Trump vs Biden, le differenze nei programmi
Dal Covid, all'economia, dalla politica estera alle armi. Le diverse posizioni tra i due candidati alle Presidenziali Usa di martedì prossimo
A ormai pochi giorni dalle presidenziali del 3 novembre, il duello tra Donald Trump e Joe Biden si sta facendo sempre più serrato, attraversando numerosi fronti che vedono i due candidati fortemente contrapposti.
Clima ed energia
Donald Trump si è sempre detto fermamente favorevole alla fratturazione idraulica: controversa tecnica di estrazione del gas naturale e del petrolio, particolarmente diffusa in Stati come il Texas e la Pennsylvania. Molto più ambigua, su questo fronte, si è invece rivelata la posizione di Joe Biden. Nel luglio del 2019, l'ex vicepresidente aveva detto di voler vietare la pratica, mentre – una volta conquistata la nomination democratica – ha attenuato la propria posizione in materia. Il fatto tuttavia di essersi scelto come vice Kamala Harris ha acuito le preoccupazioni dei colletti blu della Pennsylvania, viste le tesi contrarie alla fratturazione idraulica che la senatrice californiana ha espresso negli scorsi mesi. A complicare la situazione per l'ex vicepresidente ci si è messa anche la sua performance durante l'ultimo dibattito televisivo con Trump, quando ha detto di voler attuare una transizione energetica dal petrolio. Un'affermazione che ha suscitato le preoccupazioni della classe operaia della Rust Belt e che ha costretto lo stesso Biden a cercare di gettare acqua sul fuoco. Di contro, il comitato elettorale di Trump è andato subito all'attacco, sperando di aprire una breccia che permetta al presidente una rimonta (non del tutto improbabile) proprio in Pennsylvania.
Aborto
Nel corso della campagna elettorale, Trump ha ribadito la sua ormai classica posizione antiabortista, laddove Biden ha mutato la propria storica collocazione. Un tempo, l'ex vicepresidente era un sostenitore del cosiddetto emendamento Hyde: un dispositivo legislativo del 1976, che limita i finanziamenti federali all'interruzione di gravidanza. Tuttavia l'anno scorso ha sconfessato questa sua posizione, a causa delle pressioni giunte dalla sinistra del Partito Democratico. Il fatto poi di aver scelto quale sua vice una figura storicamente vicina alla onlus Planned Parenthood, come Kamala Harris, ha fatto sì che il ticket democratico si sia spostato su posizioni nettamente abortiste. Un elemento che può rivelarsi problematico per l'asinello. Non dimentichiamo infatti che il 29% degli elettori democratici si definisca pro-life. Senza poi trascurare il voto cattolico: nonostante Biden sia un fedele della Chiesa di Roma, secondo un recente studio del Pew Research Center, il 52% dei cattolici appoggerebbe al momento Trump.
Covid
I due candidati sono fortemente distanti sul tema della gestione del coronavirus: una distanza emersa in tutta la sua evidenza nel corso dell'ultimo duello televisivo. Biden mette maggiormente in risalto le ragioni della salute, Trump quelle dell'economia. Se il candidato democratico non ha escluso di poter appoggiare delle nuove chiusure, il presidente ha invece dichiarato di voler mantenere aperte le attività economiche e le strutture scolastiche. L'inquilino della Casa Bianca punta inoltre molto sull'operazione Warp Speed, per ottenere un vaccino in tempi record e poter effettuare un eventuale annuncio prima del prossimo 3 novembre. I sondaggi hanno sempre mostrato che la gestione della pandemia sia il vero tallone d'Achille di Trump e che mediamente gli americani si fidino più di Biden su questo fronte. È in tal senso che l'ex vicepresidente sta cercando di insidiare il rivale in Florida, per sottrargli il fondamentale voto degli elettori anziani. Va tuttavia anche rilevato che l'elettorato più preoccupato dei rischi economici di eventuali lockdown possa essere sottorappresentato mediaticamente, oltre che nelle rilevazioni sondaggistiche. E che potrebbe alla fine far sentire il proprio peso a favore del presidente.
Ordine pubblico
A seguito dei disordini scoppiati per la morte di George Floyd, Trump ha assunto una posizione riassunta dallo slogan nixoniano "law and order". Il presidente non ha escluso elementi di riforma delle forze di polizia, ma si è decisamente opposto all'idea di tagliare loro i finanziamenti. Ha inoltre chiesto che sindaci e governatori adottassero la linea dura per sedare i disordini in alcune aree specifiche, come a Portland e Seattle. Biden, su questo fronte, si è dimostrato molto più aleatorio. Per quanto – dopo giorni di titubanza – si sia alla fine schierato contro il taglio dei finanziamenti alle forze dell'ordine, per mesi ha scelto di non prendere posizione chiara sui tafferugli verificatisi in varie città americane. Non solo: nonostante la sua presa di posizione contro la sforbiciata ai budget per la polizia, alcuni sindaci democratici (come Bill de Blasio a New York ed Eric Garcetti a Los Angeles) hanno invece optato per una riduzione dei fondi alle proprie forze dell'ordine, sconfessando così platealmente il loro candidato alla Casa Bianca. Probabilmente la lunga ambiguità di Biden sulla questione dell'ordine pubblico è stata dettata dal fatto che l'elettorato potenziale a cui l'ex vicepresidente si rivolge sia molto eterogeneo, andando dal centrismo all'estrema sinistra. Prendere una posizione netta su una questione tanto delicata lo avrebbe quindi esposto a probabili emorragie di voti in un senso o nell'altro. Il punto è che una tale ambiguità alla fine ha iniziato a danneggiarlo e, sul finire di agosto, l'ex vicepresidente ha cominciato a inseguire maggiormente Trump su questo terreno. Il presidente spera, dal canto suo, di usare la linea securitaria per "scardinare" alcune aree cittadine tradizionalmente democratiche, mettendo in luce le difficoltà che varie amministrazioni locali in mano all'asinello hanno riscontrato nel mantenimento dell'ordine pubblico.
