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Usa, depenalizzazione delle droghe: è dietrofront

L’Oregon, capofila nell’apertura al consumo anche di sostanze “pesanti” come eroina, meth e fentanyl rivede le norme: troppe vittime e problemi di ordine pubblico. Ma altri stati scelgono di andare in direzione opposta con l’indulto

Sulle droghe gli Stati Uniti fanno dietrofront: la depenalizzazione, avviata in alcuni stati democratici come l’Oregon, è naufragata di fronte alle difficoltà di gestione dell’ordine pubblico da parte delle forze di polizia e ai problemi di salute connessi al consumo di droghe pesanti. Ma anche altri stati a guida democratica, generalmente più aperti alla tolleranza del consumo ad uso personale soprattutto di marijuana, stanno rivedendo le norme. D’altro canto cresce la preoccupazione per la diffusione del fentanyl, tanto che all’inizio dell’anno scolastico, a fine agosto, nelle high school americane sono stati distribuiti volantini a tutti gli studenti, allo scopo di sensibilizzare sui rischi connessi all’assunzione del potentissimo stupefacente.

Il caso più esemplare dell’inversione di rotta è comunque rappresentato proprio dall’Oregon. È stato il primo a decidere, negli Usa, la depenalizzazione delle droghe cosiddette pesanti. Era il 2020. La “sperimentazione”, però, è durata meno di 4 anni. Dal 1° settembre è entrata ufficialmente in vigore la nuova legge voluta dalla governatrice Tina Kotek (dem) che prevede che il possesso e consumo di eroina, cocaina, ecstasy, meth e fentanyl è nuovamente un reato. La pena può arrivare a sei mesi di carcere, mentre fino a pochi giorni fa era prevista soltanto una multa di 100 dollari. La linea di maggior tolleranza era stata sancita dall’esito di un referendum che prevedeva anche che ai consumatori o possessori di sostanze stupefacenti fossero fornite informazioni sui centri per il trattamento delle dipendenze. La produzione e la vendita, invece, erano rimasti illegali.

La decisione di tornare a una politica di maggior rigore è stata accolta, naturalmente, dalle critiche delle organizzazioni drug free, in particolar la Drug policy alliance, che fin dalla scorsa primavera, all’annuncio della nuova legge, aveva parlato di “pericoloso passo indietro”. “Si torna a porre l’accento sugli aspetti punitivi invece che sul trattamento delle dipendenze”, aveva dichiarato la presidente dell’associazione, Kassandra Frederique. Ma la governatrice Kotek ha tirato dritto, abbandonando il modello del Portogallo a cui si era ispirata. Le autorità di Lisbona, infatti, dal 2016 hanno introdotto una legislazione “innovativa”, cancellando l’arresto per i possessori di droghe – anche pesanti – entro i limiti stabiliti per uso personale: un grammo di eroina, ecstasy o anfetamina, due grammi di cocaina, 25 grammi di cannabis. In alternativa al carcere è previsto un percorso alternativo con un mandato di comparizione e obbligo di presentazione davanti a comitati, composti da psicologi, assistenti sociali e giuristi, che possono decidere di volta in volta trattamenti differenziati (dal semplice colloquio al ricorso a cure a base di oppiacei per la disintossicazione).

Ma un’inversione di politica in tema di droghe riguarda anche altri stati a guida democratica, come quello di Washington. Fin dalla primavera del 2023, infatti, è stata approvata una nuova norma che restringe la possibilità di consumo personale legale di droghe pesanti. “Questa legge non è stata pensata per riempire le carceri, ma i centri di disintossicazione”, si era affrettato a spiegare il governatore, Jay Inslee, anch’egli democratico. "Con gli investimenti che abbiamo stanziato creeremo più centri di cura sia nei piccoli comuni che nelle grandi città”, aveva aggiunto, dopo l’ondata di critiche che era giunta soprattutto dall’ala liberal del partito e dalle organizzazioni che si battono per la depenalizzazione totale del consumo di stupefacenti.

