Quel dossier ucraino che accusa i nostri generali
Generali italiani, ma non solo, accusati da un dossier di Kiev di essere «soldatini» nelle mani dei russi. La colpa: sono stati cauti sul conflitto. Parole senza senso, qui ribatte chi viene chiamato in causa
Soldati giocattolo» è l’irriverente titolo di un dossier ucraino di 174 pagine che punta il dito contro alti ufficiali in congedo di otto Paesi europei, Italia compresa, alleati nella Nato ma bollati come filo russi. Il sottotitolo non lascia dubbi: «Ufficiali militari e dell’intelligence della Nato» coinvolti «nelle misure attive russe» contro l’Ucraina. A scriverlo il Center for defence reforms, centro studi di Kiev presieduto da Andriy Zagorodnyuk, ex ministro della Difesa ucraino che chiarisce subito: «L’approccio cauto dell’Occidente cerca di evitare l’escalation in Ucraina. Potrebbe avere l’effetto opposto». Tra gli sponsor dell’istituto figura anche UK aid, costola del governo di Londra. Nel direttivo spicca il generale americano Wesley Clark, che ha comandato la Nato.
I Paesi «analizzati» sono Francia, Spagna, Germania, Grecia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Norvegia e Italia. Sotto accusa sono finiti pezzi grossi come l’ex capo di Stato maggiore spagnolo, José Julio Rodríguez Fernández, che fa parte del partito Podemos e reo di aver firmato una petizione indirizzata alla Ue per non fornire più armi all’Ucraina, e tanti altri.Per l’Italia si chiamano in causa generali di spicco, compreso Roberto Vannacci, europarlamentare, ma formalmente ancora in servizio, che non ci stanno al tiro al piccione. Oppure Fabio Mini, già comandante Nato della missione Kfor in Kosovo dal 2002 al 2003 e oggi saggista, che ha pure preparato un contro-dossier (intitolato, fra il serio e l’ironico, «Soldati tosti»), rispedendo al mittente le accuse.Ricorda a Panorama l’ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica, Leonardo Tricarico, anche lui finito nel mirino degli ucraini: «Sono stato il primo ad aver scritto, sulla rivista Limes, che Putin doveva essere portato davanti al tribunale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità». L’Italia è il penultimo Paese del rapporto, prima della Norvegia, introdotto da un dato di fatto: «Circa la metà della società italiana non vuole schierarsi nella guerra russo-ucraina».
Il primo alto ufficiale in congedo a finire nel mirino è il già citato Fabio Mini. Per gli ucraini è uno strumento di «soft power» dei russi nel nostro Paese. Il generale «appoggia l’immagine di un’invincibile Russia» e si sottolinea che è membro di «Pugwash», conferenze internazionali di geopolitica, infiltrata dall’intelligence russa. Un’altra sua «colpa» è aver fatto parte del comitato scientifico di Eurasia, una pubblicazione che vedeva coinvolto anche l’ideologo russo Alexander Dugin, bestia nera degli ucraini. Mini è sempre stato critico della posizione euro-atlantica sull’Ucraina, ma suona esagerato additarlo come una specie di agente russo perché fa parte del consiglio scientifico di Limes, rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo. Il rapporto accusa «la dirigenza della Scuola di Limes» che «comprende odiosi rappresentanti del regime autocratico di Putin, vale a dire Sergei Karaganov, membro del consiglio scientifico del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, e il colonnello del Gru (intelligence militare, ndr) Dmitry Trenin». Mini risponde a muso duro nel contro-rapporto denunciando che «per proteggere i suoi agenti e delegittimare gli individui che non seguono la sua narrativa di guerra, l’Ucraina ha alimentato una campagna diffamatoria nei confronti degli individui e le organizzazioni contrarie alla sua propaganda». Non solo smentisce le accuse di essere un agente di influenza dei russi, ma «riguardo all’Ucraina, ho vissuto tutto il periodo della guerra fredda quando la minaccia d’invasione del nostro paese veniva dal Distretto militare di Kiev. Sapevo a memoria i nomi delle unità e dei comandanti che ci avrebbero attaccato. Avevo poi sperato per essa quando nel 1998 ho condotto gli ufficiali del corso Issmi (Istituto superiore di stato maggiore interforze) da me diretto a Kiev piuttosto che alle Maldive». Mini ammette di far parte delle Conferenze Pugwash dal 1983 su mandato del capo di Stato maggiore dell’Esercito. E ricorda un episodio con al suo fianco Robert Mc Namara, non certo tenero con i sovietici, che puntava a congelare gli arsenali nucleari. Per il contributo alla sicurezza mondiale le Pugwash nel 1995 ricevettero il premio Nobel per la pace. «Gli autori del pamphlet sui “Soldatini”, novelli Stranamore della disinformazione ucraina, non lo avranno mai» commenta Mini nel suo contro-dossier.Sotto tiro del centro studi di Kiev finisce anche il generale Vannacci e il suo best seller, Il mondo al contrario, che «esprime simpatia per il Cremlino e influenza opinioni in linea con gli interessi della Federazione Russa, screditando gli Stati Uniti come Paese minaccioso».
Nel mirino c’è pure il suo braccio destro «politico», il tenente colonnello in congedo dei paracadutisti, Fabio Filomeni. Gli ucraini citano anche Antonio Maria Rinaldi, ufficiale della riserva della Guardia di finanza, il generale Piero Laporta e Pasquale Tarantino in pensione dall’Aeronautica. Le «accuse» si basano soprattutto su opinioni, partecipazioni a conferenze, critiche alla Nato, ma nessun contatto concreto con l’intelligence russa come in altri casi europei denunciati dal dossier. L’ex comandante dei paracadutisti e dei corpi speciali, generale Marco Bertolini, è reo di avere definito «l’accesso della Federazione Russa ai confini amministrativi delle regioni di Donetsk e Luhansk (il Donbass, ndr) come prerequisito per i negoziati di pace». Non è escluso che con la nuova presidenza Trump questo scenario diventi concreto per congelare il conflitto. «All’inizio mi sono girate le scatole» dice Bertolini a Panorama. «Se risulti un minimo realista vieni subito bollato come filorusso, ma non ci si può sottrarre ai numeri e alle dimensioni fattuali delle forze in campo».
L’ufficiale in congedo assieme al generale Tricarico e a Tarantino vengono additati per la partecipazione al Comitato «Fermate la guerra», che secondo il rapporto di Kiev servirebbe a «bloccare gli aiuti all’Ucraina». Tricarico spiega che «dobbiamo aiutare gli ucraini, ma capire assieme qual è il punto di caduta. E adesso potrebbe accadere, anche in maniera scomposta, con Trump. Un compito che spettava all’Europa». Sulla presenza di Clark nel direttivo ricorda che ai tempi dei raid Nato sul Kosovo nel 1999 era il numero due del comando aereo della V Ataf di Vicenza. Tutte le mattine si collegava in videoconferenza proprio con il generale americano, allora comandate della Nato. La parte del rapporto sull’Italia si conclude con un monito inquietante che riguarda la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: «Ufficiali in pensione dell’esercito italiano e dei servizi segreti sono stati molto attivi nel sottolineare l’esistenza di un’alternativa all’attuale capo del governo e nel promuovere un cambiamento nell’orientamento pubblico e statale allontanandolo da Bruxelles».