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È giusto che gli Usa e Israele abbandonino l'Unesco

La libertà non è di casa nell'Agenzia Onu per la cultura. Il nuovo direttore sarà un uomo del Qatar e si accentuerà il pregiudizio anti israeliano

Trentatré anni dopo, la storia si ripete. Nel 1984 gli Stati Uniti di Ronald Reagan uscirono dall’Unesco, l’Agenzia dell’Onu per la cultura, convinti che fosse diventata ormai un’organizzazione filo-sovietica terzomondista.

Un anno dopo fece lo stesso Margaret Thatcher. Stavolta è Donald Trump a sterzare fuori dall’Unesco (gli Usa vi erano rientrati nel 2002, per poi sospendere i contributi nel 2011 - amministrazione Obama - causa l’ingresso a tutti gli effetti di un non-Stato come la Palestina).

L’Unesco è tutt’altro che un’organizzazione super partes in Medio Oriente.

Nel suo board compaiono 58 Stati e solo 23 sono governati da un sistema democratico. La libertà non è di casa, all’Unesco.

UNESCO CONTRO ISRAELE

Ma che il timone sia in mano agli anti-israeliani non dovrebbe anche autorizzare che la nave venga pilotata contro Israele in tutti i documenti e le prese di posizione ufficiali. Gli episodi si sono accumulati negli anni, colorandosi pure di pregiudizi razziali e razzisti, quando l’organizzazione ha negato le radici ebraiche di Gerusalemme o addirittura sottratto alla tradizione ebraica la stessa Tomba dei Patriarchi a Hebron. Adesso Israele ha seguito a ruota la decisione degli Usa.

CAMBIO DI ROTTA DI TRUMP

È probabile che Trump abbia anche voluto anticipare la scelta di un nuovo vertice dell’Unesco targato Qatar, cioè uno Stato che dagli stessi Paesi del Golfo suoi vicini (e musulmani) è considerato pericolosamente contiguo al terrorismo islamista. E ancora: Trump ha voluto dare un ulteriore segnale del cambio di rotta della politica americana riavvicinandosi a Israele dopo gli strappi di Obama (che pure aveva sospeso i finanziamenti all’Unesco). In questo quadro rientra anche l'atteggiamento relativo all'accordo con l'Iran sul nucleare.

L'ONU È A RISCHIO (ESISTENZA)

Che l’organizzazione delle Nazioni Unite (che dovrebbe avere il compito di promuovere e “fare cultura” in tutti i suoi aspetti) non abbia più tra i suoi membri, per ragioni politiche, Paesi culturalmente fondamentali come Israele e Usa, significa che la stessa impalcatura dell’Onu è a rischio.

Per inciso, anche l’Unesco, come altre organizzazioni delle Nazioni Unite, spende più della metà dei fondi per pagare i propri stipendi.

Che il baluardo dell’Occidente in Medio Oriente, unica democrazia e presidio di libertà in quella parte di mondo, sia stato sistematicamente discriminato e umiliato, e si ritrovi oggi fuori dall’Unesco insieme agli Stati Uniti, è una pessima notizia per l’ONU e per la comunità mondiale. Lo è in particolare per noi europei. Ed è purtroppo la dimostrazione che il mondo e gli organismi internazionali sono tuttora governati da una larga maggioranza di Paesi che calpestano i diritti, la libertà e, soprattutto, la verità. E dovrebbero essere questi i Paesi che detengono il pacchetto di maggioranza nella promozione della cultura e dell’educazione? Anche no.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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