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EPA/Abedin Taherkenareh
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Attacco a Teheran: una tappa della guerra fra sunniti e sciiti

Le ragioni della strage di oggi sono da cercare nel contesto del conflitto per procura tra Arabia Saudita e Iran e tra le due correnti principali dell'Islam

Quello di mercoledì 7 giugno a Teheran il primo attacco terroristico da lungo tempo sul suolo iraniano, dove i controlli sono generalmente severi e asfissianti, e diffusi capillarmente non soltanto nella capitale.

Nel 2016, tuttavia, il ministero dell’intelligence iraniano ha annunciato di aver sventato diversi complotti terroristici all’interno dei confini nazionali (a giugno e ad agosto) che, secondo i funzionari della sicurezza, avevano come obiettivo principale attaccare proprio la capitale Teheran.

L’azione coordinata è certamente frutto delle tensioni crescenti in Medio Oriente e non appare invece legata al terrorismo "interno" europeo.

Nel senso che le ragioni dell’attacco sono da ricercare nel contesto della grande guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran - o, se vogliamo, tra sunniti e sciiti - in corso in tutto il Medio Oriente, dalla Siria all’Iraq fino allo Yemen, e oltre.

Prova ne sia il fatto che le prime parole di alcuni deputati iraniani scampati alle raffiche di mitra siano state: «Morte all'America e al suo servo, l'Arabia Saudita».

La tempistica

Non solo. La tempistica dell’attentato non è casuale e segue la chiusura delle frontiere con il Qatar nell’ambito della “lotta al terrorismo” dichiarata dal presidente americano Donald Trump di ritorno dal viaggio in Arabia Saudita, paese che oggi indica nel piccolo emirato la fonte dei finanziamenti ai jihadisti. Ma, in realtà, la mossa della chiusura delle frontiere va inquadrata in funzione anti-iraniana, essendosi il Qatar dimostrato troppo docile e condiscendente nei confronti di Teheran.

Come a dire che l’Arabia Saudita mostra i muscoli e opera per destabilizzare l’Iran, che è tornato a essere il nemico numero uno anche degli Stati Uniti. Infine, non si può non menzionare il concomitante avvio della battaglia di Raqqa, capitale de facto dello Stato Islamico in Siria. Tutti questi elementi riconducono i fili di questi atti di sangue al Medio Oriente e allo scontro sunniti-sciiti.

L’ISIS dietro l’attacco: il Ramadan di sangue

Il terrorismo ha colpito i principali simboli (poco) laici e religiosi iraniani, ovvero il parlamento e il mausoleo dell’ayatollah Khomeini, padre di quella rivoluzione che ha trasformato il paese da una monarchia a una repubblica islamica sciita, quale è oggi l’Iran.

Ad entrare in azione sarebbero stati almeno 4 uomini. Le modalità d’attacco multiplo, il coordinamento, la spettacolarizzazione dell’attentato e l’uso di kamikaze inducono a ritenere che sia opera di islamisti, riconducibili soprattutto allo Stato Islamico, che avrebbe peraltro rivendicato l’azione.

Questo perché l’attacco segue altre azioni già poste in essere dal Califfato in Medio Oriente (Iraq, Egitto), Asia (Afghanistan, Filippine, Indonesia) ed Europa (Londra, Parigi oltre all’Australia): è il richiamo al Ramadan di sangue descritto negli ultimi comunicati diffusi dagli uomini del Califfato e richiesto ai suoi soldati.

Lo Stato Islamico in Iran

Lo Stato Islamico il 28 marzo scorso ha rilasciato un video di minacce nei confronti dell’Iran, sollecitando una rivolta contro gli Ayatollah e incitando i militanti iraniani apparentemente affiliati al gruppo a promuovere attacchi contro Teheran.
 
Il video, dal titolo “Persia: il passato e il presente”, è in lingua farsi e inizia con uno scorcio di storia persiana, che mostra jihadisti appartenenti a una supposta nuova divisione, denominata “Salman al-Farsi” (dal nome di un compagno del Profeta Maometto), mentre è in azione nella provincia irachena di Diyala.

L’Iran è descritto dal commentatore dell’ISIS come «un rifugio per gli apostati e infedeli» e accusato di perseguitare i sunniti, poiché sostenitore tanto dei ribelli Houthi nello Yemen, quanto delle milizie libanesi Hezbollah. Inoltre, il paese persiano viene biasimato anche per il suo offrire protezione agli ebrei.

Il 27 settembre, le forze di sicurezza hanno fatto trapelare la notizia di aver ucciso il leader dello Stato Islamico in Iran, noto con il nome di battaglia Abu Aisha al-Kurdi. L’emiro sarebbe stato freddato a Kermanshah, una città non lontana dal confine occidentale con l’Iraq, dopo un’operazione che è stata descritta come «complessa e massiccia» condotta da agenti segreti iraniani.
 
Secondo fonti iraniane, nel paese sarebbero stati attivi due diversi gruppi rifacentisi allo Stato Islamico, quello di Kermanshah e un secondo, ambedue tenuti sotto controllo sin dall’inizio delle attività eversive. Abu Aisha al-Kurdi avrebbe dovuto costituire una cellula dormiente per pianificare attacchi in grande stile, ma si riteneva fosse stato fermato prima che il suo gruppo potesse entrare in azione.

