Trump e la crisi siriana
La caduta di Bashar al Assad potrebbe avere conseguenze indirette sulle trattative ucraine.
Come avevamo anticipato su Panorama.it, la crisi siriana si interseca con quella ucraina. A rendere ulteriormente chiara questa situazione stanno le dichiarazioni di Donald Trump sulla caduta di Bashar al Assad.
“Assad se n'è andato”, ha scritto il presidente americano in pectore su Truth. “È fuggito dal suo Paese. Il suo protettore, la Russia, guidata da Vladimir Putin, non era più interessato a proteggerlo. Non c'era motivo per cui la Russia dovesse essere lì in primo luogo. Hanno perso ogni interesse per la Siria a causa dell'Ucraina, dove circa 600.000 soldati russi giacciono feriti o morti, in una guerra che non sarebbe mai dovuta iniziare e che potrebbe continuare per sempre”, ha proseguito.
“Russia e Iran sono in uno stato indebolito in questo momento, uno a causa dell'Ucraina e di una cattiva economia, l'altro a causa di Israele e del suo successo in combattimento”, ha aggiunto, per poi continuare: “Allo stesso modo, Zelensky e l'Ucraina vorrebbero fare un accordo e fermare la follia. Hanno perso 400.000 soldati in modo ridicolo e molti più civili. Dovrebbe esserci un cessate il fuoco immediato e dovrebbero iniziare i negoziati”. “Troppe vite vengono sprecate inutilmente, troppe famiglie distrutte, e se continua così, può trasformarsi in qualcosa di molto più grande e molto peggio. Conosco bene Vladimir. Questo è il suo momento di agire. La Cina può aiutare. Il mondo sta aspettando!”, ha concluso.
Insomma, è chiaro che Trump punta a fare leva sulla debolezza della Russia in Siria per avere maggiore margine di manovra in sede di trattative sul dossier ucraino. Tra l’altro, non va neppure dimenticato che, nelle ultime settimane, il team del presidente in pectore non ha preso le distanze dalla decisione dell’amministrazione Biden di autorizzare l’uso di missili Atacms in territorio russo. È quindi evidente che il tycoon vuole aumentare la pressione sul Cremlino. Dall’altra parte, il presidente in pectore sta facendo pressione anche su Kiev affinché accetti di sedersi al tavolo negoziale, senza la precondizione del ritiro unilaterale delle truppe russe dai territori ucraini: una precondizione che Trump ha sempre considerato irrealistica.
La strategia del tycoon è quindi simile a quella condotta da Dwight Eisenhower nel 1953 in Corea e da Richard Nixon, nei primi anni ’70, per porre fine alla guerra in Vietnam: aumentare la pressione su avversari e alleati per spingerli a un accordo. Dall’altra parte, pur mirando a sfruttare la debolezza siriana dello zar, Trump sa di non potersi permettere una Russia troppo debole, visto che uno dei suoi obiettivi è quello di sganciare il più possibile Mosca da Pechino. Da questo punto di vista, è interessante una dichiarazione rilasciata sabato dallo stesso Trump, come commento sulla crisi siriana. “La Siria è un disastro, ma non è nostra amica. Gli Stati Uniti non dovrebbero aver nulla a che fare con questa situazione. Questa non è la nostra guerra, lasciate che si svolga. Non facciamoci coinvolgere”.
Sottolineando la sua volontà di restare fuori dalla Siria, il prossimo presidente americano è verosimilmente intenzionato a lavorare a un nuovo bilanciamento tra Mosca e Ankara nello scacchiere mediorientale. E proprio tale bilanciamento potrebbe essere usato da Trump come pedina di scambio nel corso delle trattative ucraine.