Le scuse (incredibili) di Djokovic
Il serbo ammette di aver violato le regole anti Covid, ma parla di errori umani e di giudizio. E accusa il mondo di fare disinformazione mentre l'Australia decide se espellerlo
Diciamo la verità: il lungo post sui social con cui Novak Djokovic ha rotto il silenzio, provando a dare risposta alle troppe domande inevase nella vicenda del suo sbarco in Australia con esenzione dal vaccino Covid, rappresentano nella migliore delle ipotesi la toppa peggiore del buco. E lacerano ulteriormente il velo di credibilità del numero uno del tennis mondiale, apparso nella storia (in cui per ora ha trovato formale via libera dal tribunale federale di Melbourne) come il classico vip che ritiene di poter vivere al di sopra delle regole per gli uomini comuni.
Di fronte alle contestazioni su quanto fornito alle autorità australiane come spiegazione della richiesta di esenzione, cui si è aggiunta l'evidenza di comportamenti quanto meno discutibili di cui c'è ampia traccia nel resoconto delle settimane trascorse tra Serbia e Spagna prima di volare a Melbourne, Djokovic ha scelto la linea dell'ammissione di colpa. Parziale. Accusando il mondo fuori di "fare disinformazione" e declassando a errori di giudizio o umani tutti gli sbagli - tanti - commessi per cercare di aggirare l'obbligo vaccinale, condizione necessaria per poter raggiungere il paese dei canguri e prendere parte all'edizione 2022 degli Australian Open dando corpo così al sogno di vincere il 21° Slam di una carriera straordinaria.
Ha scritto Djokovic, ricostruendo la storia della sua positività del 16 dicembre cui è seguita un'intensa attività pubblica (sempre senza mascherina) nei giorni successivi, di essersi accorto di aver commesso un errore di giudizio nell'accettare comunque di sostenere un'intervista al giornale francese L'Equipe pur sapendo di essere positivo al Covid. Di averlo fatto sempre rispettando il distanziamento sociale rispetto al giornalista e di essersi tolto la mascherina solo per essere fotografato, salvo poi tornare a casa e chiudersi in isolamento riflettendo sul fatto che avrebbe fatto meglio ad annullare l'impegno.
Scuse risibili. A nessuna persona comune sarebbe consentito di uscire indenni da una violazione tale mettendo a rischio la propria e, soprattutto, l'altrui salute. Dunque resta il dato, ora accertato anche per confessione del diretto interessato, che Djokovic almeno in un'occasione non ha rispettato le norme di isolamento pur consapevole del suo stato di positività.
C'è poi il secondo passaggio, quello relativo all'omissione nella compilazione del form di ingresso in Australia. Mancano totalmente indicazioni sul fatto che il serbo avesse viaggiato nei 14 giorni precedenti il volo, pur essendo stato in Spagna. "Errore umano" del suo agente, ha spiegato Nole, come se in epoca di pandemia le risposte da fornire alle numerose richieste burocratiche per spostarsi da un paese all'altro fossero un dettaglio di poco conto. Chiunque sia stato all'estero nel 2021, per lavoro o vacanza, sa quanta cura sia stata necessaria per evitare errori e di essere respinti in aeroporto. E tanti hanno avuto disavventure alle diverse frontiere. Djokovic no. Sostiene che uno staff pagato per gestire tutta la parte burocratica della sua attività, dai contratti ricchissimi alle questioni quotidiane, possa essere incorso nella dimenticanza di segnalare il passaggio in Spagna.
Credibile? No. Come molte altre cose in questa vicenda che si è trasformata in questione di Stato e nella quale, alla fine, sarà la politica a prendere la decisione sull'espulsione di Novak dall'Australia oppure no. Per inciso: ci sono colleghi tennisti che, nella convinzione di non volersi vaccinare, seguiranno gli Australian Open dal divano di casa. Per non parlare di tutti gli altri, che sportivi professionisti non sono. Comunque vada a finire, Djokovic ha fatto un doppio fallo da cui sarà difficile riprendersi.
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