In Italia è strage di donne: un delitto ogni due giorni
I tragici dati nella giornata internazionale contro la violenza. E a Milano, 218 richieste d'aiuto per stalking.
Marika, 29 anni, aveva gli occhi verdi e i capelli color oro, risplendeva di una bellezza abbagliante e sognava di diventare una top model. Per Carmela, 23, niente sogni di gloria o passerelle. Ma solo lo studio, severo e costante, per arrivare a una laurea che non ha mai fatto in tempo a ottenere. Francesca e sua figlia Chiara vivevano l’una per l’altra. Fino al giorno in cui la stessa mano, pazza di rabbia e gelosia, le ha uccise entrambe.
Giovani, adulte, anziane o poco più che bambine. Bionde, rosse, more, castane. Un mosaico di facce, espressioni, sguardi, sorrisi. Centoquindici nomi e centoquindici storie. Centoquindici donne la cui vita è stata stroncata da un uomo.
E’ lunga come una scia che ha colore del sangue, la lista delle donne uccise dall’inizio dell’anno fino a oggi. Nomi e numeri – riportati per filo e per segno anche in un’inchiesta pubblicata dal Corriere della Sera – che arrivano proprio alla vigilia del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Dove a emergere è una statistica agghiacciante: in Italia si è consumato un omicidio ogni due giorni e mezzo.
Nella maggioranza dei casi (74 casi su 115) a togliere la vita è stato un marito, o un ex compagno. A supporto di questi dati, c’è anche la relazione stilata dalla relatrice Onu Rashida Manjoo: la violenza domestica è la causa principale di morte per le donne fra i 16 e i 44 anni.
E più che numeri sono colpi al cuore. Che attraversano la Penisola da Nord a Sud senza fare distinzioni fra metropoli e paesini, fra posizioni sociali e stili di vita. Come la storia tutta milanese di Marika Sjakste, 29 anni, fotomodella lettone. Da alcuni mesi aveva intrecciato una relazione con un ricco notaio di 46 anni, sposato e padre di una bimba piccola. Lui, stregato da quella ragazza bionda e bellissima, aveva lasciato la famiglia ed era andato a vivere con lei in un appartamento lussuoso nel centro di Milano. Un pomeriggio di giugno, soffocato dall’afa ma ancora di più dai sensi di colpa, il notaio ha impugnato la sua pistola calibro 7.65 e ha ucciso la fotomodella – che considerava al pari di una delle sue proprietà – con un colpo di pistola alla testa. Poi ha rivolto l’arma contro se stesso.
O come quella di Carmela Petruzzi, 23 anni, massacrata nell’androne di casa, nella sua Palermo, dall’ex fidanzato della sorella. “Tu devi lasciarla in pace”, sono state le sue ultime parole. Così lui ha afferrato dalla tasca un paio di forbici e gliele ha conficcate in gola.
Era giovane e bella anche Antonina Nieli, 26 anni. Dopo sei anni di relazione tormentata, aveva deciso di lasciare il fidanzato. Quel pomeriggio di luglio era tornata nella loro casa di San Donato Milanese per riprendere le sue cose. Lui l’ha aspettata e l’ha massacrata con 26 coltellate. Per cercare scampo lei si è buttata dalla finestra. Lui si è dato fuoco. Ed è morto di stenti, sul letto d’ospedale, tre ore prima della donna che diceva di amare.
E' possibile prevenire questi delitti? E quando, un caso di stalking, si trasforma in un omicidio? Lo spiega a Panorama.it il dirigente della sezione Omicidi della Squadra Mobile milanese Marco De Nunzio. Un ufficio che raccoglie anche le denunce per il reato di stalking, al quale lo scorso anno si sono rivolte, per segnalare una situazione di pericolo, ben 218 donne. Il primo step da compiere da parte della donna vittima di stalking è quello di andare in un ufficio di polizia o in una qualsiasi stazione dei carabinieri per un “ammonimento”. “Non si tratta di una denuncia – precisa De Nunzio – ma in quella circostanza la donna spiega semplicemente perché si sente in pericolo, chi è la persona che la perseguita, e racconta come e se la sua vita ha subìto cambiamenti”. A questo punto, scatta la rete di protezione nei confronti della vittima. “Noi le segnaliamo immediatamente quali sono i centri anti violenza più vicini – spiega ancora De Nunzio – e lo stalker viene convocato in Questura, dove gli si fa presente che se non cambia atteggiamento e se infrange certe regole sarà arrestato”.
Per facilitare alla donna questo difficile cammino, i centri antiviolenza distribuiscono una sorta di “diario”, dove la vittima può annotare giorno dopo giorno quello che le succede, minacce comprese. Così da creare “prove” utili, poi, all’arresto del persecutore.Importantissimo, infatti, è conservare ogni traccia della persecuzione: sms, e-mail, eventuali referti medici che testimoniano una violenza fisica.
Perché l’arresto di uno stalker, spesso, è una lotta contro il tempo per fermare il crescendo di rabbia che potrebbe culminare con un omicidio. “Noi vogliamo affrontare queste violenze in maniera scientifica – spiega De Nunzio – e per farlo dobbiamo adottare protocolli condivisi da tutte le forze dell’ordine e la Procura, che permettano di individuare quali, fra i tanti casi di stalking che passano fra le mani delle forze dell’ordine, potrebbero davvero sfociare in omicidi”. Il modello più attendibile e utilizzato ha un nome di donna: Sara.
Nella maggioranza dei casi, infatti, le forze dell’ordine riescono a fermare in tempo gli stalker. Altre volte però -la cronaca parla chiaro – questo non è stato possibile. Come nel caso di Antonia Bianco, 43 anni, uccisa con una stilettata al cuore dal compagno che aveva già in precedenza denunciato. O quello di Veronica Giovine, 34 anni, assassinata con 40 coltellate dal suo ex, già segnalato per stalking, con il quale lei aveva commesso l’errore di aprire la porta di casa.
E c’è una maggiore consapevolezza anche in materia di violenze sessuali, anche queste spesso anticamere di un epilogo ancora più tragico. “Merito di una valida campagna di informazione – spiega a Panorama.it Patrizia Peroni, a capo della Terza Sezione della Squadra Mobile milanese, che si occupa di violenze sessuali e reati sui minori – e della fitta rete di protezione e sostegno che scatta ogni volta che una donna decide di denunciare. Milano in questo è all’avanguardia. Sia per quanto riguarda le strutture protette alle quali rivolgersi, sia per quanto riguarda il personale di polizia impiegato in questi casi, altamente formato e attento ”. “Rivolgersi alle forze dell’ordine – aggiunge la poliziotta – non significa semplicemente denunciare. Ma significa dare inizio a un percorso verso una nuova prospettiva, che permetterà a queste donne di allontanarsi dalle persone che dicono di amarle, ma che in realtà non fanno altro che far loro del male”.