Russia-Cina, l’asse da spezzare
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Russia-Cina, l’asse da spezzare

Per gli americani quella costituita da Putin e Xi è un’allenza «diabolica», fatta di pericolosi accordi in campo militare, economico e strategico. Romperla è vitale, Trump l’ha capito

A gridarlo ai quattro venti per primo, quasi con rabbia, è stato Alexander Lukashenko: «Le manovre di Donald Trump sull’Ucraina hanno un motivo nascosto», ha detto il baffuto dittatore della Bielorussia a fine febbraio, «perché quel che vuole, in realtà, è solo dividere la Russia dalla Cina. Ma noi non glielo permetteremo». Al potere dal 1994, legato a Vladimir Putin da un’intesa a 360 gradi, Lukashenko è noto per la sua chiarezza, spesso priva di freni diplomatici. Quel che dice, insomma, va ascoltato. In questo caso, le sue parole andavano lette con particolare attenzione perché Lukashenko sa bene quello di cui parla: negli ultimi anni s’è avvicinato molto anche a Xi Jinping, quindi è in stretto contatto con entrambi i poli di quello che Washington definisce «The New Axis of Evil», cioè il nuovo Asse del male: la «Diabolica alleanza» tra Mosca e Pechino.

Oggi, meno di un mese dopo, gran parte degli analisti internazionali danno ragione a Lukashenko: le ultime mosse della Casa Bianca, che tanto clamore sollevano nel resto dell’Occidente e che per noi europei sono sbagliate, ingiustificabili, inaccettabili, dal punto di vista di Washington hanno una spiegazione logica. Perché l’obiettivo di Trump è strappare la Russia dall’abbraccio con la Cina, un abbraccio che rischia di essere mortale per gli Stati Uniti.

Solo quel motivo strategico e cruciale, in effetti, può spiegare fino in fondo il brusco allontanamento di Trump da Volodymyr Zelensky e l’indegno trattamento riservato al premier ucraino nella Sala Ovale, lo scorso 28 febbraio, così come la sconcertante decisione di abbandonare l’Ucraina al suo destino, privandola di colpo degli aiuti militari e d’intelligence ed esponendola agli attacchi russi. Con queste mosse, Trump cerca - disperatamente - di convincere Putin a fidarsi di lui. Lo stesso motivo è alla base degli scontri politici e commerciali con l’Unione europea, e delle minacce di uscire dalla Nato o di ritirarsi dal Vecchio continente. Gli analisti sono arrivati perfino a dare un titolo a questa strategia: «Kissinger Reverse», cioè «Kissinger al contrario». Perché il risultato cui mira il presidente americano è di fatto rovesciato rispetto a quello riuscito tra il 1970 e il 1972 a Henry Kissinger, segretario di Stato di Richard Nixon. Oltre mezzo secolo fa, con le sue missioni a Pechino, Kissinger aveva avvicinato la Cina di Mao Zedong agli Stati Uniti, sospingendola a schierarsi politicamente e militarmente contro l’Unione Sovietica. Quella mossa, un ventennio dopo, avrebbe contribuito alla caduta dell’Urss e alla vittoria americana nella Guerra Fredda. Oggi gli Stati Uniti di Trump sono letteralmente terrorizzati dall’asse Mosca-Pechino: Russia e Cina non sono mai state tanto vicine. La loro «Diabolica alleanza» nasce da un patto firmato tre anni fa e passato semi-inosservato.

Era il 4 febbraio 2022, mancavano 20 giorni esatti all’invasione dell’Ucraina, e quel maledetto venerdì Putin era volato a Pechino - ufficialmente - perché Xi lo aveva invitato all’inaugurazione delle Olimpiadi invernali cinesi. I due dittatori, però, avevano trascorso parte della giornata a un tavolo dello Zhongnanhai, l’imponente palazzo rosso sede del governo e del Partito comunista cinese. E se n’erano alzati con un accordo daltitolo altisonante: «Una Nuova Era nelle relazioni internazionali». Un’intesa che ha profondamente mutato le relazioni tra i due regimi, ma anche gli equilibri mondiali. Nella «dichiarazione finale congiunta» di 13 pagine, la sola parte dell’accordo resa pubblica, Russia e Cina condannavano con forza «il tentativo degli Stati Uniti di minare la stabilità strategica mondiale e il loro «intento di mantenere l’assoluto vantaggio militare». E proprio per contrastare Washington, Pechino e Mosca si aprivano a «un’era di nuove relazioni (…) superiori a tutte le alleanze politiche e militari dopo la Guerra Fredda», avviando scambi in ogni campo: economico, energetico, tecnologico, militare... Alexey Muraviev, docente all’Università di Perth e tra i più accreditati esperti di strategia militare, sottolinea che è solo grazie all’intesa del 4 febbraio 2022 se Putin «già nei giorni successivi, ha potuto sottrarre decine di migliaia di soldati dai distretti orientali russi e dalla Siberia, al confine con la Cina, per trasferirli sul fronte ucraino».Ma ancor più grave è quanto accaduto nei tre anni seguenti. Perché è vero che dal 2022 Pechino non ha mai ufficialmente approvato l’invasione russa dell’Ucraina, però ha garantito a Mosca un fondamentale supporto diplomatico, economico e militare. L’agenzia Reuters stima che l’interscambio tra i due Stati sia aumentato dai 147 miliardi di dollari del 2021 a 244 miliardi nel 2024. Xi, di fatto, ha consentito a Putin di resistere all’embargo sui prodotti energetici decretato dall’Unione europea. Le vendite russe di gas alla Cina si sono impennate grazie al completamento del gasdotto Power of Siberia: l’export è triplicato dai 10 miliardi di metri cubi del 2021 ai 31 del 2024. E nel 2025 potrebbe arrivare a 38, se entrerà in funzione il Power of Siberia 2. Pechino insomma ha in parte compensato il crollo delle vendite russe di gas all’Europa - scese a zero dai 155 miliardi di metri cubi del 2021 - ottenendo per di più energia a basso prezzo: la Cina oggi paga il gas russo 150-200 dollari per mille metri cubi, metà di quanto li pagava l’Europa prima dell’invasione dell’Ucraina.

