Donald Trump all'Onu: lo showman fa prove di leadership
Nel suo discorso più attenzione alla riduzione del bilancio che alla proliferazione nucleare. Contro Iran e Corea del Nord, parole dure ma rituali
"Gli Stati Uniti hanno molta forza e pazienza. Ma se saremo costretti a difendere noi stessi o i nostri alleati, non avremo altra scelta che distruggere totalmente la Corea del Nord. L’uomo razzo si è messo in una missione suicida per sé e per il suo regime. Gli Stati Uniti sono pronti…".
Queste durissime parole, pronunciate dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, potrebbero suonare come l’ultimo avvertimento di Washington al leader nordcoreano Kim Jong Un (l’uomo razzo di cui sopra, in riferimento alla serie di missili lanciati nel Pacifico dal regime di Pyongyang), prima che si passi ai fatti. Ma non è esattamente così.
Infatti, pur senza rinunciare alla teatralità che gli è propria, nella frase successiva il presidente-mattatore (che ben conosce l’arte della suspense e le regole dello showbiz) ha smorzato subito i toni, osservando come "tutto ciò non sarà necessario. Perché a questo servono le Nazioni Unite".
Così, è riuscito nel duplice scopo di minacciare un nemico dichiarato e parimenti infiocchettare un encomio - del tutto inaspettato - nei confronti dell’ONU, istituzione da lui più volte vituperata per il ruolo giudicato pressoché inutile e per il carico oneroso per le casse delle nazioni che vi contribuiscono. A cominciare proprio dagli Stati Uniti, che a questo ente devolvono ogni anno 7,3 miliardi di dollari per operazioni di pace e 5,4 miliardi per il bilancio regolare.
Rivedere le regole dell’ONU
Dunque, lo scopo del discorso del presidente americano non era teso a minacciare ulteriormente la Corea del Nord. Anche perché non se ne vede proprio il bisogno, visto che più di così si può soltanto passare ai fatti. No, il suo obiettivo era molto meno geopolitico e ben più pragmatico, ovvero "assicurare che nessun Paese sostenga un fardello sproporzionato, militare e finanziario".
Perché "dobbiamo fare le Nazioni Unite grandi" ha concluso il ragionamento, riecheggiando lo slogan che lo ha portato alla vittoria alle presidenziali del 2016 (“Make America Great Again”). Senza però rinunciare a un’ultima battuta velenosa, quando ha rimarcato "…non di nuovo", a sottolineare cioè come le Nazioni Unite "great", ossia "grandi", non lo siano mai state.
Ciò che contava di più per la Casa Bianca in questo appuntamento era difendere la posizione sulla riduzione dei contributi devoluti all’ONU, e al contempo favorire il piano del nuovo segretario generale, Antonio Guterres, che sta lavorando a una riforma del Palazzo di Vetro, per dare più trasparenza e ridurre il peso della macchina burocratica delle Nazioni Unite, che negli anni ha creato inutili sprechi e incomprensibili ruoli doppione. E, appunto, rivedere le procedure di bilancio.
Per dirla in termini brutali, di questi tempi si vola basso alle Nazioni Unite. Si pensa per lo più a far quadrare i conti, mentre quei temi che dovrebbero essere al primo posto dell’agenda internazionale - temi davvero cruciali come la pace in Medio Oriente o la gestione di crisi umanitarie come quella venezuelana o yemenita o nel Mediterraneo - fanno soltanto da sfondo al parlatorio. Né si parla chiaramente di riforma del Consiglio di Sicurezza, vero organo paralizzante di ogni decisione che conti all’ONU.
Trump sull’Iran
Nel discorso di Trump, in ogni caso, è emerso almeno un elemento importante di proiezione geopolitica, quello cioè che ha per oggetto l’Iran. La posizione dell’Amministrazione Trump in materia non è più un segreto: lo storico accordo per il nucleare siglato da Barack Obama con il regime degli Ayatollah "francamente è fonte d’imbarazzo per gli Stati Uniti", ha sentenziato il presidente.
Una posizione che Israele non può che condividere, e non a caso Donald Trump ha espresso anticipatamente questo pensiero durante un incontro a porte chiuse con il premier israeliano.
Il governo iraniano "è disposto a morte e distruzione", mentre il suo popolo vuole il cambiamento, è la tesi americana. "Oltre alla vasta potenza militare degli Stati Uniti, i leader iraniani temono i loro stessi cittadini" ha detto Trump, riferendosi implicitamente a una possibile “primavera persiana” di là da venire. Il che per una volta è coerente con quanto sostenuto dal tycoon repubblicano sin dal primo giorno di lavoro alla Casa Bianca.
Un bilancio positivo
Tutto sommato, dunque, da parte di Trump i toni della prima giornata assembleare sono stati sorprendentemente moderati rispetto a quanto ci si poteva aspettare dal personaggio. Donald Trump appare sempre più sicuro di sé e del ruolo che riveste. E, nonostante un inizio scioccante, il 45esimo presidente degli Stati Uniti ha compiuto un’evoluzione da gennaio a oggi che, con il primo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si è conclusa in suo favore. Chi si aspettava il peggio, è rimasto deluso.
Forse perché circondato da uno staff che in questi mesi ha diluito le spinte più estremiste. O forse perché i suoi consiglieri iniziano a conoscerlo meglio. Forse ancora perché è consapevole che lo aspettano momenti ben più difficili di questi. Fatto sta che, anche se come oratore è e rimarrà ben lontano da chi lo ha preceduto, almeno oggi sappiamo che la mutazione da showman a manager pubblico è ormai compiuta. E probabilmente, vista la caratura del personaggio, non ci possiamo aspettare di più da lui.