Trump si prepara alla partita sul nucleare iraniano
Teheran teme il ritorno del tycoon e cerca la distensione con Francia, Regno Unito e Germania. Una strategia che potrebbe non riuscirle
L’Iran sta fremendo. E la ragione è molto semplice. Teme l’ormai imminente insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Non è un mistero che il presidente americano in pectore abbia intenzione di rispolverare la politica della “massima pressione” su Teheran. Il suo obiettivo non è quello di un regime change. Vuole semmai mettere gli ayatollah con le spalle al muro per costringerli a rinegoziare radicalmente il controverso accordo sul nucleare che, siglato dall’amministrazione Obama nel 2015, Trump aveva abbandonato tre anni più tardi. Un accordo che Joe Biden ha poi tentato di ripristinare senza successo.Che l’intesa sul nucleare rappresenti il centro delle preoccupazioni iraniane è testimoniato da una serie di elementi. In primis, martedì, il Times of Israel ha riportato che Teheran ha intensificato le esercitazioni di difesa aerea nei pressi dei propri siti nucleari. Il regime khomeinista teme attacchi militari da parte di Israele, mentre, alcuni giorni fa, il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan, aveva presentato a Joe Biden dei piani per possibili bombardamenti contro le strutture atomiche iraniane. In secondo luogo, il prossimo 13 gennaio, Teheran avvierà a Ginevra dei colloqui con Francia, Germania e Regno Unito, dedicati al proprio programma nucleare. Tutto questo, mentre, a dicembre, l’Aiea aveva rivelato che l’Iran starebbe “accelerando in modo drammatico” l’arricchimento dell’uranio.Insomma, che cosa sta succedendo? Succede Teheran è sempre più debole. Israele ha recentemente decapitato due dei suoi principali proxy, vale a dire Hezbollah e Hamas. Inoltre, la caduta di Bashar al Assad in Siria, ad opera degli insorti spalleggiati dalla Turchia, ha reso gli ayatollah ancora più vulnerabili e isolati. Non a caso, nonostante si veda costretta a fare buon viso a cattivo gioco, Teheran guarda con sospetto al protagonismo di Ankara, che è uscita oggettivamente vincitrice dalla crisi siriana.In questo senso, è probabile che l’Iran stia accelerando per dotarsi dell’arma atomica. Dall’altra parte, il regime khomeinista si sta preparando al ritorno di Trump. Non è quindi escludibile che voglia usare i colloqui del 13 gennaio per prendere tempo e, al contempo, cercare di creare delle fratture tra Washington e il terzetto europeo di Francia, Germania e Regno Unito. Un modo con cui il regime degli ayatollah potrebbe tentare sia di dissuadere eventuali attacchi israeliani e sia di ridurre gli effetti della “massima pressione” di Trump. Un Trump che, dal canto suo, non ha comunque la minima intenzione di far sì che Teheran si doti dell’atomica. Un simile scenario ridisegnerebbe infatti ulteriormente gli equilibri di potere in Medio Oriente. E complicherebbe il rilancio di quegli Accordi di Abramo, auspicato dal presidente americano in pectore. Ecco perché la partita sul nucleare è la chiave di volta per comprendere i rapporti tra Occidente e Iran.