Altro che Impeachment. Trump assolto, vince ancora
Assolto. Il Senato Usa ha detto no all'Impeachment, ha votato contro la rimozione di Donald Trump dallo scranno presidenziale. È la terza volta nella storia americana che un inquilino della Casa Bianca trova l'assoluzione in un processo di impeachment. Alla fine, nonostante qualche dissidio interno, il fronte repubblicano ha tenuto e ha bocciato i capi d'imputazione, avanzati dal Partito Democratico contro il presidente: abuso di potere e intralcio al Congresso.
La prima accusa è stata respinta con una maggioranza di 52 voti, la seconda di 53. L'unica defezione nell'elefantino è stata quella del senatore dello Utah, Mitt Romney, che ieri ha attaccato il presidente, parlando di "spaventoso abuso della fiducia pubblica". Non è comunque un mistero che Romney sia ai ferri corti con Trump dai tempi della campagna elettorale del 2016 e che i due non si siano mai sopportati.
Come che sia, la maggioranza – necessaria per una condanna – dei due terzi dei voti non è stata raggiunta. Eppure la matematica parlamentare costituisce solo una delle ragioni che hanno infine condotto all'assoluzione.
Questo processo di messa in stato d'accusa non era nato sotto i migliori auspici. In primo luogo, è stato caratterizzato da un'insolita fretta. Quando la Speaker della Camera, Nancy Pelosi, annunciò l'avvio dell'indagine per impeachment lo scorso settembre, non ha atteso né la trascrizione della telefonata incriminata tra Trump e Zelensky né l'audizione del Director of National Intelligence, Joseph Maguire, che erano stati gli stessi democratici a convocare.
Tra l'altro, l'indagine fu aperta senza un voto in plenaria della Camera e gli stessi democratici si sono arrogati una serie di poteri d'inchiesta negati ai colleghi repubblicani. Si pensi soltanto al fatto che l'asinello potesse bloccare a proprio piacimento la convocazione dei testimoni, chiesti dall'elefantino. Oltre alla fretta, si è quindi assistito a un comportamento non esattamente equo, in piena contraddizione con le indagini per impeachment che si tennero nel 1974 (ai tempi di Richard Nixon) e nel 1998 (ai tempi di Bill Clinton).
In secondo luogo, un ulteriore problema si è rivelato l'assenza di una "pistola fumante": in altre parole, non è stata reperita la prova irrefutabile che Trump avesse ricattato il suo omologo ucraino con lo scopo di danneggiare la campagna elettorale di Joe Biden. Le lunghe testimonianze che si sono susseguite nei mesi autunnali alla Camera si sono rivelate in definitiva lacunose e farraginose, senza arrivare a inchiodare in modo definitivo il presidente. Già questo sarebbe dovuto bastare per far naufragare il procedimento. Ricordiamo infatti che nel 1974 Nixon (dimessosi prima di essere posto in stato d'accusa) fu messo nei guai da alcune registrazioni, mentre Clinton fu appurato avesse mentito sotto giuramento. In entrambi i casi, il fatto era inequivocabile e il dibattito si concentrò, semmai, sulla possibilità o meno che quei comportamenti controversi fossero o meno meritevoli di impeachment. Nel caso di Trump, il fatto non è invece stato neppure dimostrato.
E veniamo quindi ai capi d'imputazione mossi al presidente: abuso di potere e intralcio al Congresso.
Per quanto riguarda il primo, Trump è stato accusato di aver usato impropriamente la sua autorità per ottenere un vantaggio personale. Indipendentemente dal fatto che le cose siano o meno andate così, il capo di imputazione era debole sin dall'inizio. Innanzitutto la Costituzione americana garantisce al potere esecutivo un'ampia discrezionalità: ragion per cui, ravvisare e dimostrare atti illeciti in questo ambito è molto difficile (se non impossibile). Inoltre, per quale motivo i democratici hanno scelto l'abuso di potere e non la corruzione? Non solo, nei mesi autunnali, l'asinello ha spesso accusato Trump di quest'ultimo reato. Ma la corruzione figura anche tra le fattispecie di crimini meritevoli di impeachment, secondo la stessa Costituzione. Muovendo a Trump quell'accusa, i democratici avrebbero avuto cristallinamente dalla loro il dettato costituzionale. Eppure non l'hanno fatto. Perché? Perché l'atto di cui Trump era incolpato non poteva rientrare in quella fattispecie: in base al codice penale americano, la corruzione è un reato che attiene al sistema istituzionale e politico interno agli Stati Uniti e non riguarda le relazioni internazionali. Sapendo quindi di essere deboli su questo fronte, i democratici hanno optato per l'accusa di abuso di potere: una fattispecie che la Costituzione non menziona, troppo generica e aperta pertanto ad includere qualsiasi cosa. Un elemento che pone le basi a che l'impeachment – da estrema garanzia costituzionale – si possa trasformare in uno strumento di lotta politica.
