Di Maio e Salvini, vincitori a metà obbligati a parlarsi
Improbabile l'alleanza, ma una convergenza serve a 5 Stelle e Lega per obiettivi circoscritti
Si possono mettere insieme il diavolo e l'acqua santa? No. Ebbene, anche un'alleanza tra grillini e leghisti è da annoverare tra le cose impossibili. Il popolo del reddito cittadinanza e dell'assistenzialismo di massa, è agli antipodi da quello della flat tax e dello sviluppo dell'economia per creare lavoro. Per cui un governo che si basi su una maggioranza di questo tipo è fuori dalla realtà.
"Roba da scherzi a parte" taglia corto il leghista Gianmarco Centinaio, mentre al solo pensarlo il grillino Roberto Fico ha il voltastomaco.
La suggestione di un'impossibile alleanza 5 Stelle-grillini è, invece, un prezioso espediente tattico che Matteo Salvini e Luigi Di Maio ventilano per ridurre a più miti consigli possibili alleati o interlocutori politici.
Si potrebbe definire una sorta di maggioranza d'interdizione che serve per impedire agli altri di intraprendere strade che possano mettere in discussione gli equilibri del voto del 4 marzo.
Una parte per il Pd
Ad esempio, quando qualcuno nel centrodestra ha pensato di coinvolgere in qualche modo il Pd nella scelta delle cariche istituzionali o nelle trattative di governo, Salvini ha subito evocato la suggestione grillina.
Come pure, sull'altro versante, Di Maio, appena ha constatato che l'opera di seduzione verso il Pd non avrebbe dato i frutti sperati, ha aperto subito un dialogo con la Lega. Ma, appunto, è una sorta di minaccia senza seguito.
C'è solo una convergenza tattica, visto che entrambi sono interessati ad instaurare una sorta di bipolarismo di cui loro dovrebbero essere i due campioni contrapposti. Motivo per cui puntano a legittimarsi reciprocamente e a lasciare gli altri ai margini del gioco politico.
L'elezione dei presidenti di Camera e Senato potrebbe esser la prova generale di questa filosofia: alla fine delle solite manovre di rito, infatti, leghisti e grillini potrebbero spartirsi tra loro le due cariche.
Forse alleati, ma comunque avversari
Dopo questo passaggio, però, i due faranno la loro partita che li vedrà di nuovo avversari. Anche perché con il Pd che si è chiamato fuori da qualsiasi trattativa sia con Di Maio, sia con Salvini, i due per tentare di formare un governo dovranno reclutare nella palude dei parlamentari che non vogliono assolutamente andare al voto. Impresa impossibile per Di Maio, ma estremamente ardua anche per Salvini e che lascia perplessi i suoi alleati.
"Matteo" confida uno dei colonnelli di Forza Italia, che pure gli vuole bene "si è messo in testa di arruolare i grillini-leghisti. L'idea di votare Emilio Carelli presidente della Camera è un modo per dare un riferimento a tutti quei 5 stelle che sono allergici alle elezioni anticipate. Ma è un'operazione che non va da nessuna parte. Innazitutto perché ne verrebbe fuori una maggioranza labile. Poi, perché Mattarella non può prendere in considerazione un gruppo di parlamentari sparsi per dare vita ad una maggioranza di governo. A meno che quest'area non si stacchi dai 5 Stelle e formi un gruppo parlamentare autonomo. Ipotesi altamente improbabile a un mese dal voto".
Simili manovre dimostrano che i due, sul piano strategico, saranno sempre e comunque avversari. Le alleanze, quando si verificheranno, saranno solo tattiche per raggiungere obiettivi circoscritti, tipo le elezioni delle cariche istituzionali,o per immaginare un tragitto che porti nel breve-medio periodo alle elezioni, se l'equilibrio politico che uscirà dalle trattative per la formazione del prossimo governo non soddisferà entrambi. Ma per non avere intoppi e non creare contropoteri nei rispettivi partiti, sia Di Maio sia Salvini dovranno essere molto attenti sui profili di chi mandare al Senato e alla Camera.
La storia recente della Repubblica è costellata di personaggi che, arrivati negli organi istituzionali, si sono resi autonomi da chi li ha eletti, se non addirittura avversari: Bertinotti con Prodi, Casini e Fini con Berlusconi, Grasso con il Pd.
In fondo, se l'obiettivo minimo di entrambi è quello di poter decidere la data delle prossime elezioni, allora farebbero bene a occupare in prima persona quei ruoli. "Stiamo ragionando" ammette il leghista Stefano Candiani "se valga la pena di eleggere i vincitori di queste elezioni alle presidenze delle due Camere: Salvini al Senato e Di Maio a Montecitorio".
È fatale:i vincitori che vincono a metà sono assillati dai sospetti.
(Questo articolo è stato pubblcato sul numero di Panorama in edicola il 15 marzo 2018)