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Delitto Moro: l’identikit di "Defilato", un imprendibile delle Brigate Rosse

A Firenze c'è un uomo, in libertà, che era "il contatto sporco" dei fiancheggiatori delle Br che gestivano gli interrogatori del presidente della Dc

Quarant’anni dopo il sequestro Moro c’è ancora chi, tra quei terroristi che progettarono il più eclatante attacco allo Stato, è sfuggito agli arresti. Qualcuno che conosce molti segreti delle Brigate rosse, dagli anni ’70 ai giorni nostri.

Il suo nome in codice è il “Defilato”, l’uomo che unisce via Fani agli ultimi attentati brigatisti di Nadia Desdemona Lioce; il giovane militante che accompagnava il braccio destro di Barbara Balzerani, componente del commando che sequestrò Moro, nei suoi soggiorni fiorentini e ha poi permesso di organizzare il gruppo di Nadia Lioce. Passando come testimone, se non protagonista, dei delitti brigatisti degli anni ’80.

La Renault 4 rossa nella quale il 9 maggio del 1978 fu trovato il corpo di Aldo Moro. L'auto è nel garage dell'Autocentro della Polizia a Roma. Verrà presto trasferita al Museo delle auto storiche della Polizia di Stato, Roma, marzo 2018 (Foto Panorama/Giorgio Sturlese Tosi)

L'antiterrorismo continua a dargli la caccia perché ha ancora le chiavi di accesso a molti segreti delle vecchie e delle nuove Brigate Rosse, dai covi agli arsenali, ai nomi dei brigatisti ancora in libertà.

A svelare la sua esistenza agli investigatori è stata la brigatista Nadia Desdemona Lioce, la primula rossa che aveva ucciso Massimo D’Antona e Marco Biagi e che fu catturata il 2 marzo 2003 a Castiglion Fiorentino dopo lo scontro a fuoco sul treno in cui persero la vita il sovrintendete di Polizia Emanuele Petri e il terrorista Mario Galesi. O meglio, sono stati i computer e i floppy disk scoperti, nove mesi dopo quella sparatoria, nel covo brigatista in via Montecuccoli, a Roma. Quell’archivio digitale conteneva 183.690 files, protetti da numerose password. Violate grazie anche alla collaborazione dell’Fbi statunitense.

Dalla lettura di quei documenti gli investigatori scoprirono che il Defilato era l’unico che – scrivevano le stesse Br nei loro documenti interni - "conosceva i meccanismi per entrare in contatto con la sede centrale, le modalità di ripresa del rapporto con l’Istanza Centrale cioè la parte residua dei militanti di quel collettivo”. Cioè di quei compagni che parteciparono alle azioni degli anni ’80.

In una foto della Polizia scientifica, uno dei mozziconi recuperati nei posaceneri delle auto usate dai brigatisti nell'agguato di via Fani. Su richiesta della Commissione Moro la polizia, con nuovi macchinari, ha estratto dei profili biologici che sono stati confrontati con i dna prelevati ad alcuni terroristi. Tra coloro che hanno spontaneamente fornito il proprio dna per un confronto, ci sono Adriana Faranda e Mario Morucci. Un secco no è invece arrivato agli investigatori da Barbara Balzerani e Giovanni Senzani. Roma, marzo 2018 (Credits: Panorama/Giorgio Sturlese Tosi)

Quel nome in codice ha destato l’interesse dello Sceti (Servizio contrasto estremismo e terrorismo interno), l’ex Ucigos. E soprattutto della Digos fiorentina, che ben conosceva la storia dei movimenti eversivi toscani. Furono così ripescate le indagini condotte sull’omicidio, nel 1987, dell’ex sindaco Lando Conti. Rileggendo quegli atti, in questura hanno ritenuto di poter retrodatare la militanza nella lotta armata della Lioce fino a quegli anni. La brigatista, che oggi sconta la sua pena al 41bis nel penitenziario dell’Aquila, unica detenuta “politica” in regime di carcere duro, nel 1978, da Foggia, si trasferisce a Pisa e già scrive lettere d’amore immaginando il suo futuro dietro le sbarre.

Frequenta ambienti antagonisti, viaggia tra Mosca e il Nicaragua e, quando le Br toscane uccidono Lando Conti, viene perquisita dalla Digos. Conti venne ucciso con la stessa mitraglietta Skorpion impiegata negli omicidi di due militanti del Msi, a Roma, nel 1978; del professor Ezio Tarantelli, sempre a Roma nel 1985, e del senatore democristiano Roberto Ruffilli, nel 1988, Forlì. Quella mitraglietta, marchio di fabbrica Br, non è mai stata ritrovata. E le sentenze hanno accertato che non tutti i responsabili di quegli omicidi sono stati individuati e condannati.

Tra i loro fiancheggiatori c’erano certamente militanti dei Nuclei comunisti combattenti, organizzazione guidata da Nadia Lioce che progettava la ricostruzione delle nuove Brigate Rosse. Ancora oggi il dossier della Digos sulla Lioce sta a portata di mano, accanto all’ufficio di Gabinetto, al secondo piano della questura di via Zara, a Firenze.

A parte la beffarda logica alfabetica che lo posiziona accanto a quello del terrorista nero Mario Tuti, il fascicolo della Lioce si distingue per i colori: poche pagine bianche, relativamente recenti, e quelle ormai gialle e fragili delle antiche indagini sul Comitato rivoluzionario toscano, l’organizzazione che, in riva d’Arno, diede ospitalità alla Direzione Strategica delle Brigate Rosse che, proprio da Firenze, nel 1978, gestì il sequestro, gli interrogatori e l’assassinio di Aldo Moro.

