Delitto di Avetrana: le 4 piste abbandonate troppo presto
La quarta puntata della controinchiesta di Panorama sull'omicidio di Sarah Scazzi fa emergere nuovi dubbi sulla colpevolezza di Sabrina Misseri e Cosima Serrano
Magari ci fosse sempre una sola verità. Ma se in ogni inchiesta per omicidio tutti i testimoni che forniscono informazioni che non collimano con la tesi dei pm venissero accusati di depistaggio, saremmo 60 milioni di indagati. Ad Avetrana, per l’assassinio di Sarah Scazzi, i difensori di Sabrina Misseri e di sua madre Cosima Serrano, condannate all’ergastolo con sentenza definitiva il 21 febbraio 2017, hanno dovuto fare lo slalom fra i possibili testimoni a favore che via via sono stati delegittimati. Tuttavia, sia le indagini difensive sia quelle dei carabinieri di Avetrana e Taranto avevano offerto molti spunti per piste alternative. Piste che avrebbero potuto condurre lontano dalla famiglia Misseri, come Panorama numero 50 ha raccontato nella seconda puntata di questa controinchiesta («Sarah e il mistero delle feste al mare»), oppure convergere su una colpevolezza piena di zio Michele, che prima si era accusato dell’assassinio della nipote quindicenne e poi invece ha mandato all’ergastolo moglie e figlia, nella convinzione, come risulta da un’intercettazione, che tanto se la sarebbero cavata «con due anni di prigione».
Con due ergastoli inferti alle due donne, una delle quali, Sabrina, è entrata in carcere a soli 22 anni, è difficile sorvolare su queste strade non imboccate o lasciate troppo presto. A cominciare dall’improvvisa attività telefonica di Michele poche ore prima della scomparsa di Sarah, con una serie di chiamate con il fratello Carmine e il nipote Cosimo, pregiudicato.
E poi, seconda pista non battuta dai pm, ecco una vicina di casa, Anna Lucia Morleo, che parla degli uomini che frequentavano ogni giorno il garage di casa Misseri, ma finisce a sua volta indagata. Oppure, terza anomalia, macroscopica, quella del fioraio Giovanni Buccolieri, che prima accusa Sabrina e la madre Cosima di avere rapito e ucciso Sarah, ma subito dopo si pente e spiega che le ha solo sognate. E infine, l’ora del delitto, che i pm fissano alle 13,30 (orario che «salva» Michele), nonostante una serie di testimoni sostenga di aver visto la quindicenne tra le 14 e le 16.
Un vortice di telefonate
La prima pista malamente abbandonata è la più banale: quella del telefono di Michele. In quell’agosto del 2010, Misseri è un contadino di 56 anni, che si spacca la schiena nei campi. È un uomo semplice, descritto da tutti i compaesani come una persona mite. Le giornate di Michele ad Avetrana, nella bella stagione, sono sempre uguali: sveglia alle 3 e mezza; lavoro nei campi; rientro nella villetta di via Deledda; pranzo, intorno alle 2, quasi sempre da solo; riposino, anche di un paio d’ore; qualche lavoro in garage; poi, di nuovo nei campi fino a cena.
L’esame del tabulato del suo cellulare nelle giornate del 24 e del 25 agosto di otto anni fa, ovvero alla vigilia della scomparsa di Sarah, ci consegna un dato coerente con il personaggio: zero telefonate e zero sms, a parte una comunicazione ricevuta da Vodafone.
Invece, il 26 agosto 2010, sul suo cellulare inizia un vorticoso traffico di chiamate, e questo ben prima che Sabrina, che con un’amica aspetta la cuginetta per andare al mare alle 14,30, lanci l’allarme. Tra le 5,10 e le 11,40 si registrano sei chiamate, in entrata e uscita. Poi dalle 14,55 quando Michele chiama Sabrina, seguono altre 24 telefonate. E anche nei due giorni seguenti, lo zio sembra un adolescente al quale hanno appena regalato il telefonino. Quelle sei comunicazioni prima di mezzogiorno sono interessanti. Avvengono con il fratello di Michele, Carmine Misseri, e il nipote Cosimo «Mimino» Cosma, che aveva precedenti penali.
Quella vicina di casa mai ascoltata
Anche la seconda pista scartata ha a che fare con Mimino. Nell’ambito delle indagini difensive per Sabrina e la madre Cosima, spunta ancora lui, insieme con altre persone che frequentavano il garage di zu’ Michele. Secondo il racconto della vicina di casa, Anna Lucia Morleo, avevano l’abitudine di andarsene o fare immediatamente silenzio quando arrivava un estraneo. Costoro scompaiono dalla scena della villetta di Avetrana due giorni prima del ritrovamento del cellulare di Sarah, avvenuto il 29 settembre nei campi lungo la strada che collega Avetrana con Nardò. La signora Morleo non è stata mai ascoltata dagli inquirenti, mentre altri vicini di casa sono stati sentiti più volte.
La sua attendibilità è stata delegittimata dall'inchiesta per falsa testimonianza, iniziata dalla Procura di Taranto nei confronti suoi e di altri testimoni che hanno reso dichiarazioni favorevoli a Sabrina Misseri durante il giudizio di primo grado. E per falsa testimonianza sono stati processati anche Cosima Prudenzano e Giuseppe Nigro, rispettivamente la suocera e il cognato del fioraio di Avetrana, Giovanni Buccolieri, sul cui racconto si fonda la condanna di primo grado. In secondo grado, invece, suocera e cognato vengono assolti dall’accusa di depistaggio. Che cosa avevano fatto?
