Una Molotov sull'Europa
Su Telegram si recluta chi potrebbe compiere atti di sabotaggio nei Paesi del Vecchio continente. E dietro, a quanto pare, c’è il Cremlino
Da qualche tempo, incendi dolosi e danneggiamenti alle infrastrutture pubbliche in alcuni Paesi d’Europa si ripetono in maniera seriale e a questo punto sospetta. Nei Paesi Baltici, nel Regno Unito e in Germania, in particolare, è stata lanciata un’allerta - ritenuta credibile da parte delle forze di sicurezza e tuttora in corso - per la possibile strategia di un Paese straniero finalizzata a destabilizzare il Vecchio continente dall’esterno. La regia e il coordinamento di queste azioni criminali avrebbero già un nome e un indirizzo: piazza Dzerdzinskij, palazzo della Lubjanka, Mosca. Ovvero la storica sede del Kgb sovietico e oggi del servizio d’intelligence Svr, che svolge funzioni di polizia segreta interna, ma opera anche al di fuori dei propri confini. A confermarlo indirettamente sono stati i funzionari di ben cinque agenzie di sicurezza europea: Germania, Estonia, Austria e Lettonia. Interpellate per un’approfondita inchiesta dai giornalisti investigativi dell’Organized crime and corruption reporting project (Occrp), quattro di queste agenzie hanno confermato ai reporter che i casi di sabotatori reclutati online dal Cremlino sono reali, e che gli investigatori stanno «monitorando attentamente la situazione», qualunque cosa significhi.
I servizi d’intelligence della Federazione russa stavolta avrebbero dunque lanciato una nuova campagna di attacchi all’Europa che non si limita agli hackeraggi, ma punta al «salto di qualità». Né le agenzie d’intelligence né le polizie europee per il momento sono riuscite a collegare tali azioni alla guerra in Ucraina, ma il convincimento generale è che siano direttamente riconducibili alla frattura politico-diplomatica che l’invasione russa ha generato nei rapporti tra Bruxelles e Mosca. Terrorizzare l’Occidente e minarne le basi economiche. Sarebbe questo lo scopo dei misteriosi sabotatori. Per capire come operano, il citato gruppo di giornalisti sotto copertura ha indagato a fondo, scoprendo il sistema di reclutamento della manovalanza che è chiamata a compiere gli attacchi. I responsabili di incendi e danneggiamenti non sono funzionari di Stato russi e non appartengono all’intelligence di Mosca. La maggior parte, anzi, non ha neanche il passaporto russo. Però, in comune hanno una cosa: sono stati tutti reclutati in rete dagli uomini di Putin attraverso le chat Telegram, dove proliferano giovani annoiati e con idee confuse, ma sufficientemente filorussi da essere spinti per qualche centinaio di euro (in criptovalute) a compiere boicottaggi ai luoghi simbolo dell’Europa capitalista. L’Occrp ha anche pubblicato una conversazione per il reclutamento in cui l’account Privet Bot chiedeva a un ragazzo estone di imparare a confezionare e lanciare bombe Molotov, per soldi. Non è sfuggito che Privet Bot sia pubblicizzato su Grey Zone, il più grande canale Telegram filo-russo associato al gruppo mercenario Africa Korps.
Che funzioni così o no, è un fatto che nel continente sia andata in scena una catena di azioni inspiegabili che, sommati agli attacchi hacker, restituisce un quadro più ampio. Uno che il primo ministro polacco Donald Tusk, commentando il rogo avvenuto nel maggio scorso all’Ikea di Vilnius, Lituania, ha definito «opera di un sabotatore straniero». Tusk stesso ha fatto sapere che le autorità polacche hanno arrestato nove persone in relazione a questo e altri crimini che si presume siano stati commissionati da servizi russi. Sempre a maggio, un vasto rogo ha distrutto a Varsavia il più grande centro commerciale della Polonia, e le autorità indagano nella stessa direzione della pista lituana. Secondo questa lettura, negli ultimi due anni i tentativi di sabotaggio sono cresciuti di livello e intensità, inclusi quegli interventi che Indrek Kannik, direttore dell’International Centre for Defence and Security dell’Estonia, ha definito «terrorismo allo stato puro», sottolineando come questo tipo di reclutamento su larga scala non abbia fine perché «ha costi minimi».La questione dei «lupi solitari» è da sempre materia complessa (ricorda il terrorismo di matrice jihadista). Attribuire azioni violente a una sola organizzazione o Stato è un’idea fin troppo «rassicurante», perché lascia intendere che tutto finirà una volta sconfitto il nemico. Una spiegazione inadeguata. Nel 1998 l’Fbi americana lanciò l’operazione che avrebbe dato nome al fenomeno globale, appunto «operazione Lupo solitario», contro un gruppo di imprendibili suprematisti bianchi che agiva lungo la costa occidentale degli Stati Uniti. Alex Curtis, il loro capo, affermava in un’email ai seguaci: «I lupi solitari intelligenti e capaci di agire con freddezza possono riuscire in qualsiasi impresa. Ormai è troppo tardi per cercare di educare le masse». Come a dire che non c’è più bisogno di eserciti, perché pochi «agenti del caos» nascosti tra la gente comune sono più che sufficienti a logorare il nemico e convincerlo a desistere. Un’importante lezione che viene studiata in ogni accademia di polizia, ma la cui applicazione è appannaggio di pochi. Tra cui i russi.