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(Ansa)
Dal Mondo

Ucraina, Gaza... si fa presto a dire Pace

Il No di Hamas alla proposta Usa dimostra come non basta parlare di Pace; serve ben altro, a partire da qualcuno, forte ed autorevole, che possa «obbligare» ad un accordo (ma che oggi nel mondo manca)

Quante volte abbiamo letto o sentito negli ultimi otto mesi queste frasi: «Siamo a favore di due popoli e due Stati»; «occorre dare un nuovo impulso alle trattative di pace»; oppure, «tacciano le armi ripartano le trattative di pace»; e anche «basta forniture di armi. Si lavori per la Pace»? E che dire di coloro che hanno messo la parola Pace nel loro simbolo elettorale espediente peraltro andato malissimo, come visto con l’ex tribuno televisivo Michele Santoro alla disperata ricerca di un nuovo ruolo e di Giuseppe Conte sempre più liquidatore del MoVimento 5 Stelle?

Questi concetti nobilissimi li abbiamo sentiti migliaia di volte, tuttavia, quando si chiede di approfondire la tematica ovvero come raggiungere questi obbiettivi «concretamente» non si sentono che altre banalità.

Da ormai otto mesi, quindi da qual maledetto 7 ottobre 2023, raccontiamo praticamente ogni giorno quanto accade nella Striscia di Gaza e lo abbiamo fatto anche andandoci nei luoghi dell’orrore per capire e per raccontare, e mai come oggi si avverte tutta la distanza che passa dalla narrazione mainstream che continua a bersi e a diffondere le balle di Hamas e quanto in realtà è successo e accade ogni giorno in questo conflitto. Inutile ricordare come nasce l’intervento armato di Israele che dal 7 ottobre è oggetto degli attacchi di Hamas, della Jihad islamica, degli Hezbollah, delle milizie siro-irachene tutti attori mossi dall’Iran, senza dimenticare la penosa vicenda degli ostaggi detenuti ancora nella Striscia di Gaza, dei quali importa solo agli israeliani come abbiamo visto con la recente liberazione di Noa Argamani e degli altri suoi sventurati compagni di avventura.

Per tornare al conflitto ed al difficile percorso della Pace, questa mattina con l’ennesima giravolta Hamas ha respinto la proposta di cessate il fuoco avanzata dagli Stati Uniti. Un funzionario israeliano, ampiamente citato dai media ebraici, afferma che la risposta di Hamas alla richiesta di liberazione degli ostaggi e all'offerta di una tregua «di fatto respinge la proposta». Secondo quanto riferito, la risposta di Hamas e della Jihad islamica include sostanziali modifiche all'offerta, tra cui una nuova tempistica per il rilascio degli ostaggi e il ritiro delle truppe israeliane da Gaza. Secondo il capo del Mossad, Dedi Barnea, «queste modifiche costituiscono un sostanziale rifiuto». Barnea è stato aggiornato sui dettagli della risposta dal primo ministro del Qatar, Muhammad Al Thani, e fonti a conoscenza dei dettagli hanno spiegato che «Hamas ha cambiato l'intera proposta». Secondo le fonti israeliane «il significato è chiaro: un rifiuto della proposta di Biden». Il piano annunciato dal presidente americano prevedeva, in una prima fase, un cessate il fuoco di sei settimane accompagnato dal ritiro israeliano dalle aree densamente popolate di Gaza, dalla liberazione degli ostaggi detenuti in territorio palestinese e dei prigionieri palestinesi detenuti da Israele. Nella dichiarazione congiunta Egitto e Qatar si sono comunque impegnati a proseguire i loro sforzi di mediazione fino al raggiungimento di un accordo, aggiungendo che «si coordineranno con le parti per quanto riguarda i prossimi passi». Di sicuro le reazioni più critiche arriveranno dagli Stati Uniti una volta che avranno finito di rivedere la proposta e valutare l'entità degli emendamenti di Hamas. In Israele nessuno si stupisce (nemmeno noi) e già la scorsa settimana alcuni funzionari di Hamas avevano dichiarato al Times of Israel che il gruppo terroristico «avrebbe evitato di respingere apertamente la proposta israeliana in mezzo al crescente sostegno globale per un accordo e avrebbe invece cercato di rivedere l’offerta». L'ufficio di Benjamin Netanyahu non ha rilasciato dichiarazioni, ma un funzionario israeliano ha affermato che Hamas «ha cambiato tutti i parametri principali e più significativi, equivalente a un rifiuto della proposta sul tavolo».

Quindi chi non vuole fermare la guerra, chi non vuole la Pace? Israele oppure Hamas? Gli israeliani attaccati il 7 ottobre 2023 (bene ricordarlo) hanno sempre detto che intendono distruggere completamente le organizzazioni terroristiche della Striscia di Gaza e pretendono la liberazione di tutti gli ostaggi oltre alla consegna dei cadaveri di coloro che sono stati uccisi durante la prigionia. Hamas tutto questo non lo vuole perché liberare gli ostaggi li lascerebbe senza più nessuna carta da giocarsi al tavolo negoziale senza contare le divergenze tra i leader «politici» che vivono a Doha e che vogliono trovare una soluzione per proteggere i loro patrimoni miliardari, aver salva la vita e che vogliono persino gestire il denaro della ricostruzione attraverso le loro imprese, e i capi militari che da mesi resistono invocando il martirio come unica soluzione al conflitto dopo aver preso atto che gli israeliano non li faranno mai fuggire in Egitto, Algeria o Tunisia, come più volte hanno richiesto.

