Che fine hanno fatto i marò
Girone chiede di tornare al lavoro "vero" nelle Forze Armate. Prima della decisione dell’Aja forse arrivarà un accordo risolutivo fra Italia e India
Di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre - i due marò - non si hanno più notizie da un anno e mezzo, precisamente da fine maggio del 2016, quando la Corte Suprema indiana ha autorizzato il rientro in Italia di Girone.
Un silenzio interrotto, però, proprio da Girone, nonostante il riserbo e la cautela che da sempre il fuciliere del San Marco e il suo collega, Latorre, mantengono insieme alle rispettive famiglie su una questione ancora aperta e delicata.
"Generale Claudio Graziano, mi consenta di congratularmi per il Suo futuro e prestigioso incarico.
Sono certo che saprà, con il Suo mandato, tutelare l’operato e la dignità di tutti noi uomini e donne a servizio dello Stato Italiano e dell'Unione Europea. Il mio auspicio è che presto possa riottenere la mia libertà personale con il mio collega Massimiliano Latorre, poter tornare a operare senza restrizioni come tutti i nostri colleghi delle Forze Armate italiane" ha infatti scritto sulla propria pagina Facebook il marò che, insieme a Latorre, è al centro di un contenzioso con l'India, dove è accusato della morte di due pescatori mentre era in servizio antipirateria a bordo del mercantile Enrica Lexie.
Lo sfogo
Le parole di Girone, che in poche ore hanno ricevuto oltre 130 mila condivisioni su Facebook rimbalzando in rete, sono state interpretate soprattutto come uno sfogo: lo sfogo personale e umano di un fuciliere, che continua a lavorare in ambito militare, ma non più "sul campo".
Girone e Latorre (che ha dovuto seguire un percorso di riabilitazione lungo e tratti doloroso. dopo alcuni problemi di salute), sono circondati dall'affetto e dalla protezione delle rispettive famiglie, che mantengono uno stretto silenzio sulla vicenda, in attesa della sua conclusione.
Un riserbo che mira a non compromettere il delicato lavoro di mediazione che si starebbe portando avanti per raggiungere un accordo con l'India. Nel frattempo, però, Girone deve rispettare una serie di condizioni molto stringenti, imposte dai supremi giudici indiani, prima di consentirne il ritorno in Italia: il fuciliere deve, infatti, presentarsi ad un posto di polizia italiano ogni primo mercoledì del mese e l'ambasciata italiana ne deve informare l'ambasciata indiana a Roma.
Il marò non deve poi manomettere alcuna prova o influenzare alcun testimone del caso. È invece tenuto a dare garanzia che rimarrà sotto la giurisdizione della Corte Suprema indiana. Se una di queste condizioni sarà violata la sua libertà provvisoria verrà revocata.
Girone ha anche consegnato il proprio passaporto, non appena atterrato a Roma a maggio del 2016. Secondo i media indiani, infine, l'ambasciatore italiano a New Delhi si sarebbe impegnato affinché, non appena il Tribunale arbitrale internazionale deciderà in merito alla giurisdizione del caso, Girone (e così pure Latorre) torni in India entro un mese.
Il ricorso al Tribunale Arbitrale
La situazione di empasse che si era venuta a creare dopo l'incidente al peschereccio indiano si è infatti "sbloccata", seppure parzialmente, con il ricorso al Tribunale Arbitrale dell'Aja. Si tratta di un organismo internazionale, fondato nel 1899, chiamato a pronunciarsi nei casi di controversie tra Paesi che riguardano soprattutto i confini terrestri e marini, la sovranità, i diritti umani e appunto la giurisdizione per reati commessi in uno stato straniero.
Nel caso dei marò, il contenzioso riguarda proprio la competenza nel giudicare la colpevolezza o meno di Girone e Latorre reclamata sia da Roma, perché i militari erano a bordo di una nave battente bandiera italiana e in servizio antipirateria sotto egida Onu per conto dell'Italia (godevano dunque della cosiddetta "immunità di servizio"), sia da parte dell'India, perché la Enrica Lexie si trovava in acque contigue indiane, dunque di propria competenza, "dove perlatro è vietato entrare in possesso di armi: i marò facevano, invece, parte di un team antipirateria, con in dotazione armi a protezione del mercantile.
Il caso
Il 15 febbraio del 2012 due uomini a bordo del peschereccio St. Anthony vengono uccisi da colpi di arma da fuoco.
