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Dnipro, Ucraina: effetti di un raid russo. Nel riquadro Andrey Kortunov. (Getty Images)
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Lettera da Mosca: «Da che parte cominciare per fermare il bagno di sangue»

L'analisi di un autorevole esponente della società civile russa sui passi da seguire per mettere fine alla guerra in Ucraina.

Mentre era in corso l'intervista di Panorama con l'ambasciatore Umberto Vattani, il direttore generale del Consiglio per gli Affari internazionali (Riac) di Mosca, Andrey Kortunov, gli mandava le sue riflessioni sui passi da compiere per mettere fine al conflitto. Il testo, scritto da un autorevole membro della società civile russa, è una disamina della situazione sul campo, pacata e priva di toni propagandistici, seguita da un dettagliato elenco di proposte operative. La pubblichiamo, per dimostrare che anche a Mosca c'è chi vuole il dialogo. E per ribadire la necessità di un ruolo attivo della diplomazia europea.

Il compito principale oggi è fermare lo spargimento di sangue che sta avvenendo. Finché questo non sarà fatto, è molto difficile avviare una conversazione seria su qualsiasi altra questione - sul futuro delle relazioni russo-ucraine, sul posto dell'Ucraina in Europa, sull'architettura della sicurezza europea nel suo complesso.

La perdita quotidiana di vite umane, e specialmente le vittime civili, non può essere giustificata da nessuna considerazione tattica o strategica. La continuazione del conflitto porta inevitabilmente a sempre più amarezza fra le parti in guerra; più vittime e più distruzione ci allontanano da una soluzione pacifica.

Ci sono già state due tornate di colloqui russo-ucraini, ma finora è stato possibile accordarsi solo sui corridoi umanitari, e questi accordi non hanno ancora in pratica funzionato. Questo non è sorprendente, dato che le posizioni delle parti sui termini della soluzione sono radicalmente diverse.

Mosca insiste ancora che l'Ucraina abbandoni i piani di adesione alla Nato e interrompa la cooperazione tecnico-militare con l'Alleanza Nord Atlantica. Inoltre, il Cremlino insiste sulla «smilitarizzazione» e «denazificazione» dell'Ucraina che, di fatto, implica una ristrutturazione radicale dell'attuale Stato ucraino.

Da parte sua, l'Ucraina pone come condizione preliminare per la tregua il ritiro completo delle truppe russe dal suo territorio e il rifiuto di Mosca di riconoscere diplomaticamente la Dpr (Repubblica popolare di Donetsk, ndr) e Lpr (la Repubblica popolare di Lugansk, ndr). Inoltre, Kiev si aspetta che il conflitto finisca con il pagamento di adeguate riparazioni per ripristinare le infrastrutture distrutte e la restituzione della Crimea all'Ucraina.

In altre parole, ciascuna delle parti conta sulla propria vittoria finale e sulla sconfitta del nemico, non lasciandogli alcuna opportunità per una sorta di «salvataggio della faccia». Allo stesso tempo, ciascuna delle parti, apparentemente, parte dal presupposto che il tempo lavora per suo conto. La Russia ripone le sue principali speranze nel suo evidente vantaggio nella sfera militare; l'iniziativa strategica rimane nelle mani di Mosca, e secondo le dichiarazioni della leadership russa, l'operazione speciale militare viene attuata secondo il piano originale.

L'Ucraina conta sulla sua capacità di rispondere con una resistenza ostinata e su un ampio sostegno della comunità internazionale, soprattutto dei paesi della Nato. Kiev spera nell'effetto delle sanzioni senza precedenti imposte dall'Occidente contro Mosca, in una diminuzione del sostegno pubblico alle azioni del Cremlino all'interno della Russia in caso di prolungamento del conflitto e in un aumento delle perdite delle forze armate russe.

L'Occidente, come l'Ucraina, non vuole fare alcuna concessione a Mosca, poiché ritiene che qualsiasi concessione in questa situazione sarebbe una forma di «appeasement dell'aggressore» e rafforzerebbe solo la posizione di Vladimir Putin nell'arena internazionale e all'interno del Paese.

