Denise Pipitone, il dna conferma: abbiamo scherzato tutti
La differenza di età, la storia, le leggende sui rom. Non c'erano i presupposti per credere al messaggio su Facebook dalla bambina di Tito
Non era Denise, non poteva essere Denise Pipitone. E non c'era bisogno del test del dna per smontare un'illusione costruita sul nulla.
Lo sapevamo benissimo noi giornalisti, come lo sapevano i rappresentanti delle forze dell'ordine, i magistrati e gli avvocati a diverso titolo coinvolti nella lunga storia della bambina di Mazara del Vallo scomparsa nel nulla mentre giocava sotto casa il primo settembre 2004.
Il fatto è questo: una bambina di 11 anni che vive a Tito, in provincia di Potenza, scrive il messaggio "Sono Denise Mamma" sul profilo Facebook di Piera Maggio, la donna che da oltre un decennio non ha mai smesso di cercare la figlia. Dopo di che alla redazione del tgr regionale della Basilicata arrivano alcune telefonate ritenute interessanti.
Ma c'è un particolare che ha portato un po' tutti a credere che la bambina che aveva scritto il messaggio dal suo computer di casa potesse essere la vera Denise. Lei porta il cognome della madre, mentre quello del padre, che non l'ha riconosciuta, è lo stesso di una famiglia di nomadi che viveva nel campo di Mazara del Vallo all'epoca della scomparsa di Denise. Famiglia che era stata oggetto di accertamenti nella prima fase delle indagini.
Tutto questo è bastato per farci chiudere gli occhi davanti ad alcuni punti che erano chiari fin dall'inizio e che portavano in direzione opposta rispetto alla piccola Pipitone.
La differenza di età, per cominciare. Se fosse viva, oggi Denise avrebbe 15 anni, mentre la bambina di Tito ne ha 11. Inoltre, la mamma e il papà sono serbi, non hanno nulla a che vedere con i rom. Il cognome del genitore è molto diffuso nella ex jugoslavia. Altro dettaglio: la storia della bambina e della mamma era tutta tracciata nei vari passaggi italiani fino al paesino della Basilicata.
Da ultimo: per dare credito a questa storia bisogna per forza credere alla leggenda degli zingari che rubano i bambini. Che può accadere, certo. Ma sono più frequenti e documentati i casi di delitti maturati dentro le mura domestiche per i quali si prova a scaricare tutto su chi non può difendersi.
Detto questo, gli inquirenti hanno fatto benissimo ad effettuare il test del dna. Non bisognava lasciare alcun margine di dubbio. Un po' meno bene abbiamo fatto noi ad aspettare il responso con un finto fiato sospeso.
Ora è ufficiale: si è trattato di una stupidaggine commessa da una bambina. Che fra l'altro aveva ammesso subito le sue colpe. Punto. Ma ora il legale di Piera Maggio, l'avvocato Giacomo Frazzitta, dice che questa storia non può essere lasciata passare senza colpo ferire e che si tratta di procurato allarme.
Nulla di più improbabile. Una bambina di 11 anni non ha capacità di intendere e di volere, quindi non è imputabile. La colpa non può neppure ricadere sulla mamma, primo perché la responsabilità penale è personale, secondo perché al massimo la donna sarebbe responsabile di omessa sorveglianza. Ma passiamo sotto un profilo civilistico e non penale.
In ogni caso la mamma non avrebbe lasciato la figlia di 11 anni sola con una pistola in mano, ma soltanto non sorvegliata mentre era al computer. Reato grave da un punto di vista pedagogico e sociologico, ma per il quale rischiano di finire alla sbarra l'80 per cento dei genitori italiani.
Alla fine del giro rimaniamo noi. La domanda che ci dobbiamo porre è questa: una notizia che arriva dal profilo facebook di una bambina di 11 anni ha di per sé valore di allarme? Proviene da una fonte qualificata? O va prima valutata e pesata? Prima di assegnarle una dignità che non le appartiene.