La "dottrina Trump" alla prova delle primarie repubblicane
Dalla crisi ucraina alla Cina: l'ex presidente è tornato a parlare di politica internazionale durante l'ultimo Cpac
Donald Trump è tornato a parlare di politica internazionale. E lo ha fatto dal palco del Cpac, tenutosi la settimana scorsa. L’ex presidente americano è intervenuto innanzitutto sulla questione ucraina. “Questo è il momento più pericoloso nella storia del nostro Paese e Joe Biden ci sta portando nell'oblio”, ha dichiarato. “E tra l'altro avrete la terza guerra mondiale. Avremo la terza guerra mondiale se qualcosa non accade in fretta”, ha proseguito, per poi aggiungere: “Sono l'unico candidato che può fare questa promessa: impedirò la terza guerra mondiale”. “Prima ancora di arrivare allo studio ovale, avrò risolto la disastrosa guerra tra Russia e Ucraina. Sarà risolta rapidamente”, ha anche affermato, rivendicando di essere “andato d’accordo” con Vladimir Putin. “Sono stato l'unico presidente durante il cui mandato la Russia non ha preso il controllo di un Paese... ho detto, 'Vladimir, non farlo'”, ha proseguito, accusando l’amministrazione Biden di aver provocato un avvicinamento tra Mosca e Pechino. “Non bisogna mai permettere che la Russia e la Cina si uniscano, si sposino, non bisogna mai permetterlo, e non solo l'abbiamo permesso, le abbiamo rese amiche del cuore, le abbiamo costrette a stare insieme”, ha dichiarato. Non solo. Trump ha anche promesso una drastica riduzione della dipendenza commerciale di Washington da Pechino, invocando poi un chiarimento delle responsabilità cinesi nella pandemia del Covid-19.
Come noto, l’ex inquilino della Casa Bianca si è candidato ufficialmente alla nomination presidenziale del 2024 lo scorso novembre. Ora, bisogna sempre ricordare che, in sede di primarie, la politica internazionale viene principalmente letta attraverso le lenti della politica interna. Ed è esattamente quello che ha fatto Trump con le sue dichiarazioni. La linea dura contro la Cina è indubbiamente un segnale rivolto ai colletti blu di Stati come il Michigan e la Pennsylvania: Stati che storicamente temono la concorrenza commerciale del Dragone e a cui Trump guarda con estremo interesse. D’altronde, per arrivare alla Casa Bianca è assolutamente fondamentale riuscire a espugnare elettoralmente la cosiddetta Rust Belt: un’area in cui Trump ha sempre performato bene, nonostante una vistosa battuta d’arresto alle ultime elezioni di metà mandato (quando il suo candidato senatoriale in Pennsylvania è stato sconfitto). Non è del resto un mistero che, soprattutto negli ultimi due mesi, l’ex presidente ha scelto di coprire il Partito repubblicano a sinistra, presentandosi come il campione della sanità pubblica e della previdenza sociale. Trump d’altronde sa che questi temi sono in grado di fare pesantemente breccia nella Rust Belt per contendere voti al Partito democratico. E’ quindi principalmente in quest’ottica che vanno lette le sue dichiarazioni sulla Cina all’ultimo Cpac.
Veniamo poi al dossier ucraino. Anche in questo caso, la questione è stata filtrata soprattutto attraverso le categorie della politica interna. Un sondaggio dell’Associated Press di metà febbraio ha rilevato che tra gli elettori americani sta scendendo la percentuale di persone favorevoli all’invio di armi in Ucraina. Un dato che, al di là di come la si pensi nel merito, avrà prevedibilmente un impatto sulle primarie repubblicane. Sotto questo aspetto, Trump ha rivendicato un fatto oggettivo: e cioè che, durante la sua presidenza, Putin non ha mosso un dito per aggredire l’Ucraina, come invece accaduto ai tempi di Barack Obama nel 2014 e di Biden l’anno scorso. Segno che esiste forse un problema di esercizio della deterrenza da parte delle amministrazioni americane a guida dem. Andrebbe inoltre ricordato che fu con Trump che gli Usa imposero sanzioni al gasdotto Nord Stream 2 e uscirono dal controverso accordo sul nucleare iraniano (fortemente voluto invece dal Cremlino). Quel che bisognerà capire semmai è come l'ex presidente abbia intenzione di far cessare l'invasione in corso nel concreto.
Il punto è che il dossier ucraino spaccherà prevedibilmente il campo dei contendenti presidenziali repubblicani. Ron DeSantis, per esempio, si è finora mostrato piuttosto vicino a Trump su questa questione. A fine febbraio, il governatore della Florida ha criticato la politica di “assegni in bianco” a favore di Kiev, promossa da Biden, dicendo inoltre di non credere che la Russia attaccherà Paesi della Nato. Dichiarazioni che hanno innescato la reazione di un altro potenziale candidato repubblicano, l’ex vicepresidente Mike Pence. “Direi che chiunque pensi che Vladimir Putin si fermerà all'Ucraina si sbaglia”, ha detto, riferendosi alla posizione di DeSantis. “Dobbiamo capire la vera minaccia a lungo termine di una rinnovata aggressione russa in Europa”, ha continuato. “E ritengo che non si fermerà qui”. Su posizioni analoghe a quelle di Pence è collocata l’ex ambasciatrice all’Onu, Nikki Haley, candidatasi ufficialmente alla nomination repubblicana il mese scorso. La sfida, insomma, sarà quella di coniugare le esigenze di consenso interno con quelle di politica internazionale. Un nodo, questo, che riguarderà anche il campo democratico.