Fisco
A settembre, Biden si è impegnato ad alzare la corporate tax dal 21% (a cui l'hanno portata i repubblicani con la riforma fiscale del 2017) al 28%. Una promessa problematica sotto due punti di vista. Non solo Trump sostiene che, alzando l'aliquota sulle imprese, ci saranno contraccolpi negativi sul fronte occupazionale. Ma –per far sì che l'ex vicepresidente possa mantenere questo impegno– i democratici dovrebbero anche riuscire a conquistare entrambi i rami del Congresso a novembre: scenario non impossibile, ma neppure troppo probabile. Più in generale, Biden si è detto favorevole ad aumentare la tassazione sulle classi abbienti, il che –secondo il Tax Policy Center– poterebbe a un incremento delle entrate pari a 4 trilioni di dollari nell'arco di dieci anni. Una linea fortemente criticata dalla Casa Bianca, che considera questa proposta come dannosa per la crescita economica.
Mappa elettorale
Per essere riconfermato, a Trump basterebbe in teoria mantenere la coalizione di Stati che lo ha portato alla Casa Bianca quattro anni fa. Biden, dal canto suo, ha alcune strade che può intraprendere per vincere: "aggredire" la Florida o incunearsi nella Rust Belt. Nel primo caso, l'ex vicepresidente dovrebbe comunque aggiungere ulteriori conquiste: Trump può infatti permettersi di perdere la Florida (da sola o, al massimo, in coppia con l'Iowa). Come detto sopra, nel cosiddetto Sunshine State, l'ex vicepresidente sta corteggiando accanitamente il voto dell'elettorato anziano, per sottrarlo al rivale. Tuttavia in loco Trump sta contemporaneamente guadagnando terreno tra gli ispanici, puntando su libertà religiosa ed anticastrismo. Un fattore che potrebbe rivelarsi problematico per Biden. L'altra strada che quest'ultimo ha a disposizione è quindi quella della Rust Belt. E qui abbiamo due scenari. Se l'ex vicepresidente non è in grado di effettuare conquiste altrove, ha necessariamente bisogno di espugnare Pennsylvania, Wisconsin e Michigan. Nel caso invece riuscisse a strappare a Trump uno degli altri Stati che votarono repubblicano nel 2016 (per esempio Arizona o North Carolina), a Biden basterebbero due soli Stati nella Rust Belt. Restano tuttavia delle forti incognite in quest'area. L'ex vicepresidente ha qui sonoramente battuto Bernie Sanders durante le ultime primarie democratiche, mostrandosi in tal modo competitivo nel voto operaio. Dall'altra parte, la suddetta ambiguità sulla questione energetica rischia di metterlo in cattiva luce tra i colletti blu della Pennsylvania: una Pennsylvania che non è al momento scontato Biden possa riuscire a vincere. Una Pennsylvania che quest'anno, insieme alla Florida, è il vero Stato dirimente (molto probabilmente più dello stesso Ohio). Non dimentichiamo infine che anche la storica vicinanza della Harris alla Silicon Valley non sia un biglietto da visita troppo gradito per molti colletti blu della Rust Belt.
Abbiamo poi l'incognita degli altri Stati trumpisti nel 2016. In base alla matematica dei grandi elettori, Trump potrebbe permettersi di perdere insieme Georgia, Arizona e Iowa (escludendo sconfitte altrove e – soprattutto – blindando il North Carolina). Nonostante i sondaggi ne diano alcuni in bilico, resta comunque un'impresa non facile per Biden penetrare negli Stati tradizionalmente repubblicani: ricordiamo che, quattro anni fa, Hillary Clinton fosse data lievemente avanti in Arizona e che, alla fine, l'ex first lady abbia perso in loco di 4 punti. Inoltre, secondo Real Clear Politics, il 25 ottobre 2016 la Clinton aveva in North Carolina un vantaggio di 2,2 punti (superiore a quello che detiene oggi Biden): Trump vi vinse alla fine con uno scarto del 3,6%. Ricordiamo, tra l'altro, che non è comunque soltanto il presidente a doversi difendere. Nonostante non sia facile, l'inquilino della Casa Bianca sta infatti cercando di far breccia in alcuni Stati che, quattro anni fa, votarono per Hillary Clinton: si tratta, nella fattispecie di Nevada, Minnesota e New Hampshire. La partita elettorale, insomma, non è ancora chiusa. E le sorprese potrebbero non mancare.