Ecco come e perché lo shutdown è stato interrotto
Democratici e repubblicani hanno firmato una tregua fino all'8 febbraio. Decisivo, per l’accordo, il - parziale - compromesso raggiunto sui dreamers
I due schieramenti contrapposti al Senato degli Stati Uniti hanno, infine, trovato l'accordo e il governo ha riavviato le sue attività, a distanza di 60 ore dallo shutdown, la chiusura dell'amministrazione federale scattata alla mezzanotte di sabato e coincisa con il via al secondo anno di presidenza Trump.
Tutto ciò avviene dopo ore di discussioni, accordi saltati, scaricabarile, che hanno portato i repubblicani, la Casa Bianca e il presidente Donald Trump in persona ad accusare l'opposizione di giocare con la vita dei militari, il destino dei dipendenti federali e delle loro famiglie, visto che la serrata ha fermato lavoro, servizi ed erogazioni di stipendi.
Un duro braccio di ferro, insomma, che ha avuto nel suo centro il destino di 700mila cittadini irregolari, i Dreamers, immigrati entrati illegalmente negli Usa da minori le cui sorti erano legate al Daca, il programma voluto da Barack Obama ma che Trump ha cancellato senza che vi fosse una vera alternativa. E' stata questa la vera posta in gioco per i democratici, irremovibili fino alla fine, che hanno ottenuto l'impegno a una discussione "immediata" sul dossier in cambio del loro sì a un provvedimento temporaneo di spesa, che consente il finanziamento del governo fino al prossimo 8 febbraio.
Compromesso "moderato"
Il lavoro lo hanno fatto alla fine i moderati: un gruppo bipartisan di 20 senatori che ha limato l'accordo, fra contatti dietro le quinte e incontri a tarda serata, in un drammatico weekend per la presidenza Trump e per la maggioranza repubblicana.
Perché se lo shutdown non è prerogativa di questa amministrazione - nel 2013 capitò anche alla presidenza Obama - è la prima volta che accade quando il partito di maggioranza domina l'intero processo legislativo: entrambi i rami del Congresso e la Casa Bianca.
Donald Trump si rallegra che i democratici siano "rinsaviti", però l'impegno per un accordo sull'immigrazione lo scandisce nei suoi termini: "soltanto se sarà buono per il Paese".
Nelle scorse ore lo scambio di accuse era stato pesante. Il leader della minoranza democratica al Senato lo ha ripetuto anche oggi in aula prima di assicurare il sostegno dei suoi all'accordo: è lo "shutdown di Trump" ha ribadito, ricordando che era stato il presidente a sfilarsi dall'accordo.
Trump è poi rimasto ai margini dei negoziati, "per garantire che le cose andassero lisce" spiega adesso la Casa Bianca interpellata. Sta di fatto che, via Twitter, aveva anche evocato "l’opzione nucleare" ovvero l'ipotesi di cambiare le regole di voto al Senato per superare l'impasse, sebbene la circostanza fosse considerata impraticabile da entrambe le parti. Indiscrezioni poi lo davano scalpitante.
Le conseguenze sul midterm
La battaglia si è consumata però tutta al Senato e non senza divisioni interne anche in ambito repubblicano. Ci si chiede adesso quali saranno gli effetti nel medio termine, ovvero sulle elezioni di midterm a novembre per il rinnovo del Congresso.
Con lo shutdown revocato al terzo giorno, l'impatto si ridimensiona, restano tuttavia i malumori: fra i democratici che hanno bisogno di unità e leadership se vogliono strappare seggi nel prossimo appuntamento con le urne, ma la cui ala progressista storce il naso all'esito di questa partita. E fra i repubblicani, anche loro a fare i conti con le spaccature, evidenziate anche dal senatore Lindsey Graham nelle dure critiche rivolte a uno dei più fidati consiglieri di Donald Trump, Stephen Miller, dalle note posizioni ultraconservatrici nonché tra i pochi “sopravvissuti” nella West Wing provenienti dall'originaria squadra portata alla Casa Bianca da Trump: "Fino a quando Stephen Miller guiderà i negoziati sull'immigrazione non andremo da nessuna parte", ha ammonito Graham.