Diga di Pontesei: 60 anni fa l'incidente che anticipò il Vajont
Il 22 marzo 1959 si staccò una frana molto simile a quella del vicino Vajont, ma il monito fu ignorato dai responsabili SADE. Paesi isolati e un morto
Nel marzo del 1959 la diga di Pontesei, nel comune di Zoldo Alto (Belluno), era in fase di completamento a poca distanza da quella del Vajont e faceva parte dello stesso sistema idroelettrico che collegava gli impianti degli affluenti del Piave (sistema Piave-Boite-Maè-Vajont). Concepita nel progetto iniziale della S.A.D.E. (Società Adriatica di Eletttricità) del 1939, sarà realizzata soltanto dopo la metà degli anni '50, quando la crescente domanda di energia elettrica nell'Italia del boom economico determinò l'accelerazione dei lavori al sistema che collegava gli affluenti del Piave al confine tra Veneto e Friuli.
Lo sbarramento del lago di Pontesei, alimentato dal torrente Maè, fu completato nel 1960 ed alimentava le turbine della centrale omonima con un salto idraulico di circa 90 metri alla quota di 735 m/slm lungo la strada che collega Longarone con Forno di Zoldo, lungo la vallata prospiciente a quella dove era cominciata la costruzione della diga del Vajont. La distanza tra il lago di Pontesei e il centro di Longarone è di appena 13 chilometri.
Mattina del 22 marzo 1959, Domenica delle Palme
L'anno prima dell'entrata in funzione della centrale idroelettrica, il 22 marzo 1959, l'incidente.
Durante le prove d'invaso precedenti il collaudo, con il livello del bacino mantenuto a 13 metri sotto la portata massima, i tecnici della S.A.D.E. iniziarono a notare chiazze di acqua giallastra nelle acque del lago di Pontesei, seguite poco dopo da inquietanti brontolii provenienti dal ventre della montagna. Per precauzione iniziarono le operazioni di svuotamento dell'invaso mentre veniva monitorato il movimento dello smottamento del fronte della montagna ormai fradicio d'acqua infiltrata dalle acque del lago. Mentre si svolgevano ancora le operazioni di messa in sicurezza, la frana accelerò e in meno di un minuto circa 3 milioni di metri cubi di detriti piombarono nelle acque gelide del bacino, generando un'onda di piena alta oltre 20 metri. Per la medesima causa che determinerà la tragedia alla vicina diga del Vajont appena 4 anni più tardi, soltanto per un caso vi fu una sola vittima. La massa d'acqua e fango generata dal fianco del Fagarè (sponda sinistra del lago) investì il custode dell'impianto Arcangelo Tiziani, il cui corpo non verrà mai ritrovato. A causa della frana e della massa di fango rimasero isolati i tre comuni di Zoldo Alto, Forno di Zoldo e Zoppé (6.500 abitanti complessivamente).
Il silenzio dei responsabili su una tragedia che anticipò il Vajont
Nonostante le similitudini geomorfologiche tra le due dighe dello stesso sistema, dopo l'incidente di Pontesei i responsabili della Società Adriatica (che poco dopo sarebbe stata nazionalizzata nell'Enel) non fecero tesoro dell'esperienza dell'incidente del 1959. Le omissioni su quella frana che anticipò il disastro del 1963 emersero durante l'iter giudiziario sulla strage del Vajont, quando nel 1969 fu ascoltata la deposizione dell'Ing. Camillo Linari, responsabile dell'impianto di Pontesei. Scampato egli stesso alla morte in occasione della frana del 1959 dopo essersi arrampicato sul fianco della montagna inseguito dalla furia delle acque, Linari dichiarò di non aver mai accennato ad uno studio comparativo tra Pontesei e il vicino Vajont, e neppure di averne ricevuto richiesta dai vertici S.A.D.E.
Dalle parole di Linari emerse anche il disinteresse di alcuni dei personaggi chiave della tragedia del 1963, come il geologo Edoardo Semenza (figlio del progettista del Vajont e responsabile dei rilievi al monte Toc). Altrettanto silenzio opposero altri responsabili della società elettrica e del Genio Civile, tra cui il più assordante fu quello dell'Ing. Alberico Biadene, uno dei condannati nella sentenza del 1971 per il disastro che cancellò la vita a Longarone. Anche lui all'incidente di Pontesei non farà mai cenno.