soldati usa
(US Marine)
Dal Mondo

Usa ed Arabia, le prossime mosse sul delicato scacchiere mediorientale

Gli Usa studiano la punizione dopo l'attacco alla base in Giordania mentre l’Arabia Saudita lavora per il post conflitto

Ieri il presidente degli Stati Uniti Joe Biden parlando con i giornalisti ha detto: «Non voglio un allargamento del conflitto in Medio Oriente e non penso che abbiamo bisogno di una guerra più ampia in Medio Oriente, non è quello che sto cercando», ma anche confermato «di aver deciso come rispondere all'attacco contro le forze Usa in Giordania», mentre gli Huthi si sono detti «pronti per uno scontro a lungo termine con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna».

Martedì scorso Biden ha dichiarato di ritenere l’Iran responsabile di aver armato gli autori dell’attacco avvenuto con i droni nella notte del 27-28 gennaio ad un avamposto militare americano chiamato “la Torre 22”, che si trova in Giordania, vicino ai confini tra Iraq e Siria. A morire sono stati tre soldati dell'esercito americano William Rivers, 46 anni, Kennedy Sanders, 24 anni, e Breonna Moffett, 23 anni oltra a 40 feriti. I militari erano assegnati alla 718ª Compagnia Ingegneri, unità di riserva dell'Esercito degli Stati Uniti con sede a Fort Moore, in Georgia.

La Torre 22, che accoglie circa 350 membri del personale dell'esercito e dell'aeronautica americana, rappresenta una base logistica e di supporto cruciale per la guarnigione di Al Tanf, utilizzata dagli Stati Uniti e dai loro partner siriani nella lotta contro lo Stato Islamico. Fino al recente fine settimana, la Torre 22 non era stata oggetto di attacchi da parte delle milizie sostenute dall'Iran, nonostante i loro continui attacchi iniziati a metà ottobre. Un portavoce del Pentagono ha dichiarato lunedì che l'esercito americano sta valutando se errori umani abbiano contribuito al mancato intercettamento del drone nemico. Alcuni esperti di gruppi militanti hanno sollevato l'ipotesi che ciò possa derivare da una tattica astuta adottata dalla milizia. Michael Knights del “Washington Institute for Near East Policy” ha affermato a The Wall Street Journal (WSJ) che le milizie iraniane hanno talvolta cercato di superare le difese statunitensi utilizzando droni che seguono da vicino la traiettoria dei droni americani. Ha poi aggiunto che le milizie hanno anche fatto volare droni negli stessi corridoi di atterraggio utilizzati dagli aerei di linea civili per avvicinarsi alle basi dove sono presenti truppe americane, come a Erbil e Baghdad. L'Iran ha respinto categoricamente ogni collegamento con l'attacco dei droni. Lunedì, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani, ha definito qualsiasi accusa di coinvolgimento iraniano come infondate e mirate a trascinare gli Stati Uniti in un nuovo conflitto in Medio Oriente. «La responsabilità delle conseguenze delle accuse infondate mosse contro l'Iran ricade su coloro che avanzano tali affermazioni», ha dichiarato Kanaani ai giornalisti a Teheran. La Resistenza Islamica in Iraq, un gruppo di milizie filo-iraniane, ha invece rivendicato la responsabilità degli attacchi contro tre basi statunitensi, compresa la guarnigione di Al Tanf.

Mentre si attende la reazione americana il gruppo armato iracheno Kataib Hezbollah, fedele all'Iran, ha annunciato martedì la sospensione di tutte le sue operazioni militari contro le truppe statunitensi nella regione, con una decisione volta a prevenire« imbarazzi» del governo iracheno. Come riporta le Reuters in comunicato il segretario generale di Kataib Hezbollah, Abu Hussein al-Hamidawi scrive: «Annunciamo la sospensione delle operazioni militari e di sicurezza contro le forze di occupazione al fine di evitare imbarazzi del governo iracheno ma continueremo a difendere il nostro popolo a Gaza in altri modi». Gli Stati Uniti stanno valutando diverse opzioni in risposta agli attacchi attribuiti al personale paramilitare iraniano della Forza Quds in Siria, Iraq e Yemen. Tra le possibilità considerate come scrive The Wall Street Journal ci sono attacchi mirati al personale paramilitare in questi paesi, alle navi iraniane in mare o un massiccio attacco contro il gruppo di miliziani sostenuto dall'Iran, responsabile degli attacchi, secondo funzionari statunitensi attuali ed ex. Un attacco diretto in Iran è considerato meno probabile.