Jaish Al-Adl e le altre minacce

In ogni caso, l’Iran non è immune dalle spinte jihadiste e dalla minaccia terroristica del Califfato. Oltre a Jaish al-Adl (“Esercito della Giustizia”), gruppo salafita afghano in quota Al Qaeda che dal 2012 minaccia l’Iran con attentati contro civili e militari, il jihadismo è cresciuto molto negli ultimi cinque anni, e ha visto fiorire soprattutto simpatizzanti del Califfato.
 
Secondo i servizi di sicurezza nazionali, sono almeno 1.500 i giovani iraniani cui è stato impedito di unirsi allo Stato Islamico, un numero che non può non preoccupare Teheran. Sinora si conoscevano i nomi di due soli iraniani affiliati allo Stato Islamico: Abu Mohammad al-Irani, che si è fatto esplodere a Ramadi (Iraq) nel maggio del 2016, e il giovane Reza Niknejad, un americano-iraniano scomparso dai radar dopo che era volato in Siria per unirsi ai miliziani di Al Baghdadi.
 
Ragion per cui lotta al terrorismo in tutta la regione è divenuta la preoccupazione numero uno del regime, sempre più palpabile soprattutto a giudicare da quest'ultimo assalto.


Gli altri gruppi terroristici in Iran

Il Movimento Arabo di Lotta per la Liberazione di Ahwaz è un'organizzazione separatista vicina ai Fratelli Musulmani e a gruppi salafiti che operano nel vicino Kuwait. Il gruppo è finanziato e sostenuto logisticamente dall’Arabia Saudita, che lo utilizza come strumento di destabilizzazione interna dell’Iran. A tenere i contatti per conto di Riad con l’organizzazione sono i servizi segreti del GIP (General Intelligence Presidency).

Secondo fonti di intelligence attendibili, l’attacco ai due gasdotti del Khuzestan sarebbe stato pianificato a dicembre a Tunisi, dove esponenti del Movimento avrebbero incontrato funzionari del GIP.

Il Movimento Arabo di Lotta per la Liberazione di Ahwaz non è l’unica organizzazione che Riad “sfrutta” per colpire l’Iran nel suo territorio. I servizi sauditi supportano infatti anche altri gruppi, facendo leva sulle privazioni a cui il governo centrale sciita pone le comunità arabo-sunnite.

Tra questi vi sono il Movimento di Resistenza Popolare dell’Iran (People’s Resistance Movement of Iran, PRMI) e i Soldati di Dio (Soldiers of God, Jundallah) che operano nella regione orientale del Sistan e Baluchistan al confine con Pakistan e Afghanistan, dove da decenni queste minoranze sunnite conducono una guerriglia contro le forze di sicurezza iraniana al confine con il Pakistan.


I precedenti attacchi terroristici in Iran

L’Iran non ha un vero e proprio terrorismo domestico che possa minarne la stabilità e attentare alla sicurezza dello stato. In confronto, l’Arabia Saudita è molto più esposta al terrorismo e alla destabilizzazione, in ragione dell’ideologia wahhabita e salafita che ha le sue origini proprio in questa regione. In ogni caso, vale la pena ricordare gli ultimi eventi terroristici in ordine cronologico.
20 giugno 1994 Bomba a Mashhad opera dei terroristi marxisti-leninisti di Mojahedin-e Khalq (Mujaheddin del Popolo Iraniano), 25 morti.

8 agosto 1998 Talebani assaltano Mazar I-Sharif, in Afghanistan, uccidendo 11 diplomatici e giornalisti iraniani.
7 gennaio 2001 Teheran è attaccata dai marxisti di Mojahedin-e Khalq, che lanciano una serie di razzi contro la sede delle forze di sicurezza interne iraniane. E il successivo 21 gennaio contro la Corte Suprema. Ci saranno morti e feriti.

Giugno 2005-marzo 2006 Ad Ahvaz, nella provincia del Khuzestan, una serie di bombe esplode presso uffici governativi nei giorni precedenti le elezioni presidenziali del 2005 e durante le proteste dei separatisti sunniti. Responsabile degli attentati, il Movimento Arabo di Lotta per la Liberazione di Ahwaz, vicino ai Fratelli Musulmani.

14 febbraio 2007. Jundallah, i "Soldati di Dio" (jihadisti salafiti provenienti dal Pakistan e legati ad Al Qaeda) fanno esplodere una bomba nel quartiere delle Guardie Rivoluzionarie, uccidendo 18 persone.

Aprile 2008 Una bomba esplode in una moschea di Shiraz, provincia di Fars, uccidendo 14 persone e ferendone 200. Matrice non individuata dalle forze di sicurezza

Luglio 2008. A Teheran un convoglio pieno di armi destinato con ogni probabilità a rifornire le milizie sciite di Hezbollah, esplode uccidendo e ferendo oltre 15 persone.

Attacco Parlamento Teheran
OMID VAHABZADEH/AFP/Getty Images
7 giugno 2017. Un soldato delle forze di sicurezza iraniane in armi a una finestra della sede del Parlamento iraniano a Teheran, nel corso di uno dei due attacchi terroristici condotti in contemporanea nella capitale e rivendicati dall'Isis.

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Luciano Tirinnanzi