Chiesa ortodossa ucraina
Onufrij, metropolita della Chiesa ortodossa ucraina che fa riferimento a Mosca (Getty Images).
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Il travaglio della Chiesa ortodossa ucraina, a rischio di un altro scisma

Intervista alla professoressa Simona Merlo, che spiega che cosa sta succedendo alla Chiesa di Kiev.

«La presa di posizione contro la guerra e l'espressione di un disaccordo nei confronti dei pronunciamenti di Kirill a sostegno dell'avventura bellica non comporta il distacco dal punto di vista canonico dal Patriarcato di Mosca». La professoressa Simona Merlo, associato di Storia contemporanea all'Università Roma 3, si occupa da sempre della Chiesa ortodossa di Kiev, sulla quale ha anche scritto il dottorato. Attualmente sta lavorando a una monografia sull'Ucraina. In quest'intervista a Panorama spiega che cosa sta succedendo nella Chiesa ortodossa ucraina.

Professoressa, è vero che all'interno della Chiesa ortodossa che dipende da Mosca è già in corso uno scisma?

«Per la Chiesa che si riferisce a Mosca non parlerei di scisma. Parlerei più di spinte che la attraversano, non da oggi ma almeno dal 2014. Perché è una Chiesa che si trova da una parte a essere effettivamente con un profilo ucraino, ma al tempo stesso il legame con Mosca è diventato sempre più difficile. E lo è ancor più oggi dopo l'invasione dell'Ucraina. Attualmente una serie di vescovi ha smesso di collaborare il Patriarca Kirill durante la liturgia. Perché nominare il capo della Chiesa all'interno della liturgia nel mondo ortodosso è quello che dà ragione del legame».
In ogni liturgia viene nominato il Patriarca di Mosca?
«Sì, sì. E molti hanno smesso di citarlo nel corso della guerra».
E si ha un'idea di quanti sono?

«Rischio di dare un numero sbagliato. Fino alla scorsa settimana di parlava di 13-14 vescovi, ma credo che il numero sia aumentato. Non so fino a che punto ci sia contezza...».

Vescovi che poi sono seguiti dai singoli preti?

«Sì, sì. Molti preti hanno seguito la scelta dei loro vescovi. E lo stanno facendo anche molti preti di eparchie, dove i vescovi continuano invece a commemorare il Patriarca Kirill. Creando in tal modo situazioni anomale all'interno delle stesse eparchie, cioè delle stesse diocesi...».

C'è stato anche un appello, vero?

«Ci sono stati diversi appelli. Uno è stato firmato da una serie di preti russi del Patriarcato di Mosca che hanno rigettato il sostegno all'avventura putiniana e hanno chiesto a Kirill di prendere un'altra posizione. Un altro appello è stato promosso da un prete della Chiesa ortodossa ucraina legata a Mosca: un appello piuttosto duro, in cui sostanzialmente si è rivolto alla Pentarchia, cioè a quei Patriarchi che nella tradizione ortodossa vengono riconosciuti come autorevoli perché sono i primi: Antiochia, Gerusalemme, Costantinopoli e Alessandria».

La Chiesa ortodossa, che non ha l'equivalente di un Papa, ha la Pentarchia?

«Sì. E il Patriarca di Costantinopoli è considerato il primus inter pares, quindi ha un primato d'onore».

Considerato tale anche da Mosca?

«In realtà già a partire dal Novecento c'è stato un antagonismo fra Mosca e Costantinopoli per il primato d'onore. E infatti non sono mai riusciti ad arrivare a un Concilio. L'unica volta che ci si era quasi arrivati, con il Concilio di Creta nel 2016, Mosca ha deciso di non partecipare».

Si può dire ancor oggi che il Patriarca di Costantinopoli è il primus inter pares?

«Sì. Lo si può dire, tenendo però presente che è un primato solo formale. Anticamente il governo della cristianità era affidato congiuntamente alle cinque sedi episcopali a cui era riconosciuta autorevolezza per ragioni storiche e spirituali. Oltre a Antiochia, Gerusalemme, Costantinopoli e Alessandria, c'era anche Roma. Poi, dacché c'è stato lo scisma del 1054, Roma è diventata capo della Chiesa cattolica. Ed è rimasta la Pentarchia rappresentata dalle quattro sedi».

Ma perché Costantinopoli è primus inter pares?

«Per il ruolo che l'attuale Istanbul ha rivestito nella storia: era la «seconda Roma» perché qui era stata spostata la capitale dell’impero. Dopo lo scisma era diventata il centro della cristianità ortodossa, con il forte legame all'Impero bizantino. Il discorso di Mosca terza Roma è legato proprio a questo: una volta crollato l'Impero bizantino, nel 1453, Mosca se ne è sentita l'erede. E quindi è Mosca la terza Roma. Già allora non ci fu più un riconoscimento di Costantinopoli. Le radici storiche ma anche di elaborazione culturale e concettuale di questo mito stanno lì, nel crollo dell'Impero bizantino».

