Elezioni tedesche: cosa succede alla Germania di Angela Merkel
Vincono i voti di protesta. Ma insieme alla grande coalizione, rischiano di sprofondare i moderati. E se la Germania perde l'equilibrio, l'Europa crolla
Si parla tanto di declino degli Stati Uniti, di fine del secolo americano, ma le analisi dei “declinisti” così come di quelli che si oppongono alla visione di un’America destinata a lasciare il passo ad altre potenze (asiatiche, per lo più) s’infrangono contro l’evidenza di uno strapotere statunitense che si esprime ancora e sempre nell’economia e nella cultura (il soft power della tecnologia che ha la sua matematica dimostrazione nel numero di brevetti americani, il 48% del totale mondiale). Ma il declino riguarda soprattutto l’Europa.
Che cosa succede in Germania e in Europa con l’ennesimo voto regionale a Berlino, dove ben sei partiti entrano nel parlamentino, la Cdu di Angela Merkel perde consensi e il partito “populista e anti-immigrati”, l’Afd, prosegue nella marcia da zero a percentuali a due cifre?
Anche i critici del declinismo americano spiegano che il tallone d’Achille degli USA è rappresentato dal crepuscolo dei leader, dal deteriorarsi delle istituzioni e della classe dirigente. Insomma, dalle scelte di governo e dalle contrapposizioni ideologiche che minano le decisioni fondamentali.
È nella politica il male del mondo occidentale, negli Stati Uniti come in Europa. O forse nell’anti-politica e nella frammentazione progressiva, nel disorientamento di un elettorato che preferisce adottare scelte di protesta invece che di proposta. Il moto di consenso verso Donald Trump in USA e l’ascesa di partiti estremisti e conservatori nella vecchia Europa, l’Adf in Germania o i pentastellati in Italia, rischia di sbilanciare e decostruire del tutto il quadro che ha dominato finora in Germania, che aveva portato alla condivisione di responsabilità nei governi federali e regionali attraverso la “grossa” coalizione tra cristiano-democratici e socialisti.
Adesso, cresce alla destra di Angela un partito che potrebbe attestarsi attorno al 10 per cento nelle non lontane elezioni federali, così come non spariscono i post-comunisti della Germania dell’Est o i liberali e i verdi. Senza contare certe formazioni che esplicitamente si richiamano al passato nazista. Il rischio è che insieme al disegno di grande coalizione che di fatto guida la Germania (proprio come a Bruxelles) sprofondi l’argine moderato alla protesta che monta. E se la Germania perderà l’equilibrio, l’Europa rischierà di deflagrare, frantumandosi in pezzi l’un contro l’altro armati. E nulla e nessuno potrebbe scongiurare il caos.
Pur con tutti gli errori, ma soprattutto i limiti di visione, della leadership tedesca della Germania e dell’Europa, l’ancoraggio ad Angela Merkel e ai valori del popolarismo europeo resta un baluardo fondamentale di civiltà.
La Merkel ha ancora la forza, il carisma per candidarsi alle prossime elezioni federali, e vincerle. Si è dimostrata un leader, checché la si pensi sull’immigrazione e sulla politica dell’accoglienza o dei respingimenti, perché un leader si definisce per la disponibilità ad assumere posizioni impopolari, purché convinte. Il capo di uno stormo (secondo la felice metafora di un grande liberale canadese) non è quello che si riallinea quando i compagni virano, ma quello che porta i soci ad allinearsi a lui nei cambi di direzione.
Il declino della nostra Europa dipende molto più di quello dell’America dalla capacità dei suoi leader politici di mostrarsi all’altezza dei tempi. Se la Germania cede, si sfarina il tessuto del continente. La Merkel significa stabilità. Vogliamo rinunciarvi?
Si pone allora il problema: da che parte deve stare l’Italia? Con la Merkel o con Tsipras? Con la Merkel o con la leader dell’Adf, Frauke Petry? E Matteo Renzi, fa bene a proporsi come l’anti-Merkel?