Trump gioca con la Difesa, panico in Europa
Il Tycoon non può fermare in fretta gli aiuti militari all’Ucraina, né permettersi una guerra contro l’Iran. E neppure allentare la sua presenza nel Pacifico. A qualcosa dovrà rinunciare, sarà fondamentale la corrente dei “Falchi” come Mike Pompeo, ma resta la Nato
Trump ritorna alla Casa Bianca e in fatto di Difesa scoppia il panico in Europa. Riguardo la posizione nella Nato, The Donald considera l’Alleanza Atlantica un servizio di protezione nucleare a pagamento per gli europei, dove questo significa spingerli ad acquistare armi di produzione statunitense. Gioco che finora gli è riuscito per metà con alcune nazioni e per nulla con la Francia, unica potenza nucleare del Vecchio Continente.
Ora i repubblicani riprenderanno il controllo del Senato e potenzialmente potranno mantenere la maggioranza alla Camera. La possibilità di una «tripletta» di governo, che ripeterebbe i primi due anni del mandato di Trump, ha già provocato due ripercussioni: alcuni membri del Congresso, del Pentagono e dei think-tank governativi si sono immediatamente chiesti quale potrebbe essere la conseguenza delle elezioni sul bilancio della Difesa statunitense. Sebbene sia troppo presto per fare i conti, è opinione comune tra gli analisti che il ritorno di una presidenza Trump possa portare a un ampliamento del bilancio a uso interno e a un possibile calo di risorse destinate ai partner americani all'estero, in primis l'Ucraina.
La difficoltà di prevedere gli effetti del secondo mandato di Trump è che c'è meno consenso repubblicano sulla spesa per la Difesa; se tempo fa la destra sosteneva quasi uniformemente una maggiore spesa militare, ora è divisa in tre fazioni. La prima è quella dei tradizionali «falchi», come l'ex segretario di Stato Mike Pompeo, che favoriscono un esercito più assertivo e finanziamenti per sostenerlo. La seconda è costituito dai falchi del bilancio come l'House Freedom Caucus(una sorta di Consiglio per l’indipendenza), più preoccupati per la spesa pubblica e sovente favorevoli a tagli. La terza è l'ala definibile «America first» del Partito Repubblicano, come l'ex segretario della Difesa Chris Miller, scettico sul fatto che l'Esercito Usa debba mantenere attive così tante missioni in tutto il mondo e quindi anche lui favorevole a ridurre i budget.
Fino a quando non si sarà insediata la nuova amministrazione è però impossibile prevedere quale delle tre fazioni prevarrà o avrà più potere delle altre. Saranno però fondamentali sia il nome del nuovo segretario della Difesa, sia quello del Direttore dell’Ufficio per il Budget (Omb). Se si guarda al primo mandato di Trump, il Tycoon aveva voluto e organizzato un massiccio aumento della spesa per la Difesa, circa 225 miliardi di dollari in più rispetto a quanto previsto dagli ultimi anni della presidenza di Barack Obama. E naturalmente in seno al Congresso i “falchi” della difesa contano su un bis. Ma ora che il controllo di entrambe le Camere sta diventando chiaro, i grandi pacchetti di aiuti militari che Washington ha inviato a Kiev sono molto meno sicuri.
Durante il mandato di Joe Biden gli Usa hanno impegnato per Zelensky più di 60 miliardi di dollari, molti dei quali sono andati però alle aziende di armi americane, stanziati con ulteriori progetti di legge sulla spesa approvati dal Congresso. Trump, ancora prima che terminassero i conteggi alle urne, ha subito detto che la sua priorità è porre fine alla guerra con la Russia, e qualora decidesse di interrompere gli aiuti rischierebbe un contraccolpo per le aziende di Difesa che hanno ampliato le loro linee di produzione per soddisfare sia le esigenze interne, sia quelle ucraine. Ma certo questa è la grande preoccupazione del settore industriale militare statunitense.
Durante il suo primo mandato Trump ha speso di più in armi ma non ha aperto conflitti; al contrario, ha firmato un trattato con i Talebani, ha ritirato le truppe dall’Afghanistan, creato gli accordi di Abramo e instaurato trattative con la Corea del Nord. Qualora decidesse di limitare il supporto a Kiev, riuscendo magari a far fermare i combattimenti, porrebbe un duplice problema all’Europa, costretta a pagare le spese del dopoguerra ma anche a instaurare in fretta nuovi rapporti con Mosca. Da Washington il neopresidente cercherà di portare avanti la sua dottrina commerciale senza affrontare interventi militari che costerebbero vite umane americane e un ulteriore aumento del debito pubblico. Il pensiero va subito all’Iran, poiché se è vero che Trump fermò ogni accordo sul nucleare di Teheran, a gennaio 2025, rinnovando gli accordi di Abramo, potrebbe evitare una guerra enormemente costosa e che gli impedirebbe di agire con le giuste risorse dove oggi nel mondo c’è la maggiore crescita, ovvero nell’area del Pacifico, e dove lo aspetta la crisi di Taiwan. Senza dimenticare i Paesi Brics, decisi ad abbandonare il dollaro nelle loro transazioni. Il tutto sempre con una corsa al mantenimento della supremazia militare con la Cina, l’unico vero potenziale «primo nemico» anche sul piano commerciale.