Il sogno (o la realtà) del fioraio
Tecnicamente la storia del fioraio, forse, non è una «pista», ma è comunque un significativo campanello d’allarme per i pm. Buccolieri viene chiamato perché i pm vengono informati che ha visto Cosima e Sabrina caricare in macchina, a forza, Sarah, per portarla chissà dove. La signora Prudenzano riferisce il racconto di Buccolieri a sua mamma, Anna Pisanò, e costei lo racconta a un carabiniere. Il fioraio viene convocato dai pm e gli viene chiesto che cosa sappia. Buccolieri racconta tutto come un fatto reale; dopo due giorni, però, contesta l’accuratezza del verbale, parla di «suggestioni», afferma che è stato solo un sogno. Per questo viene imputato per false dichiarazioni.
Ma tiene duro, non ritratta e, come racconta la giornalista Maria Corbi sulla Stampa del 27 luglio 2015, anche nel processo d’appello conferma: «Io non voglio andare all’inferno per aver fatto condannare due innocenti». Lo hanno almeno processato, Buccolieri? Sì, l'hanno anche condannato in primo grado per falsa testimonianza a due anni e otto e mesi. Ma solo il 22 novembre 2017. È molto probabile che il dibattimento non arrivi al secondo grado per via della prescrizione. La morale giudiziaria è: buono il sogno, ma non il sognatore.
Un orario da rivedere
La quarta pista scartata tocca uno degli elementi chiave di ogni inchiesta: l’ora del delitto. Mimino Cosma, il nipote di Michele, è stato di nuovo coinvolto dal compaesano Vito Antonio Palmisano, che nelle sue quattro deposizioni ripete di aver visto un’auto amaranto, guidata da un uomo che poi identifica in Mimino, tra le 14,30 e le 15, nei pressi della casa dei Misseri. Le dichiarazioni di Palmisano trovano conferma in quelle rese da sua moglie Anna Rita Panzuto, che estende però l’arco di tempo tra le 14 e le 16. Se hanno ragione questi due testimoni, allora crolla la tesi della Procura di Taranto, secondo la quale Sarah sarebbe sparita alle 13,30.
L’anticipo degli orari, che scagionerà Michele Misseri e manderà all’ergastolo Cosima e Sabrina, si deve fondamentalmente al supertestimone dei pm, Antonio Petarra. Il quale, però, all’inizio mette a verbale una versione completamente diversa e con orari spostati sul primo pomeriggio. L’avvistamento di Mimino sarebbe stata una pista importante, ma i pm si orientano su Sabrina e Cosima, mentre fratello e nipote di Michele verranno sì indagati e condannati, ma solo per averlo aiutato a disfarsi del cadavere. Mimino morirà poi di tumore a 46 anni, nell’aprile del 2014, dopo la condanna di primo grado a sei anni di reclusione. Anche Sabrina è accusata di depistaggio. Quando viene trovato sul suo cellulare un sms anonimo («Mamma sto bene, non ti preoccupare»), che il giudice delle indagini preliminari ipotizza auto-inviato da Sabrina. Poi, però, saranno i carabinieri a scoprire che il messaggio era stato spedito «in un momento di follia» dalla scheda intestata a una certa Maristella Rizzato, compagna del pluripregiudicato Luis Antonio Caponio, all’epoca detenuto nel carcere di Lecce e affiliato alla Sacra corona unita, la mafia pugliese. Per un caso della vita, anche il proprietario dell’uliveto dove viene ritrovato il corpo di Sarah si chiama Rizzato, ed è uno dei pochi a conoscere l’esistenza di quella cisterna.
Ricapitolando i passi di questa controinchiesta:
1) non c’è la certezza che il cadavere nel pozzo sia quello di Sarah Scazzi;
2) l’uomo che prima accusa se stesso e poi scarica tutto su moglie e figlia, Michele Misseri, è imbottito di psicofarmaci;
3) c’è un villino dove gli amici del fratello di Sarah, Claudio, fanno delle feste (e c’è anche la droga) e che deve restare un segreto assoluto;
4) ci sono parenti e amici di Michele su cui non si è quasi indagato, e anche qualche pregiudicato di troppo sulla scena del delitto, o ai suoi margini;
5) ci sono testimoni che offrono squarci di verità diverse da quella sposata dalla Procura, e che finiscono nei guai. C’è infine un avvocato di grande fama ed esperienza come Franco Coppi, legale di Sabrina Misseri in Cassazione, che dieci mesi dopo la condanna definitiva, il 4 dicembre 2017, dirà al Corriere della Sera: «Ho pensato addirittura di abbandonare la professione. (…) Non mi stancherò mai di ripetere che la sua è una pena ingiusta, mostruosa. Sapere di non essere riuscito a dimostrare la sua innocenza non mi fa dormire la notte». Se il presupposto di ogni condanna, secondo il Codice penale, è che la colpevolezza risulti «al di là di ogni ragionevole dubbio», ecco: ad Avetrana di dubbi ce ne sono un po’ troppi.
(4- Continua)
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