L'economia mondiale secondo Donald Trump
Pesanti dazi sui prodotti provenienti dall’estero e, soprattutto, dalla Cina. Tasse più basse per chi produce negli States e via libera a maggiori spese per Difesa e tecnologia. La reale fattibilità delle promesse elettorali di The Donald, che rischiano di colpire il made in Italy e rallentare la crescita Ue.
«Per me, la parola più bella del dizionario è tariff. Ed è la mia parola preferita», ha dichiarato Donald Trump in un’intervista all’Economic Club di Chicago a metà ottobre. Per lui quel termine, tariffa o meglio «dazio», non rappresenta solo uno strumento economico ma una strategia per «difendere» gli interessi americani, un punto centrale nella sua campagna elettorale, che ha portato avanti con convinzione durante il suo primo mandato e che probabilmente rilancerà. Ma il ritorno di Trump alla Casa Bianca significa anche tagli fiscali alle imprese, rimpatri di massa di lavoratori irregolari, deregolamentazione in campo energetico e tecnologico.
È probabile che i suoi impegni di tagliare le tasse sulle società e allentare le politiche fiscali aumentino la liquidità e avvantaggino i mercati azionari. Ma le sue promesse possono portare a livello domestico più inflazione e - a livello internazionale - un rallentamento delle economie più dipendenti dall’export verso gli Stati Uniti. Uno scenario pericoloso e avvolto dall’incertezza, perché alcuni dei provvedimenti sventolati nei comizi potrebbero essere ridimensionati o addirittura cancellati dall’agenda politica.
Dazi
Nella sua campagna, Trump ha descritto i dazi come un’arma multifunzionale: non solo puniranno altri Paesi per pratiche commerciali che considera sleali, ma dovrebbero anche incoraggiare le aziende Usa a non delocalizzare la produzione e, contemporaneamente, generare miliardi di dollari per ridurre il deficit federale. Tra le misure previste, si parla di una tariffa universale dal 10 al 20 per cento su tutte le importazioni, che arriverebbe addirittura al 60 per cento per i beni provenienti dalla Cina. Questo approccio mira a «proteggere i posti di lavoro e le industrie americane», secondo quanto sostiene il presidente eletto, il quale crede fermamente che incentiverà la produzione nazionale e ridurrà la dipendenza dai prodotti stranieri. Nel primo mandato, ha già applicato tariffe su acciaio e alluminio, giustificando la misura come una questione di sicurezza nazionale. Tali dazi erano fissati al 25 per cento sull’acciaio e al 10 sull’alluminio, con l’intento di proteggere l’industria americana. Tuttavia, le tariffe hanno generato ritorsioni da parte di partner commerciali come Canada e Ue, che hanno imposto dazi sugli esporti agricoli statunitensi, danneggiandone il relativo settore.
Industria
Con Trump, comparti quali energia e difesa vedranno una deregolamentazione significativa, vantaggiosa per le aziende di petrolio e gas come Exxon Mobil e Chevron, più incerta per le rinnovabili e per le imprese impegnate nella transizione green. Il settore tecnologico potrebbe ricevere benefici misti: mentre le politiche protezionistiche rischiano di danneggiare aziende come Apple e Nvidia, la riduzione delle imposte e la deregolamentazione potrebbero incentivare l’innovazione nel settore delle intelligenze artificiali e delle start up tecnologiche. Con il sostegno finanziario di Elon Musk alla campagna di Trump, le aziende come Tesla e SpaceX potrebbero beneficiare della sua presidenza. Musk potrebbe persino ottenere un ruolo governativo, il che susciterebbe ovvie discussioni su possibili conflitti di interesse.
Europa
Le politiche protezionistiche di Trump influiranno sull’economia europea, considerando che il nostro continente è altamente dipendente dalle esportazioni: secondo la Commissione europea nel 2023 l’Unione ha esportato merci negli Stati Uniti per 502 miliardi di euro, rendendo gli Usa il principale partner extra-Ue. Inoltre l’Europa verrebbe invasa dai prodotti cinesi che troverebbero chiusi i mercati americani. Secondo Goldman Sachs, se Trump imporrà nuovi dazi, la produzione dell’Eurozona potrebbe calare fino all’1 per cento, con una perdita economica potenziale di 260 miliardi. Dirk Schumacher, responsabile della macroricerca europea presso Natixis Corporate & Investment Banking Germany, suggerisce che un aumento tariffario del 10 per cento potrebbe ridurre il Pil di circa lo 0,5 per cento in Germania, lo 0,4 in Italia, lo 0,3 in Francia e lo 0,2 in Spagna. Altri analisti suggeriscono invece che l’impatto potrebbe essere più piccolo di quanto molti si aspettino. Un recente rapporto della London School of Economics stima una più modesta riduzione dello 0,11 per cento del Pil della zona euro. L’Italia, nel frattempo, potrebbe sperimentare un effetto minimo, con il suo Pil previsto che scenderà solo dello 0,01 per cento. Inoltre le tariffe potrebbero rappresentare un’occasione per l’Europa di attuare riforme economiche più incisive per rafforzare la competitività del mercato interno.
Italia
Gli Stati Uniti sono il primo mercato extra-Ue per il made in Italy. I settori principali sono macchinari e apparecchiature industriali, prodotti farmaceutici, alimentari e bevande, e moda-abbigliamento. Ovviamente l’aumento dei dazi potrebbe ridurre la competitività delle merci italiane sul mercato americano, danneggiando settori strategici. Mentre società legate alla difesa, come Leonardo, dovrebbero essere avvantaggiate da un aumento della relativa spesa di un’Europa «orfana» dell’ombrello americano. Per difendere i propri interessi, sarà cruciale che l’Italia, insieme all’Ue, riesca a stabilire un dialogo con Washington.
Inflazione
L’aumento delle tariffe rischia di alzare i prezzi, con ripercussioni sull’inflazione. Trump ritiene che i dazi non influiranno sui consumatori americani, poiché saranno i produttori stranieri a sostenere i costi. Tuttavia, molti economisti ribattono che le spese per i dazi vengono spesso trasferite ai consumatori, portando a un aumento dei prezzi dei beni importati. Uno studio del Peterson Institute for International Economics suggerisce che con Trump alla Casa Bianca il tasso di inflazione negli Usa potrebbe aumentare dal 6 al 9,3 per cento entro il 2026, rispetto all’attuale proiezione dell’1,9 in assenza delle sue politiche.
Tasse
Trump ha promesso di reintrodurre e ampliare i tagli fiscali attuati nel 2017, che scadranno nel 2025. Il suo programma prevede la riduzione dell’imposta sulle società dal 21 al 15 per cento, ritenendo che una simile riduzione stimolerà la crescita economica e la creazione di nuovi posti di lavoro. Tuttavia, gli analisti avvertono che questi tagli fiscali potrebbero portare a un aumento del debito pubblico, con una stima di 5,8 trilioni di dollari in più entro un decennio.
Bitcoin
Altro tema significativo sono le criptovalute. Trump vorrebbe porre fine alla «persecuzione» nei confronti del Bitcoin, dichiarando di voler licenziare l’attuale presidenza della Sec, l’organo di vigilanza della Borsa. Questa promessa potrebbe portare a una regolamentazione più leggera del settore, aprendolo a investimenti e innovazioni tecnologiche negli Usa.