La domanda qui è una: che pace si vuole fare ma soprattutto con chi farla se prima non riconoscono fatti e responsabilità accertate? Ed ancora, che senso hanno i tavoli negoziali se uno dei due attori da mesi mente? C’è chi vorrebbe che Israele si ritirasse domani mattina dalla Striscia di Gaza in ossequio alle volontà di Hamas, dell’Onu e dei Paesi che riconoscono la Palestina come nazione quando in realtà non esiste. Così facendo le organizzazioni terroristiche in breve tempo riorganizzeranno grazie ai soldi del Qatar e dell’Iran e rifaranno come promesso «un altro 7 ottobre». Tutto questo con buona pace dei «pacifinti» e occupanti vari che non hanno ancora capito che non accadrà perché Israele lotta per la sua stessa sopravvivenza.

Se si parla di parole vuote e di slogan non ci si può certo dimenticare della martoriata Ucraina invasa dalla Russia di Vladimir Putin il 24 febbraio 2022 a completamento delle precedente operazione del febbraio 2014. Il conflitto che pare infinito è passato in varie fasi ma il dato certo è quello delle vittime che sono migliaia. Il bilancio dei soldati russi morti in Ucraina ha superato la soglia dei 51.000 e il numero delle vittime nel secondo anno di guerra è aumentato di quasi il 25% rispetto al primo anno (27.300 soldati russi caduti). Questo aggiornamento è stato fornito da Bbc Russia e dal gruppo di media indipendenti Mediazona. Pesantissimo il tributo pagato dagli ucraini che hanno visto più di 10.500 civili uccisi, tra cui 587 bambine e bambini, e quasi 20 mila persone che sono state ferite mentre i soldati di Kiev deceduti in battaglia sarebbero 31.000.

Dopo l’iniziale ondata di solidarietà al popolo ucraino la propaganda russa ha riscritto la realtà tanto che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che non è certo un santo, è diventato un nazista (lui che è ebreo), un drogato, un assassino, un usurpatore, solo per usare alcuni degli epiteti usati contro di lui e la Nato colpevole secondo molti di essere la causa dell’invasione russa come se i Paesi dell’Est che hanno aderito all’Alleanza Atlantica lo hanno fatto perché obbligati da qualcuno. Una ricostruzione folle storicamente falsa che però ha fatto proseliti tanto che chi si azzarda a ricordare come stanno davvero le cose viene messo immediatamente alla gogna (se non minacciato), sui social network. Allora come si finisce questa guerra?

Vladimir Putin ha sempre rifiutato di prendere parte a conferenze di pace o trattative, così come non hai mai accettato un cessate il fuoco di qualche ora. Per lui quello che si è preso ammazzando e torturando -come visto a Bucha- gli appartiene, così come vuole tutto quello per il quale i soldati russi stanno combattendo oggi. Non c’è spazio per nessuna mediazione, o si accetta la sua volontà o niente. La Russia che siede incredibilmente ancora nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu dove ha ancora il potere di veto non intende fermare la guerra se non alle sue condizioni. È un fatto e non l’opinione di chi scrive.

Gli ucraini? Secondo i sostenitori del Cremlino che dicono di essere «costruttori di pace», non devono usare le armi occidentali per contrattaccare la Russia perché sarebbe un’escalation. Quindi gli ucraini secondo chi aderisce a questa corrente di pensiero, devono farsi bombardare a casa loro e non devono attaccare in Russia. A Kiev rivogliono come giusto che sia quello che gli è stato rubato e distrutto ma il solo fatto di chiederlo fa si che oggi siano loro i bersaglio dei «pacifinti» che cianciano da mesi di incontri diplomatici da tenersi con Putin che non riceve nessuno dei suoi e figuriamoci loro. Manca tutto, la volontà, mancano gli uomini di spessore e troppe persone anche nel mondo della politica e dell’informazione si sono messe a disposizione in tempi non sospetti del dittatore di Mosca. Chi per denaro e chi invece indossa le vesti di «polezny durak» che in russo significa «idiota utile». Se la guerra di Gaza può finire con l’annientamento militare di Hamas, il conflitto russo/ucraino pare davvero infinito e chi sperava nella Cina si rassegni. Da mesi i cinesi sostengono lo sforzo bellico russo attraverso forniture di materiali dual use inviati attraverso triangolazioni con Paesi terzi. Era il segreto di Pulcinella del quale se ne sono accorti persino i leader del prossimo del G7 al via da domani in Puglia. Faranno appello alla Cina affinché smetta di consentire e di sostenere la guerra della Russia contro l'Ucraina. Come scrive stamattina Bloomberg: «I Sette, accusano Pechino di fornire alla Russia tecnologie e componenti - alcuni trovati nelle armi, altri necessari a costruirle - aiutando gli sforzi di Mosca per aggirare una dopo l'altra le ondate di restrizioni commerciali del G7 su molti di questi prodotti».

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Stefano Piazza