Taiwan
(Getty Images)
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Tensione alle stelle tra Taipei e Pechino

L'iperattivismo aereo del Dragone preoccupa l'isola, con il ministro della Difesa taiwanese che ha definito le turbolenze come le "più gravi" nell'arco di quarant'anni.

Resta alta la tensione su Taiwan. Negli ultimi giorni, un totale di ben 145 velivoli da guerra della Repubblica Popolare è entrato nella zona di difesa aerea di Taipei: una mossa evidentemente minacciosa, che ha fortemente incrementato la tensione tra Pechino e Washington.

Se i media statali cinesi hanno assimilato queste manovre a una "parata militare", il Dipartimento di Stato americano ha fermamente condannato la condotta di Pechino. "Gli Stati Uniti sono molto preoccupati per la provocatoria attività militare della Repubblica popolare cinese vicino a Taiwan, che è destabilizzante, rischia di fare calcoli errati e mina la pace e la stabilità regionali. Esortiamo Pechino a cessare la sua pressione e coercizione militare, diplomatica ed economica contro Taiwan", ha tuonato lo scorso 3 ottobre il portavoce di Foggy Bottom, Ned Price. "Se Taiwan dovesse cadere, le conseguenze sarebbero catastrofiche per la pace regionale e il sistema di alleanze democratiche", ha invece recentemente scritto su Foreign Affairs la presidente taiwanese, Tsai Ing-wen. Il ministro della Difesa dell'isola, Chiu Kuo-cheng, ha inoltre paventato un'invasione cinese "su vasta scala" entro il 2025 e ha definito le turbolenze in corso con la Repubblica Popolare come le "più gravi" in oltre quarant'anni. La questione dovrebbe essere, tra l'altro, al centro dei colloqui attualmente in corso a Zurigo tra il Consigliere per la sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan, e il Direttore dell'ufficio della Commissione centrale degli Affari Esteri cinese, Yang Jiechi.

Insomma, il quadro complessivo appare significativamente complicato. E, in tutto questo, secondo quanto riferito da Bloomberg News, dovrebbe anche saltare l'incontro che avrebbe dovuto tenersi tra Joe Biden e Xi Jinping in occasione del summit del G20 in programma a Roma nel mese corrente. In un siffatto quadro, lo scorso 5 ottobre, il Global Times (organo del Partito comunista cinese) ha pubblicato un editoriale piuttosto aggressivo contro Taipei e, nello specifico, contro il Partito Progressista Democratico attualmente al potere nell'isola. "Non c'è forza al mondo la cui volontà di 'difendere Taiwan' sia più forte della volontà della Cina di combattere la secessione e raggiungere la riunificazione. Per essere precisi, sono completamente incomparabili", si legge nell'articolo. In particolare, Pechino sta da settimane sostenendo che l'impegno americano a favore di Taiwan si rivelerà debole e limitato: una narrazione che il Dragone sta propagandando, facendo leva sulla recente evacuazione delle truppe statunitensi dall'Afghanistan.

Washington, dal canto suo, non sembra però intenzionata a un passo indietro nel suo confronto con la Repubblica Popolare. È del resto in quest'ottica che va principalmente letta la recente creazione dell'AUKUS: la nuova partnership tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia nel settore della Difesa e con focus – guarda caso – sull'Indo-Pacifico. Una mossa, questa, che ha significativamente irritato i cinesi nelle scorse settimane. Non è d'altronde escluso che le attività aeree di Pechino siano in parte dettate proprio da tale nervosismo: tutto questo, senza dimenticare che la Cina punti ad alimentare le turbolenze con Taipei anche per "coprire" alcune difficoltà di politica interna (a partire dalla crisi energetica). Intanto l'isola resta con il fiato sospeso: The Guardian ha infatti riferito che il 50% dei taiwanesi si dice preoccupato per l'eventualità di un conflitto nei prossimi mesi.

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Stefano Graziosi