cui Bruxelles e Londra ancor prima che Washington difendono (e difenderanno sino alla fine) le ragioni di Kiev, c’è anche un interesse cruciale per lo sviluppo economico dei 27 e del Regno Unito che spinge i governi europei a far fronte comune. Con buona pace di equilibristi politici navigati e camaleontici come Robert Fico e Viktor Orban. Quando la guerra sarà finita - e deve finire entro un anno, nelle speranze e nei calcoli pressoché di tutte le parti interessate - questo aspetto e questi calcoli economici saranno fin troppo evidenti.

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Luciano Tirinnanzi