Apple: ma Steve Jobs si sta rivoltando nella tomba?
Flop commerciali, prodotti che il fondatore non avrebbe approvato, crollo in borsa, licenziamenti... Sembra che la casa di Cupertino abbia perso il tocco magico. Eppure macina utili come non mai. E gli Apple fan si aspettano grandi novità.
È passato poco più di un anno dalla morte di Steve Jobs (5 ottobre 2011) e la Apple lasciata in eredità al suo vice Tim Cook è molto cambiata. C’è chi sostiene che abbia perso quel tocco magico che la rendeva diversa da tutte le altre aziende hi-tech. Mentre Jobs, col suo genio, carisma e rigore riusciva a catalizzare su di sé le attenzioni lasciando nell’ombra le eventuali magagne, la nuova Apple non ci riesce. Anche perché, da oltre un anno, ossia dalla morte del suo guru, non lancia prodotti innovativi, ma solo perfezionamenti e nuove versioni (carissime) di quelli esistenti.
L’aura magica data dall’essere pionieri e inventori sfuma e, peggio, i panni sporchi nell’era Cook finiscono sui giornali. Risultato? L’immagine della mela scende. Così come il titolo in borsa, che negli ultimi due mesi ha perso 129 dollari (un settimo del suo valore). Con la passione maniacale per il dettaglio e la ricerca della perfezione che Jobs esigeva da tutto il suo staff certi episodi non sarebbero mai successi. Facciamo un rapido riassunto del primo anno d.J. (dopo Jobs).
Lo scorso 12 settembre, giorno del lancio dell’iPhone 5, Cook descrisse le nuove mappe firmate Apple come «il servizio più bello e potente di sempre». La promessa dell’erede di Jobs non è stata mantenuta: le mappe (che hanno sostituito quelle di Google su tutti i nuovi dispositivi con la mela) si sono rivelate un fiasco. Così imprecise e inaffidabili che Cook ha dovuto chiedere scusa a tutti gli utenti Apple. Suggerendo di utilizzare carte geografiche di altri fornitori. Con Jobs non sarebbe mai successo. Il titolo Apple, che ha toccato il suo massimo storico il 12 settembre (705 dollari) con il lancio dell’iPhone 5, non ha digerito l’affaire mappe. E, nelle sedute degli ultimi due mesi, ha continuato a scendere.
Il trend non si è invertito neanche con il lancio della versione Mini dell’iPad, un altro oggetto che, con Jobs in vita, non sarebbe mai stato prodotto. Per il visionario della Apple, la tavoletta non poteva avere dimensioni diverse o inferiori ai 10 pollici: quelle dell’iPad, per intenderci. Famose le sue parole di 2 anni fa. A ottobre 2010, in occasione dei risultati finanziari, Jobs disse in merito all’invasione di tavolette con schermo da 7 pollici lanciate dalla concorrenza: «È errato pensare che 7 pollici offrano il 70 per cento dei vantaggi rispetto a uno schermo da 10 pollici.
Le misure dello schermo si basano sulla diagonale. Sette pollici di schermo offrono quindi il 45 per cento di prestazioni rispetto a uno da 10 pollici. Su apparecchi da 7 pollici» proseguiva Jobs «ci sono limiti fisici che ne impediscono l’uso ottimale, anche solo nella disposizione delle icone sullo schermo. Bisognerebbe limare le dita delle persone» concludeva Jobs canzonando i 7 pollici. E cosa fa la Apple a un anno dalla sua morte? Lancia un modello a schermo piccolo, che peraltro ha sbancato il mercato.
Altro capitolo dolente sono le battaglie in tribunale con la concorrenza. Se, da un lato, sono espressa volontà di Jobs e si rivelano un successo di marketing quando obbligano avversari agguerriti come la Samsung a pagare multe salatissime, dall’altro si trasformano in boomerang se obbligano la Apple a chiedere scusa. Un tribunale britannico, infatti, recentemente ha imposto alla casa di Cupertino di fare pubblica ammenda sul suo sito del Regno Unito nei confronti della Samsung: doveva sostenere pubblicamente che la tavoletta coreana non aveva copiato l’iPad in alcune parti: la Apple ha provato una mossa furbesca mettendo il link alle scuse in basso nella home page (difficile da trovare). Ma la figuraccia si è aggravata quando si è scoperto che il comunicato pubblicato dalla Apple definiva il Galaxy Tab poco «cool» (ossia poco «fico») rispetto all’iPad e che, proprio per questo, l’iPad non poteva essere considerato una copia. Mossa che ai giudici non è piaciuta. Così i giudici britannici hanno obbligato la Apple a scusarsi ancora, con parole differenti. Il tutto, chiaramente, è finito sui giornali amplificato dai siti di mezzo mondo.