Ma cos’ha spinto l’Oregon (e non solo) a fare marcia indietro? Sicuramente il boom di overdose, trainato dalla diffusione del fentanyl, esploso negli ultimi tre anni. Il numero di vittime preoccupa non poco le autorità e non solo nello stato considerato all’avanguardia nell’apertura verso il consumo “consapevole” degli stupefacenti. A ciò si aggiungono i problemi di gestione dell’ordine pubblico. Non a caso la nuova legge prevede anche pene più severe in caso di vendita di droghe in aree pubbliche, come nei pressi dei parcheggi. Come spiegato dal capo della polizia di Portland Bob Day al Guardian, coloro che saranno colti in flagrante e accetteranno di essere sottoposti a programmi di disintossicazione (entro 30 minuti dal fermo) potranno evitare il carcere, ma solo a patto che siano in possesso di alcuni requisiti: “Non dovranno avere altri carichi pendenti con la giustizia, nessun avvertimento ufficiale, nessun comportamento violento pregresso” e dovranno essere “medicalmente stabili”.

Una delle criticità, però, riguarda proprio l’accesso ai trattamenti alternativi. Anche solo all’interno dello Stato dell’Oregon, infatti, non tutte le contee hanno predisposto i “centri di dissuasione”. Secondo un report citato da Fox News, infatti, 28 su 36 sono ben lungi dall’aver investito i fondi per i programmi di recupero, nonostante l’amministrazione centrale abbia messo a disposizione 20 miliardi di dollari tramite la Commissione di giustizia criminale. Per questo il direttore della salute pubblica della Drug Policy Alliance, Kellen Russoniello, parla di “sistema complicato”, spiegando che l’accesso ai percorsi alternativi al carcere “dipende pesantemente dal luogo esatto in cui ci si trova”.

Se il deputato democratico dell’Oregon Jason Kropf non perde ottimismo e si dice convinto che il nuovo corso funzionerà, pesano i numeri delle vittime del fentanyl, che rappresenta una piaga in tutti gli stati americani. Dalla west cost di Oregon e Washington alla east cost della Virginia, infatti, si moltiplicano le iniziative per arginare l’emergenza, che riguarda soprattutto i giovani. Per questo il Dipartimento della pubblica istruzione proprio della Virginia (governato dal repubblicano Glenn Allen Youngkin) ha consegnato a ciascuno studente della high school, il primo giorno di scuola, un volantino che ricorda come solo nel 2023 sono morte 2.000 persone a causa dell’oppioide e le vittime in tutti gli Usa sono più di 150 al giorno. “Due milligrammi di fentanyl possono essere letali, in base al peso, alla tolleranza individuale e al precedente consumo” della sostanza, si legge sul documento. I medici e gli assistenti sociali sono preoccupati, ma si trovano anche a combattere una battaglia nella quale non è assente una certa dose di calcolo politico.

Non a caso uno stato come il Maryland, guidato dal democratico Wes Moore, ha intrapreso una strada opposta. Ha fatto clamore, infatti, la sua decisione dello scorso giugno, quando il suo governatore, ex banchiere, scrittore e produttore televisivo, ha firmato la più grande grazia statale della storia americana, annullando 175.000 condanne per uso di cannabis. La scelta di quello che è il primo governatore nero del Maryland ha seguito la pubblicazione, appena un mese prima, della raccomandazione del Dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Biden di riclassificare la cannabis come una droga meno pericolosa di quanto non sia stata considerata finora. Da qui la decisione del Maryland, motivata da Moore anche per ragioni razziali. Secondo il governatore, infatti, l'indulto consente di riparare alle ingiustizie sociali e razziali, considerando che negli Usa i neri hanno tre volte più probabilità dei bianchi di essere arrestati per possesso di marijuana. Resta ora da capire gli effetti a lungo termine delle diverse leggi statali.

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Eleonora Lorusso

Nata a Milano, laureata in Lettere Moderne all’università Cattolica con la specializzazione in Teoria e Tecnica dell’Informazione, è giornalista professionista dal 2001. Ha lavorato con Mediaset, Rai, emittenti radiofoniche come Radio 101 e RTL 102,5, magazine Mondadori tra i quali Panorama dal 2011. Specializzata in esteri e geopolitica, scrive per la rivista di affari internazionali Atlantis, per il quotidiano La Ragione e conduce il Festival internazionale della Geopolitica europea dal 2019. Dal 2022 vive negli USA.

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