foto segnaletica trump
(Ansa)
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Il senso politico dell'arresto e della foto segnaletica di Trump

Schedato in Georgia, l'ex presidente è pronto a rilanciare le accuse di politicizzazione contro la Giustizia americana

Donald Trumpsi è consegnato alla prigione di Atlanta, dove gli è stata scattata una foto segnaletica. È la prima volta che un ex presidente americano viene schedato. D’altronde, è anche la prima volta che un ex inquilino della Casa Bianca subisce delle incriminazioni.

La situazione giudiziaria per Trump è assai complessa ma questo non significa che il diretto interessato non possa avvantaggiarsene sul piano politico: non a caso, ha già postato la foto segnaletica sui suoi canali social. Non è del resto un mistero che i sondaggi diano l’ex presidente decisamente avanti rispetto agli altri candidati alla nomination presidenziale repubblicana. Non solo. Varie rilevazioni lo danno in un sostanziale testa a testa con lo stesso Joe Biden. Sotto questo aspetto, un dettaglio interessante risiede nel fatto che, subito dopo le elezioni di metà mandato dell’anno scorso, Trump si era ritrovato politicamente ammaccato, visto che alcuni dei candidati su cui aveva puntato avevano fatto flop. Una difficoltà elettorale che l’ex presidente ha cominciato a superare da marzo, da quando, cioè, subì la prima incriminazione su input della procura distrettuale di Manhattan. E sono i dati a parlare. Secondo la media sondaggistica di Real Clear Politics relativa alla corsa per le primarie repubblicane, il 23 marzo Trump era al 43,9% dei consensi: ebbene, il 22 agosto la stessa media lo dava al 55,4%.

Vedremo se l’ex presidente continuerà a crescere nei sondaggi a seguito dei nuovi sviluppi. Tuttavia, al di là delle strategie elettorali, si pone forse anche un altro tipo di considerazione. È fuor di dubbio che Trump ha commesso alcuni gravi errori politici: dal comizio del 6 gennaio all’essersi portato a casa dei documenti classificati. Errori che avrebbe dovuto assolutamente evitare. Dall’altra parte, vanno però anche sottolineati degli aspetti che lasciano perplessi. Secondo il New York Times, Al Capone rischiò un massimo di diciassette anni di carcere e fu condannato a undici. Trump, stando ai calcoli fatti dalla rivista Forbes, deve affrontare in totale 91 capi d’imputazione, rischiando fino a un massimo di 718 anni di galera. Già di per sé, tale raffronto lascia quantomeno stupiti.

A questo andrebbe poi aggiunto che un rapporto, redatto dal procuratore speciale John Durham a maggio, ha dimostrato tutte le storture che l’Fbi ha commesso ai danni dell’allora presidente in riferimento alla cosiddetta inchiesta Russiagate: un’inchiesta, ricordiamolo, risoltasi in una bolla di sapone, visto che il procuratore speciale che se ne occupava, Robert Mueller, non è stato in grado di dimostrare alcun coordinamento tra il team elettorale di Trump e il Cremlino.

Si dovrebbe poi ulteriormente aggiungere che tutti i procuratori che hanno finora messo nel mirino l’ex presidente hanno legami con il Partito democratico americano. La procuratrice distrettuale di Fulton County, Fani Willis, e quello di Manhattan, Alvin Bragg, appartengono entrambi all’Asinello. Inoltre, stando a quanto riportato da Atlanta News First, la Willis ha lanciato il sito per la raccolta fondi finalizzata alla sua rielezione nel 2024 appena pochi giorni prima di incriminare Trump. Quella stessa Willis che, nel 2022, fu redarguita da un giudice per aver ospitato un evento di fundraising a favore di un candidato locale dem che competeva contro un repubblicano oggetto della sua stessa inchiesta. Tutto questo, senza dimenticare che il procuratore speciale, Jack Smith, divenne capo della Public Integrity Section del Dipartimento di Giustizia nel 2010: ai tempi, cioè, dell’amministrazione Obama. Proprio Smith è stato inoltre nominato procuratore speciale dall’attuale capo del Dipartimento di Giustizia, Merrick Garland, a sua volta nominato dallo stesso Biden.

Attenzione: qui non stiamo dando giudizi sull’impianto accusatorio delle varie incriminazioni (alcune solide, altre molto meno). Né stiamo mettendo in dubbio un’ovvietà: e cioè che saranno i processi a stabilire se l’ex presidente sia colpevole o meno. Il punto è un altro. Chi si occupa di Giustizia non dovrebbe agire solo in modo equilibrato, ma dovrebbe anche apparire tale. Il naufragio del Russiagate, la condotta controversa dell’Fbi e i legami dei vari procuratori con il Partito democratico sono elementi che non vanno in questa direzione. E ciò ha delle conseguenze: basti pensare alla suddetta ascesa nei sondaggi da parte dell’ex presidente. In questo clima, sempre più politicizzato e incarognito, la foto segnaletica di Trump assume un valore quasi simbolico. Quella che avrebbe dovuto essere un’umiliazione potrebbe in realtà trasformarsi nel suo più efficace alleato.

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Stefano Graziosi