Ma l'Occidente non è pronto a farsi coinvolgere nel conflitto come partecipante diretto (per esempio, creando una «no-fly zone» sul territorio dell'Ucraina), perché teme un'escalation del conflitto a livello di una guerra europea con possibile uso di armi nucleari. Mettere all'angolo una superpotenza nucleare è estremamente rischioso e quindi irresponsabile.

Questa è la situazione al momento, pertanto il confronto militare continua. La capacità di fermare questo confronto dipende dalla volontà delle parti di abbandonare le loro richieste massimaliste e cercare di raggiungere un compromesso. I parametri approssimativi di tale compromesso potrebbero essere i seguenti.

L'Ucraina potrebbe tornare a discutere del proprio status neutrale in cambio dell'accelerazione dei processi di integrazione nell'Unione Europea (un buon esempio in questo senso è dato dalla vicina Moldavia, sotto il presidente Maia Sandu). Le richieste russe di «smilitarizzazione» e «denazificazione» dell'Ucraina non possono essere pienamente soddisfatte senza una prolungata occupazione di tutto il territorio ucraino da parte delle truppe russe, il che sembra irrealistico. Questo vale soprattutto per i sistemi missilistici nucleari in grado di creare una minaccia strategica per la sicurezza della Russia.

La Russia dovrebbe ritirare le sue truppe dal territorio dell'Ucraina e smorzare la tensione lungo il confine russo-ucraino. Allo stesso tempo, la Russia dovrebbe rifuggire dall'idea di un completo azzeramento della sovranità ucraina. Un tale azzeramento, nell'attuale stato d'animo della società ucraina, è semplicemente al di là del potere della Russia, se non si presuppone un'occupazione a lungo termine dell'intero territorio dell'Ucraina.

Probabilmente non è nell'interesse a lungo termine della Russia rimuovere Volodymyr Zelensky dalla scena politica, poiché quest'ultimo rimane il leader legittimo del Paese e gode di ampio sostegno internazionale. Nessun regime alternativo stabilito a Kiev riceverà il riconoscimento internazionale ed è probabile che sia soggetto a una dura pressione politica ed economica.

L'Occidente potrebbe considerare di ridurre la pressione delle sanzioni su Mosca in caso di una de-escalation del conflitto. È chiaro che l'allentamento delle sanzioni è un processo complesso e lento, ma anche la possibilità di iniziare questo processo di per sé potrebbe creare ulteriori incentivi per trovare un compromesso da parte russa.

Allo stesso tempo, è necessario far rivivere il formato Normandia (il gruppo di contatto composto da Germania, Russia, Ucraina e Francia che ha cercato soluzioni per la guerra in Donbass, ndr) in una forma aggiornata, possibilmente con la partecipazione degli Stati Uniti, per discutere il futuro del Donbass.

Un tale compromesso sarà senza dubbio oggetto di aspre critiche sia da parte russa sia da parte ucraina, così come in Occidente. Sarà anche criticato tanto per motivi politici quanto per motivi morali ed etici. È anche chiaro che un tale scambio non risolverà tutte le contraddizioni esistenti tra Mosca e Kiev, non risucchierà via le questioni della ricostruzione postbellica del territorio ucraino e non influirà sui problemi di riconciliazione storica delle società russa e ucraina.

Le narrazioni ufficiali russa e ucraina della storia comune dei due popoli rimarranno incompatibili. Come prima, ci sarà una mancanza di fiducia tra Mosca e Kiev, tra la Russia e l'Occidente, entrambe le parti sospetteranno che l'altra cerchi di violare gli accordi raggiunti. Tutto questo dovrà essere fatto dopo, quando la fase acuta della crisi sarà alle spalle.

Come sapete, molto spesso la politica non è una scelta tra cos'è cattivo e cos'è buono, ma tra cos'è cattivo e cos'è catastrofico. Più il confronto militare continua, più ci troviamo tutti vicini al disastro - i partecipanti alle ostilità da entrambe le parti diventano agguerriti, i vari costi del conflitto crescono, i rischi di escalation aumentano. Più gradini si percorrono in discesa, più difficile sarà ripercorrerli in salita. È molto più facile continuare ancor di più a scendere - fino a quando non ci sarà via d'uscita per nessuna delle parti in conflitto. Tra l'opzione cattiva e quella disastrosa, è sempre meglio scegliere la prima.

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Andrey Kortunov