Xi Jinping, l'ultimo imperatore della Cina
Come previsto il congresso del partito comunista ha dato il via libera al terzo mandato per il leader che diventa sempre più potente
La conclusione del ventesimo congresso del Partito comunista cinese ha significativamente rafforzato il già notevole potere di Xi Jinping. L’attuale leader ha innanzitutto ricevuto un inedito terzo mandato da segretario generale: un fattore che, secondo la Cnn, potrebbe condurlo addirittura a un incarico a vita.
In secondo luogo, sono stati introdotti degli emendamenti alla Costituzione: emendamenti che hanno definito Xi il “fulcro” del partito e lanciato moniti aggressivi nei confronti di Taiwan. In terzo luogo, non va trascurato il verificarsi di un vero e proprio repulisti politico all’interno del Comitato centrale: varie figure, considerate non politicamente vicine al leader, sono infatti state escluse. Infine, non si può non citare quanto accaduto sabato nel corso della cerimonia di chiusura del congresso, quando l’ex presidente cinese, Hu Jintao, è stato scortato a forza fuori dalla Grande sala del popolo. La versione ufficiale è che sia stato trasferito in un salone attiguo a causa di alcuni problemi di salute. Tuttavia non sfugge a nessuno che Hu non è mai stato in rapporti troppo cordiali con Xi. Ragion per cui non è affatto escludibile che l’attuale presidente abbia deliberatamente voluto umiliare e colpire un potenziale punto di riferimento per i suoi oppositori interni.
Insomma, è fuori di dubbio che Xi abbia consolidato il proprio potere. Va tuttavia notato che il presidente cinese non può neppure dormire sonni troppo tranquilli. Non dimentichiamo che, da quando è salito al potere nel 2012, la Repubblica popolare ha registrato una performance economica assai meno brillante rispetto ai tempi di Hu Jintao e di Jiang Zemin. Inoltre, la sua severissima politica “zero Covid” ha creato ampi malumori tra la popolazione e tra alcuni settori del partito.
Non bisogna poi trascurare la politica estera. Per quanto riguarda Taiwan, va rilevato che, al di là della retorica roboante, non è detto che Xi abbia intenzione di assecondare i falchi del partito: il presidente sa bene che, in caso di invasione militare dell’isola, Pechino rischia di ritrovarsi impantanata a causa di una guerriglia. Dall’altra parte, stanno tuttavia aumentando le pressioni per quanto concerne la spinosa questione dei microchip. Il che fa di Taiwan un dilemma di difficile soluzione per Xi.
Un secondo dilemma geopolitico per lui è quello riguardante la Corea del Nord. Pyongyang ha ripreso il suo attivismo missilistico e, nei prossimi giorni, potrebbe addirittura condurre un settimo test nucleare. Qualora questo scenario di concretizzasse, Xi si troverebbe davanti a un problematico bivio. Se si schierasse con Kim Jong-un, inasprirebbe ulteriormente le tensioni con Washington, ritrovandosi inoltre in imbarazzo all’Onu. Se al contrario abbandonasse il leader nordcoreano, indebolirebbe il fronte antiamericano in Estremo oriente.
Si tratta di nodi rilevanti per il presidente cinese. Nodi che, nei prossimi mesi, potrebbero portare gli oppositori interni a tentare di fargli qualche sgambetto. Xi risulta al momento il vero (e unico) dominus della Repubblica popolare: questo è senz’altro vero. Ma il suo sistema di potere è ciononostante attraversato da alcune significative crepe. Crepe che, chissà, prima o poi potrebbero allargarsi.
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