Enrico Letta e Cl: "Feeling" a Rimini
Il premier conquista la platea ciellina e lancia, di fatto, la sua campagna elettoral-congressuale
Va al meeting di Comunione e Liberazione da primo presidente del Consiglio espresso dal Partito democratico, pronuncia un discorso programmatico oltre che di governo e conquista una platea che è la proiezione di quello che potrebbe essere il suo potenziale elettorato.
Cresciuto in oratorio, imbevuto dei fumetti di Tex Willer e di telefilm alla Happy Days, una passione sfrenata per il Subbuteo e i Dire Straits, Enrico Letta, il “sobriamente predestinato” - come Federica Fantozzi e Roberto Brunelli lo definiscono nel loro ultimo libro pubblicato da Editori Riuniti – ha scelto Rimini per lanciare la sua campagna elettorale, o quantomeno quella congressuale, contro Matteo Renzi.
Davanti a un pubblico che, di fronte alla concreta possibilità di un'uscita di scena, fosse anche parziale e momentanea, di Silvio Berlusconi si è già messo in cerca di nuovi punti di riferimento, il presidente del Consiglio ha parlato di Italia, di Europa, di spread mai così basso, di agricoltura e bellezza; ha minacciato chi pensa di interrompere quel “percorso di speranza” che con il governo delle larghe intese, benedetto da Giorgio Napolitano, ha reso la l'uscita dalla crisi “a portata di mano” e ha avvisato che gli italiani puniranno chi anteporrà “interessi personali” al bene del Paese.
Il riferimento non è certo solo a Silvio Berlusconi e ai falchi del Pdl che meditano traumatiche rotture nel momento in cui il Pd voterà la decadenza del Cavaliere dalla carica di senatore.
Enrico Letta si rivolge soprattutto a quei settori del suo partito che hanno fretta di spedire Berlusconi in pensione timbrando la data di scadenza sul suo governo. Ai vari Civati, e soprattutto ai vari Renzi.
Da quarantenne che per finire dov'è non ha avuto bisogno di intestarsi la battaglia per la rottamazione, e senza nemmeno essere passato per le primarie, Letta ha potuto fare un vero discorso programmatico da premier in carica.
Ha ripetuto più volte parole care ai ciellini come “sussidiarietà”, ha citato Don Giussani ma soprattutto, alla promessa renziana di cambiamento, rottura, rivoluzione, lui che è l'incarnazione antropomorfa delle larghe intese, ha opposto il metodo, molto democristiano, dell'incontro, del dialogo, dell'abbraccio tra un centrodestra deberlusconizzato e un centrosinistra cattolico e post-ideologico.
E così ha fatto breccia convincendo, in questo momento, probabilmente più del sindaco di Firenze, percepito come troppo aggressivo e troppo divisivo, e sicuramente più dei futuri orfani del Pdl in rotta verso la nuova Forza Italia.
Certo, conterà ancora stabilire quanto piaccia dentro al Pd, quanto il popolo di centrosinistra abbia voglia di scommettere su di lui dopo mesi trascorsi a spaccarsi la testa contro il muro per non aver scommesso su Renzi.
Capitanati da Francesco Boccia, lettiani e non solo, hanno intanto firmato un documento “pro-Enrico” che sarà presentato al prossimo congresso del Pd (quello che ancora non è stato fissato) e che da una parte costituisce un atto d'accusa contro chi ha voluto trascinare il partito troppo a sinistra condannandolo alla sconfitta, contro una classe dirigente mentalmente vecchia, in perenne stato da “regolamento di conti” e dall'altra una sfida a Renzi sul piano del riformismo, della meritocrazia, dei diritti.
Ufficialmente il premier non avrebbe messo mano alla bozza, ma è evidente come da ieri in corsa per la leadership, ma – alla pari di Renzi soprattutto per la guida del Paese – ci sia anche lui.
E non è un caso che per lanciare l'opa sull'elettorato più moderato, centrista, non proprio di destra ma nemmeno troppo di sinistra, Enrico Letta abbia scelto proprio Rimini.