È pur vero che alcuni giuristi sostengano – con i democratici – che, non risultando l'impeachment un processo attinente al potere giudiziario, non richieda necessariamente reati per essere istruito. Ma è altrettanto vero che, se non esiste una corrispondenza oggettiva con fatti appurati e reati previsti dal codice, rischi seriamente di trasformarsi in uno strumento meramente partigiano. Anche sul secondo capo di imputazione, intralcio al Congresso, si è registrata una profonda inconsistenza. Il presidente gode infatti del privilegio dell'esecutivo e può quindi legittimamente limitare eventuali ingerenze del potere legislativo. È vero che la sentenza della Corte Suprema del 1974, United States v Nixon, impose a Nixon di consegnare i famosi nastri che lo inchiodarono. Ma in quel caso, la consegna fu iìordinata perché era in corso un processo penale e non soltanto un'inchiesta per impeachment: nel caso di Trump non si sono invece celebrati processi di natura penale.
Fretta, inconsistenza e sospetti di partigianeria. Queste sono le ragioni per cui il processo per impeachment contro Trump si è alla fine risolto in una bolla di sapone. Non sarà del resto un caso che, secondo svariati sondaggi, molti tra gli elettori indipendenti abbiano mostrato diffidenza e contrarietà verso questo procedimento. Senza dimenticare che, secondo una recente rilevazione di YouGov, la figura di Nancy Pelosi sia caratterizzata da un indice di gradimento particolarmente basso.
I democratici non sembrano comunque avere intenzione di arrendersi, visto che il presidente della commissione giudiziaria alla Camera, Jerry Nadler, ha detto che "probabilmente" chiamerà a testimoniare l'ex consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton. Quel Bolton che – in un manoscritto parzialmente diffuso dal New York Times, aveva affermato che Trump fosse coinvolto in una pressione ricattatoria su Zelensky per danneggiare Biden. Quel Bolton che – ricordiamolo – fu silurato dallo staff presidenziale lo scorso settembre, per insanabili divergenze con l'inquilino della Casa Bianca su svariati dossier di politica estera (soprattutto Afghanistan e Iran). Fattore che lo renderebbe un testimone non esattamente disinteressato. Insomma, c'è il rischio che la telenovela dell'Ukrainegate possa ulteriormente proseguire.
Quello che non è chiaro è, in caso, dove sperano di arrivare i democratici, continuando su questa linea. L'asinello sta riscontrando enormi difficoltà nel contesto delle primarie, come testimoniato dal disastro politico e organizzativo avvenuto lunedì in Iowa. Inoltre, non solo – con questo processo – si è ritrovato in un vicolo cieco. Ma tutto ciò non sembra neppure utile per compattare un partito attualmente più diviso che mai. L'effetto boomerang per i democratici rischia quindi di rivelarsi pericolosamente persistente.
E, al di là del problema politico, se ne registra anche uno istituzionale. Assai spesso si dice che il sistema americano sia attraversato da drammatiche divisioni fratricide e che si stia assistendo a una progressiva polarizzazione. Una situazione di cui molti commentatori incolpano soprattutto Trump. Ora, che l'attuale presidente abbia delle responsabilità, è senz'altro vero. Ma bisognerebbe anche sottolineare il contributo che a questo stato di cose ha dato (e continua a dare) proprio il Partito Democratico. Un partito che, anziché confrontarsi legittimamente con Trump sui contenuti della sua agenda politica, preferisce intraprendere la strada della delegittimazione, pur di riuscire ad affondarlo. Qualcuno ci spieghi dove sarebbe il senso delle istituzioni in tutto questo.