Taiwan: la tensione resta significativa
Un recente rapporto del Pentagono ha messo in evidenza le possibili linee di azione militare di Pechino contro Taipei
Taiwan: la tensione continua a rivelarsi elevata. Un rapporto diffuso dal Pentagono lo scorso 29 novembre ha evidenziato quelle che gli americani ritengono essere le quattro possibili linee di azione militare della Repubblica popolare cinese contro l’isola.
La prima consisterebbe in un blocco marittimo, accompagnato dal lancio di missili; la seconda prevedrebbe attacchi informatici ai danni delle infrastrutture politiche, economiche e militari taiwanesi, da combinare con il ricorso alle forze speciali; la terza si poggerebbe su una campagna aerea e missilistica; la quarta, infine, implicherebbe un’invasione militare. Più in generale, secondo quanto riferito dalla Cnn, un’invasione dell’isola non risulterebbe imminente per i vertici militare statunitensi ma Washington temerebbe comunque che il Dragone possa “intensificare la pressione diplomatica, economica, politica e militare su Taiwan”.
In tutto questo, le forze militari cinesi dovrebbero completare il proprio processo di modernizzazione entro il 2027, centenario della nascita dell’Esercito popolare di liberazione. Non solo: il documento del Pentagono ha anche sottolineato che, al momento, Pechino disporrebbe di oltre 400 testate nucleari e che potrebbe arrivare a quota 1.500 entro il 2035. È in questo quadro che, venerdì scorso, il Dipartimento della Difesa statunitense ha presentato il suo nuovo bombardiere strategico finalizzato a contrastare il rafforzamento militare cinese: bombardiere che entrerà in servizio attorno al 2027.
Insomma, tra le alte sfere di Washington sta suonando un significativo campanello d’allarme, che mette in evidenza come le relazioni tra Stati Uniti e Cina continuino a rivelarsi particolarmente problematiche. E questo nonostante il recente colloquio (solo parzialmente distensivo) tra Joe Biden e Xi Jinping, avvenuto a margine del G20 di Bali. Sebbene in quell’occasione i due leader avessero criticato l’eventualità del ricorso alle armi nucleari nella crisi ucraina (mettendo di fatto nel mirino Vladimir Putin), la situazione complessiva appare molto più ingarbugliata.
Innanzitutto, nonostante una crescente freddezza nei confronti di Mosca, Xi si è finora ben guardato dal condannare l’invasione russa dell’Ucraina e prosegue di fatto a spalleggiare il Cremlino in sede Onu. In secondo luogo, proprio il dossier taiwanese continua a risultare un nodo rilevante nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina. Ricordiamo infatti che l’isola figura tra i principali produttori di microchip al mondo: un fattore che contribuisce a far aumentare la tensione tra Washington e Pechino. Non è d’altronde un caso che il colosso tecnologico taiwanese Tsmc abbia deciso di investire in stabilimenti in Arizona e Giappone. Lo stesso dossier ambientale (su cui il rappresentante speciale statunitense per il clima, John Kerry, vorrebbe da tempo intavolare una distensione con Pechino) difficilmente potrà portare a un effettivo rasserenamento dei rapporti.
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