Di Maio e Salvini veloci, Parlamento lento anzi fermo: i dati dello stallo
Questo è l'inizio di legislatura tra i meno produttivi della storia repubblicana. In compenso i due leader sono iperattivi
Ogni mercoledì, giorno principale di raduno a Montecitorio, il deputato semplice Andrea Caso è tra i più lesti ad arrivare. Diligente, entra, si sposta nella Sala dei giornali, legge un po', posta qualcosa di ammiccante sui social e poi va alla buvette a bere un buon caffè. A quel punto, come la gran parte dei 221 colleghi del Movimento 5 stelle, non sa più cosa fare.
Al netto di qualche comparsata in Aula o in Commissione, il tempo - tanto tempo, troppo tempo - lo trascorre suo malgrado praticando il rito della "chiacchiera persa". Ovvero: ciondolando da una parte all'altra del Transatlantico insieme a qualche compagno di partito. Quella di Caso è la banale consuetudine della stragrande maggioranza degli eletti.
La frustrazione dei parlamentari gialloverdi
I parlamentari sono annoiati se non frustrati. Tanto decidono tutto Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Se persino il premier Giuseppe Conte a volte è scavalcato, figurarsi il resto. Infatti, nella stessa situazione di avvilimento si trova il grosso dei 123 eletti della Lega alla Camera e la quasi totalità dei senatori di maggioranza, 109 per il M5S e 58 per il Carroccio.
D'altronde da mesi il Parlamento lavora di rado. I provvedimenti da analizzare, seppur assai enfatizzati mediaticamente, sono rarissimi. Non a caso la produttività di deputati e senatori è al minimo storico, come mai in passato, al punto che costoro si occupano soltanto di tutto quello che non è rinviabile, tipo i decreti legge.
I dati della poca operosità del Senato
I dati ufficiali parlano chiaro. La XVIII legislatura è partita il 23 marzo 2018. Da quel giorno e fino al 17 luglio, le sedute sono state appena 22 a Palazzo Madama e 27 a Montecitorio. Il primo impegno per i senatori è stato quello di eleggere presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati; compito assolto già il 24 marzo. Da quel momento il Senato è tornato a riunirsi solo un'altra volta a marzo, il 28, per le dimissioni del premier Paolo Gentiloni, l'individuazione dei gruppi parlamentari e l'attribuzione di qualche poltrona. Poi l'assemblea è stata convocata due volte ad aprile, tre a maggio, otto a giugno e finora sei a luglio.
Il problema è facile da individuare: il governo è lento. Dal debutto della legislatura all'attenzione di Palazzo Madama non sono arrivati grandi provvedimenti da analizzare; anzi, non ne sono proprio arrivati. Tra i testi passati sui banchi si segnala solo qualche decreto risalente all'esecutivo Gentiloni, come quello sul terremoto del 28 giugno.
Per il primo testo varato dal governo Conte bisognerà attendere il 24 luglio, quando a Palazzo Madama arriverà il decreto sul Palagiustizia di Bari, approvato alla Camera il 17 luglio.
I dati scarni della Camera dei deputati
A proposito di Montecitorio, se Sparta piange, Atene di certo non ride. A parte l'espletamento di tutti gli obblighi regolamentari, finora le sedute dei deputati sono state 2 a marzo, 5 ad aprile, 3 a maggio, dieci a giugno e 7 a luglio. Saranno però gli onorevoli, il 24 luglio, a tenere a battesimo il tanto atteso e discusso "Decreto dignità" firmato da Di Maio. Però, appunto si tratta di un decreto, non di un'iniziativa parlamentare. Non solo. Il testo è stato di fatto blindato anche nelle sue modifiche.
Come denuncia Maria Stella Gelmini, capogruppo di Forza Italia a Montecitorio, "la maggioranza vorrebbe imporre un iter flash: pochissimi giorni in Commissione e poi una volata finale per il passaggio in Aula. Non è accettabile un atteggiamento di questo tipo. Il Parlamento abbia il tempo necessario per esaminare in maniera approfondita il provvedimento. Senza forzature e senza strappi".
Insomma, dopo anni trascorsi ad accusare i governi di centrosinistra per aver affossato le prerogative delle Camere, alla prima occasione ai gialloverdi si imputa la stessa colpa. Eppure in campagna elettorale sia Di Maio (in modo deciso) sia Salvini (più blando) avevano promesso di rimettere il Parlamento al centro della scena politica. Invece la scena se la sono presa loro, Luigi e Matteo, ed episodicamente qualche altro ministro. Dei loro deputati e senatori si è gia persa memoria. E alla lunga questo potrebbe diventare un problema con gli elettori. O almeno così spera l'opposizione.
Perché il governo rischia la crisi di rigetto
Perché va bene l'efficace gestione della comunicazione e dei social network su vitalizi, immigrati, legittima difesa, pensioni d'oro, negozi chiusi nei festivi e quant'altro. Ma al deputato e al senatore semplice il meridionale medio potrebbe presto domandare del reddito di cittadinanza e della mancata abolizione della legge Fornero. E il settentrionale imprenditore (e portatore di voti) potrebbe cominciare a rimproverare il decreto dignità e l'omessa flat tax.
Il meridionale e il settentrionale hanno capito anche dalle parole del ministro dell'Economia Giovanni Tria che non c'è trippa per gatti. Per quanto saranno pazienti? Per Edoardo Novelli - docente di comunicazione politica all'Università Roma Tre - se alle grandi parole non seguiranno fatti concreti (ed è difficile che seguano), con la sua strategia propagandistica il governo "rischia la crisi di rigetto". Un esempio? Al decimo o quindicesimo barcone respinto, gli italiani si saranno assuefatti, non gliene importerà più nulla. E cominceranno a chiedere conto del figlio disoccupato, della nonna con la pensione da fame, della tasse salate e del marito o della moglie senza cittadinanza (inteso come reddito).
Alcuni mal di pancia si sono già manifestati. Il mondo delle associazioni e del volontariato di matrice prevalentemente pentastellata, mentre guarda atterrito alla battaglia sulle poltrone di Stato (a partire da Rai e Cassa depositi e prestiti) attende ancora provvedimenti su sanità, energia, acqua e scuola pubblica. Sono tutte faccende fondamentali contenute nel contratto di governo.
Per ora si sa solo che i militanti di Greenpeace - prima delle elezioni vicinissimi ai 5 Stelle e ora contrari alla politica governativa sui migranti - hanno protestato con grande veemenza davanti al ministero dei Trasporti di Danilo Toninelli. Per rimuoverli è dovuta arrivare la polizia in tenuta antisommossa.
(Articolo pubblicato sul n° 31 di Panorama in edicola dal 19 luglio 2018 con il titolo "Leader veloci, Parlamento lento. anzi fermo")