Dimissioni del Papa. Dario Antiseri: «Ma la Chiesa ora è più forte»
Il filosofo romano analizza il gesto di Joseph Ratzinger. Scoprendone la grande umanità ma anche i vantaggi per il Vaticano - tutto sulle dimissioni del Papa -
«Solo chi sa riconoscere le sue debolezze è un grande uomo, e in questo la decisione di Joseph Ratzinger è di straordinaria importanza». In tempi di dogmi (politici, religiosi, economici) fa piacere un’affermazione che mette al centro l’uomo, più che la sua funzione. Dario Antiseri è uno dei più importanti filosofi italiani. Ha 63 anni e insegna metodologia delle scienze sociali alla Luiss di Roma dopo essere stato preside allo stesso ateneo della facoltà di scienze politiche. Ha tradotto e diffuso in Italia il pensiero di Karl Popper, il filosofo dell’empiriocriticismo. Ma è conosciuto dai liceali di tutta Italia soprattutto per il manuale di storia della filosofia: scritto con Giovanni Reale della Cattolica di Milano, è stato tradotto in russo ed è rimasto per molte settimane il secondo libro più venduto in classifica, con molte centinaia di migliaia di copie all’attivo. Tanta popolarità è valsa ad Antiseri e a Reale la laurea honoris causa dell’Università di Mosca. Una bella soddisfazione, in quello che fu il tempio delle teorie marxiste, essere premiati sulla tesi cara ad Antiseri che la ricerca della verità si basa sulla consapevolezza della fallibilità.
Dal marxismo alla Chiesa, i dogmi attraversano tempi duri: se pure un Papa si dimette...
Sinceramente non me lo sarei mai aspettato. Una notizia sconvolgente, ma piena di straordinaria importanza.
Segnale di forza o di debolezza?
È un grande segno di responsabilità nei confronti della Chiesa e un gesto di umiltà immensa. I tempi stanno cambiando, la Chiesa è percorsa da problemi enormi e c’è bisogno di una guida forte fisicamente e moralmente. Il Papa ha detto: «Io non ce la faccio, sento il peso, non ho la forza, lascio ad altri». Ammettere tutto questo mi sembra sia uno straordinario segnale di forza.
Stanislao Dziwisz, che fu il segretario particolare di Giovanni Paolo II, ha criticato papa Ratzinger: «Non si scende dalla croce» ha detto.
È vero, ma a volte la sofferenza morale è più forte di quella fisica. Non credo che quella del Papa sia stata una decisione improvvisa o improvvisata. E comunque non sono d’accordo con quanti pensano a una fuga. Per dimettersi da Papa ci vuole molto, molto coraggio. Perché, se non ho la forza di guidare la Chiesa, è di grande serietà ammetterlo e farsi da parte.
È un segnale del cambiamento dei tempi anche per il Vaticano?
Certo, l’atteggiamento è molto cambiato. Non era mai successo. Il Papa è sempre stato lì, fino alla fine. E allora dov’è il cambiamento? È lì, davanti ai grandi problemi della Chiesa cattolica, che è la più grande istituzione morale del mondo e la più ascoltata. La Chiesa deve veramente funzionare. Il Papa deve scegliere i vescovi, tenere i rapporti con gli stati e con le altre confessioni, in particolare col mondo musulmano, deve governare gli scandali. Insomma, ci vuole una forza straordinaria. Se uno si rende conto, a un certo momento della sua vita, che questa forza è venuta meno, credo ci troviamo di fronte a un gesto di profonda umanità nei confronti della Chiesa e dell’umanità intera.
Come può essere interpretato?
Non so quali siano le dinamiche o le cordate all’interno della Chiesa, però rispondo con una domanda: scantona più dai problemi una persona che si rende conto di non avere più la forza per risolverli, e apre la porta a qualcuno più forte di lui, o una persona che sa di non essere in grado di risolvere le difficoltà ma finge di saperlo fare?
Le dimissioni potranno produrre contraccolpi?
Non so quali siano le reali condizioni di salute del Papa, ma si vede che è debilitato. Penso che i credenti si rendano perfettamente conto del gesto di questo grande Papa. E proprio questo gesto sarà nuova linfa per una Chiesa che non fugge dai problemi ma li guarda in faccia.
Le dimissioni del Papa potranno fare scuola in un paese, l’Italia, dove le dimissioni sono la merce più rara?
Me lo auguro. I problemi reali e le istituzioni sono la cosa più importante delle nostre azioni e della nostra presenza. È un precedente che potrebbe aiutare la Chiesa ma anche l’Italia. La nostra politica e la nostra classe dirigente, sempre così distanti dai cittadini, dovrebbero prenderne atto.
Per esempio?
Pensiamo soltanto a che cosa significa la legge elettorale in vigore. Oppure ai problemi dei giovani, dell’università, della formazione. O ancora a quelli della sanità, che quando uno ne ha più bisogno non trova risposte. Ecco, quelli che stanno lì vita natural durante fanno male quello che devono fare e non si dimettono mai. Il paradosso è che sono pagati da noi perché ci facciano del male. Allora sì, certo che sarebbe bellissimo se quello del Papa potesse diventare un grande esempio per tutti.
Se lei dovesse definire questo gesto in termini filosofici?
Direi che un uomo che riconosce le proprie debolezze è un uomo forte. Ci vuole più coraggio a riconoscere le proprie debolezze che a nascondere i propri difetti. E sono sicuro che questo gesto farà di Joseph Ratzinger un grande nella storia del papato. Ma, cosa ben più importante, lo farà grande nella storia dell’umanità.