Funzionari statunitensi hanno suggerito che la risposta potrebbe comprendere una campagna di attacchi aerei di più giorni, mirati a una vasta gamma di centri militari e di comando e controllo nella regione. Lunedì mattina, il presidente Biden si è riunito con la sua squadra di sicurezza nazionale nella Situation Room della Casa Bianca per discutere degli ultimi sviluppi relativi agli attacchi. Tra i partecipanti c'erano il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario alla Difesa Lloyd Austin, il direttore dell'intelligence nazionale Avril Haines e altri alti funzionari. Il presidente Biden ha affrontato la situazione in seguito agli attacchi e la sua squadra ha esaminato opzioni che includono azioni contro il personale paramilitare iraniano in vari teatri operativi. Qui va notato il ritorno al Pentagono del segretario alla Difesa Austin dopo il suo trattamento per il cancro alla prostata, un fatto che non era stato precedentemente divulgato alla Casa Bianca e che aveva creato tensioni interne. Come detto con l’attacco alla base americana dello scorso fine settimana l’Iran ha superato la cosiddetta “linea rossa” un fatto che mette a dura prova gli equilibri di quello che è chiamato “L’Asse della Resistenza” formato dagli Huthi delle Yemen, gli Hezbollah libanesi, Hamas e la Jihad islamica nella Striscia di Gaza, e le varie milizie sparse tra Iraq e Siria. Va ricordato che

potere militare e finanziario iraniano è il collante dell'alleanza, ma Teheran non ne ha il pieno controllo. Infatti, non tutti i membri adottano l'ideologia sciita iraniana, e i vari gruppi hanno obiettivi interni che a volte sono in netto contrasto con quelli di Teheran. Alcuni operano in regioni geograficamente remote, rendendo quasi impossibile (specie ora) per l'Iran fornire armamenti, consulenza e addestramento. Ad esempio, Hamas, pur essendo un movimento sunnita, o gli Houthi nello Yemen, nonostante il sostegno iraniano, agiscono in modo del tutto indipendente, con i loro attacchi alle spedizioni marittime che creano problemi nei flussi commerciali globali, portando a risposte da parte di Stati Uniti e Regno Unito. Infine, mentre le trattative per un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi sono appese a un filo l’Arabia Saudita si muove sottotraccia per disegnare il post-conflitto. Dieci giorni fa come scrive Axios c’è stato un incontro riservata tra alti funzionari della sicurezza nazionale di Arabia Saudita, Giordania, Egitto e Autorità Palestinese a Riyadh e ha avuto come scopo il coordinamento dei piani per il periodo successivo alla guerra a Gaza. Durante l'incontro, si è discusso anche su come coinvolgere un'Autorità Palestinese rivitalizzata nel governo del paese. Questo rappresenta un segno del crescente coordinamento tra l'Arabia Saudita e l'Autorità Palestinese, specialmente in relazione agli sviluppi nella regione dopo l'inizio della guerra a Gaza.

È importante notare che l'Autorità Palestinese e i suoi alleati arabi stanno esplorando opzioni per la fase successiva al conflitto, mentre il governo israeliano non ha ancora delineato chiaramente la sua visione per il governo di Gaza nel caso in cui raggiunga l'obiettivo di sconfiggere Hamas. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si oppone al coinvolgimento dell'Autorità Palestinese a Gaza, ma finora non ha presentato un'alternativa. Il capo di stato maggiore delle forze di difesa israeliane, generale Herzi Halevi, ha avvertito il gabinetto di sicurezza israeliano che i successi militari a Gaza potrebbero essere vanificati senza un piano diplomatico israeliano per il periodo successivo. Di certo le mosse saudite che puntano a escludere Hamas e quindi l’Iran dalla Striscia di Gaza, saranno un tema che seguiremo nelle prossime settimane.

I più letti

avatar-icon

Stefano Piazza