E ora al Giglio aspettano la ricostruzione dei fondali marini
Dopo sei anni dal naufragio della Costa Concordia, la piattaforma Micoperi 30 che si è occupata della pulizia dei fondali ha lasciato l'isola del Giglio
Non è ancora finita. Non c'è molto da esultare. Al calvario degli abitanti dell’isola del Giglio non può essere messa ancora la parola “fine”.
È vero, l'ultima piattaforma mobile della Micoperi, che si occupava della pulizia dei fondali, ha finalmente lasciato sabato scorso il porto del Giglio, ma le acque cristalline che da sempre hanno contraddistinto l’isolotto nel cuore dell’Arcipelago Toscano non sono tornate all’antico splendore. Anzi.
La pulizia dei fondali che è seguita al recupero del relitto della Costa Concordia, naufragata davanti al Giglio il 13 gennaio 2012, raddrizzata a settembre 2013 e portata via a luglio 2014 per essere smantellata a Genova, è sostanzialmente terminata ma della flora e della fauna marina dell’isola non vi sono tracce.
Al via l'ultima fase
La sostanziale chiusura dei lavori di ripulitura è stata certificata dall'Osservatorio della Regione, l'organismo istituito ad hoc per seguire ogni operazione: dal recupero del relitto alla pulizia dei fondali. "Adesso l'ultima parte di cantiere più invasivo, quello sopra e sotto l'acqua, lascia l'isola, per restituire ad abitanti e villeggianti quel bellissimo tratto di mare - commenta il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi - ma la Regione continuerà a seguire anche la successiva fase di ripristino della flora, della fauna e degli habitat marini".
Infatti, adesso dovrà avere inizio l'ultima tappa del recupero dell’Isola, la numero 10, tutta subacquea.
Un habitat marino distrutto
La fine dei lavori ha messo in evidenza infatti una triste realtà: la pressoché scomparsa di pesci e posedonie. E non si parla solo dello specchio d’acqua interessato direttamente dall’urto della Costa Concordia ma di una superfice molto più vasta.
Poco meno di una anno fa, a giugno 2017, fu comunicato dagli addetti ai lavori, che l’inquinamento provocato dal naufragio Concordia non era diminuito, anzi, era incredibilmente aumentato. E neppure di poco: di migliaia di metri quadrati.
Se l’area iniziale da “riportare” all’antico splendore, ovvero da riconsegnare alle praterie di Posidonia Oceanica e alle specie Pinna Nobilis, era di 23.486 metri quadrati, al 7 giugno 2017 è diventata di 42 mila metri quadrati. Con la precisione: 41.743,10 mq.
A causare ulteriori danni ai fondali marini, le tonnellate di cemento fuoriuscito da una parte delle 1.396 sacche posizionate per creare il piano artificiale, fra la parete rocciosa e le piattaforme metalliche, indispensabile per raddrizzare il relitto.
La malta cementizia mescolata ad altri additivi chimici è “colata” tra le rocce, si è solidificata con il granito danneggiando in profondità quello che l’Istituto superiore per la protezione civile e la ricerca ambientale (ISPRA), classificò come "habitat Scogliere Rocciose".
Un vero e proprio disastro che ha prima di tutto spezzato 32 vite, tanti furono i morti del naufragio, e poi cancellato uno dei fondali più affascinanti d’Italia, nel cuore di un'area protetta classificata come Santuario dei cetacei.
La Regione aspetta Costa Crociere
La fase 10 però è già stata validata e prevede il ripopolamento dei fondali. “L'Osservatorio - precisa il presidente della Regione Toscana - continuerà a vigilare ma attende la presentazione del piano operativo, con tempi e specifiche tecniche, da parte di Costa Crociere”.
Nell'attesa l’Osservatorio racconterà in un video che sarà proiettato a Livorno il prossimo 16 maggio, la ‘storia' dei fondali dal naufragio alla dipartita dell'ultima piattaforma.