Della loro morte sono accusati Massimiliano Latorre, a capo del team di 6 fucilieri del Reggimento San Marco in servizio antipirateria sulla nave Enrica Lexie, e Salvatore Girone.
Il mercantile viene fatto rientrare in porto e i due marò sono presi in consegna dalle autorità indiane. Inizia un lungo braccio di ferro tra Roma e New Dehli, sulla responsabilità dei due militari italiani, con i rispettivi paesi che forniscono versioni differenti dell'accaduto.
Un'inchiesta condotta da Di Stefano-Capuozzo-Tronconi sostiene l'innocenza di Latorre e Girone, basandosi sulla raccolta e l'analisi di diversi elementi.
Ad esempio, le rilevazioni sulla rotta della Enrica Lexie dimostrerebbero che il mercantile, al momento dell'attacco da parte di pirati, poco dopo le 16.00 del 12 febbraio, si trovava a 20,5 miglia dalla costa indiana. Un secondo incidente, però, si sarebbe verificato alle 21.20, con protagonisti il peschereccio St. Anthony e la nave greca Olympic Flair, all'interno delle 12 miglia delle acque territoriali indiane. La morte dei due pescatori sarebbe avvenuta proprio in questo secondo caso.
Anche un'analisi balistica sul tipo di proiettili che hanno causato la morte dei due pescatori e sulla traiettoria che avrebbero seguito proverebbe che i colpi non sarebbero stati esplosi dai marò italiani. Ci sarebbero poi stati anche tentativi di occultamento e manipolazione delle prove a discolpa dei fucilieri.
Questi, però, sono ufficialmente accusati di omicidio e la Corte del Kerala, dopo aver fatto entrare in porto la Enrica Lexie, li fa arrestare.
Solo dopo che la Corte Suprema indiana sentenzia che la Corte del Kerala non ha giurisdizione, Latorre e Girone vengono trasferiti a New Delhi, presso l'ambasciata italiana, in stato di fermo e senza passaporti. Tra partenze e ritorni, per i due marò iniziano mesi di lunghe attese, fino a quando viene deciso di fare ricorso al Tribunale Arbitrale, perché stabilisca la giurisdizione sul caso.
Nel frattempo Latorre, colto da ictus, ottiene il permesso di tornare in Italia per motivi di salute. Solo dopo diversi mesi sarà raggiunto dal collega Girone, in base all'autorizzazione della Suprema Corte indiana e in attesa del verdetto dell'Aja.
Cosa sta succedendo ora?
La sentenza dei giudici dell'Aja dovrebbe essere emessa alla fine del 2018 o all'inizio del 2019.
La giuria è composta da cinque membri, dei quali due sono rappresentanti dei due paesi coinvolti, dunque uno italiano e uno indiano. Dei tre membri restanti, due facevano già parte della commissione del Tribunale del Mare che si espresse negativamente sul rientro in Italia di Girone, sostenendo la giurisdizione indiana sul caso.
"Per questo ritengo che non si arriverà, in realtà, a un giudizio da parte della corte, ma si cercherà e si sta cercando di trovare un accordo tra Roma e New Delhi" spiega a Panorama.it una fonte vicina al caso. Non sarebbe, dunque, interesse dell'Italia attendere il pronunciamento della giudici, quanto piuttosto lavorare a un'intesa, ora che le tensioni degli anni scorsi sembra si siano sciolte".
A conferma di un clima di rinnovato dialogo c'è stata anche la recentissima visita in India del premier Gentiloni, che aveva già seguito la vicende in qualità di Ministro degli Esteri; i bene informati sostengono che l'argomento sia stato affrontato propèrio in questa occasione.
"Sono convinto che si troverà un modo per non condannare i due marò - spiega ancora la fonte che, data la delicatezza del caso, preferisce rimanere anonima - Ma penso che il diritto indiano, che è emanazione di quello anglosassone, possa fornire qualche appiglio, in considerazione del fatto che si tratta di due militari che erano in servizio per conto di uno Stato, sotto egida Onu e nell'esercizio delle loro funzioni. In caso contrario, se si sancisse che la giurisdizione fosse indiana, è probabile che la Corte Suprema istituisca un tribunale ad hoc, prassi peraltro piuttosto frequente nel diritto indiano e, ancora una volta anglosassone, per accelerare i tempi della giustizia".