Tra quelle carte vecchie e nuove c’è una corposa relazione che la Digos ha inviato alla procura della Repubblica di Firenze nel 2006. Panorama ha potuto leggere quelle carte dove, per la prima volta, si traccia il profilo politico e criminale del Defilato, fino ad ipotizzare quattro nomi di personaggi tuttora a piede libero, depositari di segreti protetti per decenni.
Trentotto pagine con le quali gli investigatori, riassumendo piste investigative dimenticate o inedite, ricostruiscono una matrice fiorentina, ma anche pisana e del litorale tirrenico, dell’organizzazione eversiva più sanguinaria della nostra storia.

Panorama ha consultato gli atti processuali e i vecchi atti di indagine citati nella relazione riservata. Una rilettura che, dopo decenni, dimostra che, grazie a quei nomi, è possibile riannodare il filo dei misteri che ancora avvolgono gli assassinii commessi da brigatisti vecchi e nuovi. Fino a suggerire un’inedita chiave di lettura della metamorfosi del brigatismo italiano: che cioè se Curcio, partendo da Trento, fondò le Brigate Rosse, il loro sanguinario cammino fu portato avanti soprattutto da ex militanti di Lotta Continua, fondata a Pisa da Adriano Sofri.

I nomi contenuti nella relazione inviata alla procura di Firenze, che però non riuscì ad emettere capi d’accusa circostanziati, riportano ai covi toscani dove si riunivano Mario Moretti e compagni. E al magma di fiancheggiatori che da Pisa e della costa tirrenica predisposero i preparativi per il sequestro Moro.

Sul cruscotto della Renault 4 dove fu recuperato il corpo dello statista, infatti, era esposto il tagliando assicurativo rubato proprio a Pisa nel 1976 dal Comitato rivoluzionario toscano. Proprio da quel gruppo di militanti (Paolo Baschieri, Dante Cianci - altro foggiano emigrato a Pisa come la Lioce -, e Giampaolo Barbi), fermati a Firenze, nel dicembre 1978, con varie armi comprate con lo stesso porto d’armi utilizzato per acquistare un fucile pompa marca Ithaca trovato nel covo di via Gradoli il 18 aprile 1978. Oltre alle chiavi di uno dei covi fiorentini dove si riunivano, nei giorni del sequestro Moro, Moretti e la Balzerani.

D’altronde Barbara Balzerani a Firenze aveva stretto rapporti con i componenti della brigata Catabiani, attiva dalla costa al capoluogo toscano, con frequenti incursioni a Milano e Roma, poi confluita nel Comitato rivoluzionario toscano.

Il Defilato fa parte di quel gruppo ma riesce a sfuggire agli arresti. Poi, negli anni ’80, sempre accompagnandosi alla Balzerani - che dal carcere rivendica l’omicidio di Lando Conti - contribuisce a riformare le Brigate Rosse. Partecipa quindi all’organizzazione degli ultimi omicidi firmati dalla stella a cinque punte (Ezio Tarantelli, Lando Conti e Roberto Ruffilli) e per qualche anno, appunto, si defila. Fino ad essere riattivato, nel 1997, dalla Lioce, che ben conosceva.

Ma chi è il Defilato? Gli esperti dell’antiterrorismo hanno redatto una lista di quattro nomi; tutti personaggi ben noti ai più anziani tra i poliziotti fiorentini. Mentre a Roma gli analisti sperano che le nuove tecnologie possano estrarre un’identità certa dalle prove dormienti repertate sugli omicidi D’Antona e Biagi. Capelli e altri reperti biologici che quindici anni fa non fornirono un profilo genetico completo, che i nuovi strumenti acquistati dalla Polizia scientifica potrebbero ricostruire.

Panorama ha rintracciato quei quattro sospettati. Sono nati tra il 1962 il 1965. Uno di loro è di origini straniere, un altro gestisce un bar, uno è un sindacalista e un altro partecipa alle iniziative dell’Associazione nazionale partigiani. Tutti e quattro sono ancora attivi nell’ultrasinistra.

Tutti hanno frequentato o frequentano il Centro popolare autogestito Firenze Sud, come faceva Mario Galesi e, prima di lui, alcuni dei brigatisti degli anni ’80. Lo stesso centro sociale fiorentino dove Barbara Balzerani, oggi libera, proprio nella ricorrenza del sequestro Moro, “per fuggire ai fasti del quarantennale”, ha annunciato la presentazione del suo ultimo libro.

Alla riunione, tra vecchi compagni e giovani antagonisti che forse nemmeno sanno chi era Aldo Moro, potrebbe esserci anche il Defilato.

(Una versione più breve di questo articolo è stata pubblicata sul numero di Panorama in edicola il 15 marzo 2018, in un servizio ampio dedicato ai 40 anni dal rapimento e l'omicidio di Aldo Moro)

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Giorgio Sturlese Tosi

Giornalista. Fiorentino trapiantato a Milano, studi in Giurisprudenza, ex  poliziotto, ex pugile dilettante. Ho collaborato con varie testate (Panorama,  Mediaset, L'Espresso, QN) e scritto due libri per la Rizzoli ("Una vita da  infiltrato" e "In difesa della giustizia", con Piero Luigi Vigna). Nel 2006 mi  hanno assegnato il Premio cronista dell'anno.

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