A preoccupare il Pentagono, però, è soprattutto il campo militare, dove russi e cinesi ormai collaborano strettamente: dal novembre 2024 aerei e navi dei due Stati pattugliano assieme l’Artico. Ma la cooperazione è più intensa ancora nei sistemi d’armamento. Lo Strategic Studies Institute dell’esercito degli Stati Uniti stima che dal 2022 «l’export cinese di prodotti essenziali per l’industria bellica in Russia sia più che triplicato». In cambio, la Russia ha fornito a Pechino una tecnologia militare - dai sistemi missilistici di difesa anti-aerea S-400, tra i più efficaci al mondo, al caccia «fantasma» Sukhoi Su-35 - che «ha drasticamente potenziato il controllo cinese sui cieli nell’Indo-Pacifico, raddoppiando le difficoltà che gli Stati Uniti affronterebbero se dovessero difendere Taiwan». Lo sviluppo congiunto s’è esteso ai missili balistici, e Mosca da pochi mesi dispone di un nuovo gigantesco missile ipersonico Oreshnik (sei testate nucleari, 13 mila chilometri orari di velocità: potrebbe colpire Roma in 13 minuti) la cui tecnologia interessa a Pechino. Russia e Cina sono impegnate anche nello sviluppo congiunto di sottomarini nucleari, un’arma fondamentale per Pechino che nel 2023 ha già superato gli Stati Uniti nel numero di navi da guerra: oggi sono 370 contro 296. La cooperazione, insomma, crea pericoli mai visti per gli Stati Uniti. «Le vendite di armi russe e la cooperazione militare», si legge in un report dello US Army War College del novembre 2024, «hanno potenziato le capacità d’attacco della Cina, aggravando le sfide per la Difesa statunitense, specialmente in vista di un potenziale conflitto nell’Indo-Pacifico». E lo Strategic Studies Institute teme che la Diabolica alleanza obblighi il Pentagono a un prossimo futuro di scelte difficili: «In base all’attuale struttura delle forze armate americane», sostiene un rapporto del dicembre scorso, «oggi sarebbe impossibile affrontare allo stesso tempo due guerre a tutto campo in Europa e nel Pacifico».Il generale Carlo Jean, docente di studi strategici alla Luiss di Roma, aggiunge che il legame con Mosca «serve a Pechino anche per bilanciare il differenziale tra i rispettivi deterrenti nucleari». La Cina dispone attualmente di circa 500 testate, contro le 3.700 americane, ma progetta di raddoppiarle in dieci anni. Nel frattempo, l’arsenale nucleare russo, forte di 4.380 testate, «riduce indirettamente il rischio rappresentato dalla superiorità statunitense». È tutto chiuso in questi elementi il motivo delle ciniche scelte di Donald Trump: sa bene che l’avversario con cui gli Stati Uniti dovranno confrontarsi nei prossimi anni è la Cina, la cui aggressività nel quadrante Pacifico continua a crescere, e che non sono più permesse «distrazioni» altrove.

Ma riuscirà mai il presidente americano a mettere un cuneo nella Diabolica alleanza? Non gli sarà facile, anche se può giocare sulla simpatia personale di Putin e soprattutto sul suo timore, alla fine, di venire fagocitato dal troppo potente abbraccio della Cina di Xi. I problemi, per Trump, sono molti. La rivista americana Diplomat sostiene che «decenni di sanzioni, e l’espansione della Nato a Est» hanno reso Mosca «scettica sulle intenzioni di Washington» e ritiene «improbabile che la Russia metta a rischio una relazione comunque vantaggiosa con la Cina per un’alleanza incerta con una potenza che storicamente le è ostile». L’Economist sottolinea poi che «la competizione per la supremazia globale durerà ben oltre i quattro anni di Trump». Il settimanale inglese intende che Putin sa perfettamente che alla Casa Bianca nel 2029, dopo il presidente repubblicano, potrebbe approdarne uno con idee molto diverse. È proprio così: dopo tutto, la possibilità di cambiare governo è uno dei grandi pregi della democrazia. Ma è un difetto agli occhi di qualsiasi dittatore.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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