Quindi il titolo di primus inter pares oggi è molto discutibile. In termini numerici sono più quelli che seguono Mosca, vero?

«Diciamo che Mosca ha milioni di fedeli. In Turchia fino a qualche anno fa i fedeli del Patriarcato di Costantinopoli erano circa 3.000 e non credo siano aumentati. Poi Costantinopoli ha la giurisdizione su qualche milione di fedeli della diaspora, a cui si sono aggiunti quelli dell'Ucraina, tradizionalmente una Chiesa vivace dal punto di vista delle vocazioni e della vita monastica. Perdere l'Ucraina non vuol dire solo perdere un territorio, ma un tessuto di vita della Chiesa. Oltre che perdere l'origine della Chiesa perché la culla della Rus, cioè del primo Stato degli slavi orientali, è Kiev».

Costantinopoli ha giurisdizione su tutta la diaspora?

«In realtà è divisa: Mosca a sua volta ha incoraggiato una diaspora. Tradizionalmente però quella all'estero fa capo a Costantinopoli».

Dunque c'è sempre stata una rivalità fra Mosca e Costantinopoli. Con il riconoscimento della Chiesa autocefala ucraina, nel gennaio 2019, Costantinopoli ha segnato un punto.

«Un punto importante: il riconoscimento della Chiesa ucraina è stata una riaffermazione del ruolo di Costantinopoli, che ha allargato la sua sfera d'influenza».

A livello politico com'è collocata Costantinopoli? È filo-occidentale?

«Diciamo che ha un’altra visione rispetto a quella del Patriarcato di Mosca. Comunque c'è un discorso da fare sul momento storico in cui è nata la Chiesa ortodossa d'Ucraina. L'idea di Chiesa nazionale ucraina è antica e in parte affonda le radici nel periodo subito dopo la Rivoluzione sovietica: è lì che nacque una delle due chiese che poi si unirono nel 2018. Dopo il 1917, i territori dell'attuale Ucraina che appartenevano all'Impero russo per un breve periodo riuscirono a proclamare l'indipendenza. E venne alla luce la Repubblica popolare ucraina, uno Stato che ebbe vita breve e molto molto travagliata. In quella fase nacque la Chiesa autocefala ucraina, sebbene nessun vescovo vi aderì, nonostante molti fossero ucraini».

Allora chi aderisce?

«Di fatto un gruppo di preti si riunì, proclamò un Concilio e in questo Concilio avvenne una cosa strana dal punto di vista canonico: l'autoconsacrazione. Non essendo presente nessun vescovo a consacrare, questi preti imposero le mani su altri preti, proclamandoli vescovi. E così consacrarono anche il capo della Chiesa».

Quando avvenne questo Concilio?

«Nel 1921, quando l'Ucraina era già bolscevica. Qui c'era un'apparente contraddizione. Perché i bolscevichi, antireligiosi, consentirono un Concilio ucraino in cui si proclamò la formazione di una Chiesa? In funzione anti-patriarcale».

Un po' come è avvenuto nel 2018: anche la creazione della Chiesa autocefala è stata una mossa politica contro il Patriarcato di Mosca...

«Sì, anche se siamo in situazioni completamente diverse, c'erano motivi politici in entrambi i casi. I bolscevichi usarono questa Chiesa a fini politici e, quando non serviva più, ne eliminarono i capi, anche fisicamente».

Li ammazzarono?

«Negli anni Trenta, nell'ambito di un'operazione contro il nazionalismo ucraino, vennero eliminati i vertici della Chiesa autocefala ortodossa ucraina. Motivo: la Chiesa di Mosca era ormai prostrata e non c'era più bisogno di incoraggiare il nazionalismo. La Chiesa ucraina sopravvisse soprattutto nella diaspora, fino all'avvento di Mikhail Gorbaciov, quando venne ricostituita».

Quindi esisteva già una Chiesa autocefala prima del 2018?

«Ne esistevano due: questa di cui stiamo parlando e quella di Filarete. E si unirono nel Concilio di unificazione nel dicembre 2018. Anzi, inizialmente l'appello fu rivolto anche alla Chiesa che dipendeva dal Patriarcato di Mosca».

Chi è Filarete?

«Una figura alquanto peculiare. Ai tempi sovietici era l'esarca del Patriarcato di Mosca e contestualmente il metropolita di Kiev. L'attuale chiesa ortodossa ucraina dipendente da Mosca venne definita così nel 1990, quando l'Ucraina stava per diventare uno Stato sovrano. Prima in Ucraina, così come in Bielorussia, c'era un esarcato: Mosca riconosceva una specificità di queste Chiese e consentiva loro un'amministrazione particolare, che era quella dell'esarcato. Filarete di fatto era la personalità più di rilievo della Chiesa in Ucraina, ma anche una delle più importanti a livello di Chiesa ortodossa russa».

Tanto che sembrava che diventasse lui il Patriarca...

«Certo, dopo la morte di Pimen. Un uomo senz'altro molto ambizioso su cui circolavano molte voci».

Era accusato di essere una spia del Kgb.