Il malumore tracima anche dagli utenti, che non hanno apprezzato alcune modifiche hardware dei gadget con la mela. Su tutti i nuovi prodotti Apple, infatti, è stato montato di serie un nuovo piccolo connettore che serve per ricaricarli e collegarli a periferiche esterne. Uno spinotto che, di fatto, manda in pensione quello precedente, utilizzato da oltre 200 milioni di persone. Innovazione che ha fatto infuriare tantissimi appassionati che avevano comprato accessori come radio, altoparlanti e amplificatori (assai costosi) che montano il vecchio connettore: quello nuovo li ha resi improvvisamente obsoleti e adesso per collegarli ai nuovi prodotti Apple è necessario l’acquisto di un adattatore.
Poi c’è la faccenda dei licenziamenti. Avvenuti con un tempismo geniale: quando l’uragano Sandy stava per colpire New York e la borsa di Wall Street è rimasta chiusa per due giorni, Tim Cook ha fatto fuori due top manager. Il primo, John Browett, capo dei negozi Apple in tutto il mondo, lo aveva scelto lui stesso 6 mesi fa. Il secondo, Scott Forstall, in Apple era un pezzo da 90: fedelissimo di Jobs, è la mente che ha inventato il sistema operativo per l’iPhone e quello dell’iPad, ha dato la voce a Siri (assistente vocale di iPhone e iPad) e gestito il progetto mappe.
C’è chi sostiene che Cook abbia silurato Forstall perché, in perfetto stile Jobs, si era rifiutato di firmare la lettera di scuse pubbliche per il fallimento delle mappe. I più maliziosi sostengono che Forstall fosse considerato da Jobs il suo vero successore. Anche il capo degli store aveva causato un calo di immagine alla Apple con tagli e licenziamenti e cambio dell’organizzazione del lavoro nei negozi. Scelte che hanno trascinato di nuovo la Apple sui giornali e in una telenovela infinita sul web.
Cook con questi licenziamenti ha voluto dare un segnale forte a tutta la sua squadra. Uomini di talento e personalità che però sono stati arruolati da Jobs. Persone capaci di trasformare le idee in prodotti di successo che Cook, deve riuscire a dominare. Per questo l’erede di Jobs ha ridisegnato la mappa interna della Apple concentrando tutto nelle mani di tre fedelissimi (il designer Jonathan Ive, il nuovo uomo del software Craigh Federighi, l'inventore di iTunes Eddy Cue).
Ma mentre la Apple sembra cambiare pagina per ripartire con una nuova organizzazione più a immagine di Cook ecco che arriva un’altra grana di immagine e sostanza. Il sasso, lanciato da uno scoop del britannico Sunday Times, fa rapido il giro del mondo. In epoca di crisi e famiglie supertassate si scopre che la Apple è regina dell’elusione fiscale. Grazie a un escamotage, peraltro assolutamente legale, versa solo l’1,9 per cento di tasse sulle vendite all’estero (713 milioni di dollari in tasse su 36,8 miliardi di fatturato). Eppure Cook, nonostante i colpi all’immagine, non pare granché preoccupato.
La Apple, infatti, continua a macinare utili. Sebbene la quota di mercato nel settore delle tavolette sia scesa nell’ultimo trimestre al 50,4 per cento (era il 59,7 nel 2011), l’azienda ha annunciato un fatturato trimestrale di 35 miliardi di dollari (28,8 lo scorso anno) e un utile netto trimestrale di 8,8 miliardi (7,3 nel 2011).
La Apple può quindi tornare a essere un faro nella competizione tecnologica. Deve, però, riprendere lo scettro di innovatore e recuperare il tocco magico. Stupendo il mondo con prodotti nuovi. O reinventandone altri. Il 2013 potrebbe essere l’anno della tv con la mela: uno schermo che si comanda a voce, senza telecomando e connesso al cloud di servizi Apple. Avvalora questa tesi una notizia di pochi giorni fa: la Apple sarebbe interessata all’acquisto della Sharp. Chissà che il secondo anno d.J. (dopo Jobs) non sia migliore del primo.