Egitto: la strage dei turisti si poteva evitare
Con il presidente-generale al Sisi il Paese vive una guerra permanente e i militari hanno il grilletto facile
I cittadini messicani uccisi "per errore" nel deserto egiziano sono due. Lo ufficializza il presidente Enrique Peña Nieto su Twitter, dicendo anche che aumenterà il personale diplomatico al Cairo per sostenere le vittime del tragico incidente nel deserto di al-Wahat, che ha visto l'esercito egiziano sparare su un convoglio di turisti scambiati per militanti dell'Isis, uccidendone 12 e ferendone 10.
L'incidente, però, poteva essere evitato. L'errore poteva non esserre commesso. La percezione è che l'esercito egiziano pecchi di grilletto facile. Troppa tensione, troppa pressione da parte del governo centrale per la cattura e l'uccisione dei terroristi (reali o solo presunti). Alla fine, si spara sulla base di sospetti. E questa volta a pagarne le conseguenze è stato un gruppo di ignari turisti.
E' stata aperta un'inchiesta, ma dalle prime testimonianze rese dai sopravvissuti sembra che i militari abbiano fatto fuoco senza prima accertarsi chi ci fosse sulla jeep e ipotizzando che si trattasse di militanti di Daesh, lo Stato islamico. Un tragico errore che può facilmente accadere quando si vive e si agisce in un contesto di guerra permanente, come quello che vive l'Egitto del presidente-generale Abdel Fattah al Sisi.
Una guerra permanente interna ed esterna. Dal Sinai alla Libia, passando per l'opposizione interna dei Fratelli musulmani fedelissimi dell'ex presidente Morsi e recentemente etichettati come terroristi, l'Egitto non riesce a trovare pace e stabilità. E non aiuta il sostegno incondizionato e bendato ad al Sisi che gli tributa l'Occidente. Essendo una pedina fondamentale nella lotta all'Isis, si preferisce chiudere un occhio sulla situazione interna, che vede i soldati messi sotto pressione nella lotta sia a Daesh che alla Fratellanza pro-Morsi. Una lotta messa erroneamente sullo stesso livello. Una cosa sono i tagliagole del Califfato e altra sono i Fratelli musulmani.
Processi di massa senza garanzie per gli imputati. Pioggia di condanne a morte e di abusi, fisici e psicologici anche contro la stampa, cui è stato messo un feroce bavaglio. Nel dossier compilato dalla ong Human Right Watch, il primo anno del presidente al Sisi, eletto a giugno del 2014, è stato segnato dalle torture e dal sistematico annichilimento dei più elementari diritti umani. Tutto viene "sacrificato" nell'ottica della guerra al terrorismo. Che è - beninteso - una guerra reale, ma che di fatto ha militarizzato l'assetto democratico del più popoloso Paese del mondo arabo, alimentando tensioni e rancori sociali.
Di fronte a un panorama del genere, l'uccisione di 12 turisti nel deserto che guarda verso la Libia è "un errore di percorso". Una tragedia da ingoiare nella lotta all'Isis. Eppure, quell'errore poteva essere evitato. Se i militari non fossero costretti a considerare tutti come potenziali nemici, forse quei turisti messicani sarebbero ancora vivi.