«Sì, ma anche di avere moglie e figli. E di avere una conduzione dispotica. Di fatto, al momento dell'elezione del Patriarca, gli venne preferito Alessio II. A quel punto, era la fase in cui l'Ucraina si proclama indipendente, iniziò un avvicinamento alle frange del movimento nazionalista/nazionale ucraino. Peraltro aveva un ottimo rapporto con il primo presidente ucraino, Leonid Kravchuk. E quando ruppe con il Patriarcato di Mosca, fu senz'altro sostenuto dallo Stato ucraino».

A quel punto Mosca lo fece fuori.

«Viene addirittura ridotto allo stato laicale. Allora scelse di essere a capo di una Chiesa, che si chiamava Chiesa ortodossa ucraina – Patriarcato di Kiev. Dopo un periodo di transizione, diventò patriarca. Pur non avendo un grande seguito, diventò un riferimento per ambienti molto critici verso Mosca. Finché, nel 2018, la sua Chiesa non si unificò con la Chiesa nazionale durante il Concilio del 2018».

Ma a diventare Patriarca fu Epifanij, il suo ex segretario.

«E a quel punto Filarete ricostituì il Patriarcato di Kiev, che di fatto non è riconosciuto da nessuno e non ha grande seguito».

La Chiesa di Epifanij è molto nazionalista, vero?

«Venne molto incoraggiata dall'ex presidente Petro Poroshenko, che andò personalmente nella Pasaqua 2018 a Istanbul a chiedere al Patriarca Bartolomeo di impegnarsi nella creazione di una Chiesa ortodossa ucraina».

Quindi questa Chiesa è una creatura del nazionalista Poroshenko.

«È un'iniziativa di Poroshenko: questo sì».

Di fatto adesso abbiamo la Chiesa in comunione con Costantinopoli e la Chiesa legata a Mosca, che ha condannato l'invasione russa.

«Già dai primi giorni, il metropolita Onufrij si è pronunciato in maniera molto dura contro l'invasione e contro la decisione scellerata di Putin».

È stato coraggioso.

«Sì, ha rotto gli indugi e ha anche fatto un discorso di ritorno alla pace. La sua Chiesa sta lavorando pure con i profughi, ma è stato il fatto di essersi pronunciato in maniera forte e chiara a rappresentare un elemento di discontinuità con il passato».

È vero che ora molti si stanno spostando dalla Chiesa in comunione con Mosca a quella legata a Costantinopoli?

«Di fatto non ci sono dati. E io credo che se non ci sono dati è perché tutto sommato questi passaggi non sono numerosi. È chiaro che la guerra ha indebolito la Chiesa legata a Mosca e che ci sono spinte che la stanno attraversando. Ma una cosa è mantenere il legame spirituale con quella che viene considerata la Chiesa madre, un'altra cosa è condividere le posizioni di Kirill. Siamo su due piani diversi: non si condivide la posizione di Kirill ma al tempo stesso non si rinuncia alle proprie origini spirituali».

Come dicono alcuni ortodossi, «tanti Papi nella storia non hanno seguito gli insegnamenti di Cristo, ma non per questo c'è stato uno scisma».

«Sì, sì. È un paragone un po' azzardato ma è efficace: il concetto è distinguere fra l'errore del capo della Chiesa e il legame storico e spirituale con il Patriarcato di Mosca. Sebbene non siano concordi con Kirill, molti ucraini non sono disponibili a congiungersi alla nuova Chiesa nata nel 2018, perché ne mettono in dubbio la canonicità».

È vero che chi passa alla nuova Chiesa rischia la scomunica e la rottura con le altre Chiese nazionali?

«Per coloro che coloro che sostengono la nuova Chiesa c'è la rottura della comunione canonica. Quanto alle altre Chiese nazionali, dipende. Quando è stata creata questa nuova Chiesa, le altre Chiese si sono pronunciate pro o contro. A favore si è pronunciata la Chiesa di Grecia, la Chiesa di Cipro e il Patriarcato di Alessandria».

Tutto il mondo slavo e dell'Europa orientale è dalla parte di Mosca?

«Alcuni hanno espresso sostegno alla Chiesa legata a Mosca. Altri sono in una fase interlocutoria».

In tutto questo, la politica ha un peso.

«È chiaro che le Chiese ortodosse hanno un legame con lo Stato che noi facciamo fatica a capire, perché è un'altra modalità di rapporto. Comunque sì, la politica (anche internazionale) gioca un ruolo».

Ma il graduale allontanamento della Chiesa ucraina da Mosca sarà sancito da uno scisma?

«Questo attualmente non possiamo dirlo. Fra i commentatori c'è chi ipotizza la possibilità che si formi una nuova Chiesa che non sta né con Mosca né con Costantinopoli. Mi sembra presto per dirlo: io attualmente il rischio non lo vedo. Il fatto che i preti e i vescovi non nominino Kirill non vuol dire una separazione dal Patriarcato di Mosca. Almeno per ora».

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Elisabetta Burba