Perché Kim Jong-un è andato (di nascosto) in Cina
La visita a sorpresa conferma che la Corea del Nord è sempre più forte e in grado di trarre vantaggi dai contrasti tra le potenze rivali
I sospetti erano giusti: Kim Jong-un ha incontrato Xi Jinping a Pechino. Senza informare nessuno, il giovane leader nordcoreano, che da quando ha assunto il potere nel 2012 non era mai stato all'estero, ha deciso di onorare il suo "storico alleato" con la sua prima visita di stato ufficiale.
L'incontro tra il leader cinese e quello della Corea del Nord ha spiazzato un po' tutti. Osservatori e analisti più passa il tempo più si rendono conto da un lato che Kim Jong-un è un leader imprevedibile, dall'altro che questa crisi coreana è diventata ancora più complicata anche a causa delle difficili personalità coinvolte e dei loro rispettivi interessi. A livello statale, invece, anche se sia gli Stati Uniti che la Corea del Sud hanno ufficialmente "accolto con favore" l'incontro tra i due leader asiatici, dietro le quinte avranno certamente condiviso un discreto disappunto per l'iniziativa coreana (o cinese?): fino a pochi giorni fa avrebbero dovuto essere Moon Jae-in e Donald Trump i primi ad incontrare Kim.
Cosa sta succedendo nella Penisola Coreana?
Dopo un anno di provocazioni ininterrotte, all'inizio dell'anno Kim Jong-un ha deciso di lanciare un "messaggio di pace": ha dichiarato le sperimentazioni missilistiche e nucleari del regime concluse e si è ufficialmente impegnato per riportare la pace sulla Penisola coreana. Il primo passo verso la distensione è stato la partecipazione di Pyongyang alle Olimpiadi invernali organizzate quest'anno proprio in Corea del Sud.
Il secondo passo l'invio della sorella Kim Yo-jong a PyeongChang, la cittadina che ha ospitato i Giochi invernali, dove la giovane ha incontrato personalmente il presidente Moon Jae-in per recapitargli un messaggio del fratello: "incontriamoci per parlare di pace". Moon, che è figlio di rifugiati e, proprio per questo, della Corea del Nord percepisce le sfumature meglio di tanti altri burocrati, non si è lasciato sfuggire questa opportunità e ha subito inviato una delegazione di altissimo livello a Pyongyang per definire i dettagli dell'incontro.
Terzo passo: Kim ha incontrato i burocrati sudcoreani, ha accettato di confrontarsi con Moon a fine aprile, si è ufficialmente impegnato a denuclearizzare il paese, ha accettato che Corea del Sud e Stati Uniti ripianificassero le esercitazioni militari sospese a inizio anno per non mettere in discussione "la tregua olimpica", e si è detto disponibile a vedere anche Donald Trump. Bingo! Kim Jong-un ha imporvvisamente iniziato a comportarsi in maniera razionale e ha accettato di incontrare i presidenti di Corea del Sud e Stati Uniti per parlare di denuclearizzazione e di pace. Tutto questo senza mai tirare in ballo il suo unico vero alleato: la Cina. Poi però, colpo di scena, Kim si presenta a Pechino, incontra Xi Jinping prima di Trump e Moon, e la notizia dell'intesa ritrovata fa subito il giro del mondo.
Cosa ha detto Kim Jong-un a Pechino
Che cosa si siano detti davvero Kim Jong-un e Xi Jinping probabilmente non lo sapremo mai. La stampa ufficiale ci ha comunicato che Kim ha definito il suo viaggio in cina "un dovere solenne", un modo per confermare che l'intesa due paesi non è affatto traballante. Ancora, Kim ha confermato l'interesse a denuclearizzare la Penisola, ma pretende che Stati Uniti e Corea del Sud rispondano "con buona volontà". Ai Sudcoreani che ha incontrato a inizio marzo Kim aveva detto che per andare avanti con la denuclearizzazione Stati Uniti e Corea del Sud avrebbero dovuto dare al Nord sufficienti garanzie di sicurezza. Ma cosa serva davvero a soddisfare Kim non lo ha ancora capito nessuno.
Perché Kim Jong-un ha voluto incontrare Xi Jinping
Dopo mesi in cui la Cina sembrava non avere più voce in capitolo nella gestione della crisi coreana, Kim Jong-un ha deciso di "riabilitare" Xi a suo interlocutore preferenziale. Per comprendere la logica di questa scelta dobbiamo prima capire perché Xi era stato messo da parte. Secondo fonti sucdoreane, Kim Jong-un è stato costretto al dialogo grazie all'impatto del rigido regime sanzionatorio sostenuto soprattutto dagli Stati Uniti. Eppure, senza il contributo della Cina, principale mercato di riferimento per la Corea del Nord, la maximun pressure di Trump non sarebbe stata così efficace.
Le ragioni per cui la Cina ha approvato le nuove sanzioni sono due: Kim Jong-un era diventato ingestibile anche per Pechino, e la capacità che la Repubblica popolare aveva di influenzare la Corea del Nord sembrava essere svanita nel nulla. O meglio: il fatto che Xi Jinping avesse espresso il suo disappunto sulla scelta di Kim-Jong un come erede della dinastia e avesse cercato (con il sostegno delle precedenti amministrazioni di Corea del Sud e Stati Uniti, sempre secondo fonti sudcoreane) di sostituirlo con lo zio o con il fratellastro Kim Jong-nam(entrambi fatti uccidere da Pyongyang per evitare che il subdolo piano cinese andasse in porto) ha messo Pechino in cattivissima luce agli occhi del giovane Kim, che quando ha iniziato a parlare di distensione ha chiesto che il dialogo rimanesse un "dialogo a tre", tra Corea del Nord, del Sud e Stati Uniti.
Un negoziato pieno di sfumature
Va detto che Seul e Washington non hanno fatto così tanta fatica ad accettare che la Cina mantenesse un ruolo più defilato nei negoziati. Sia Moon che Trump, infatti, erano ben contenti che il ruolo di protagonisti fosse stato assegnato a loro. Poi però Kim si è presentato a Pechino, dove è stato accolto con tutti gli onori del caso, e ha di nuovo spiazzato i suoi interlocutori.
Come ha sempre fatto Pechino quando veniva annunciato un nuovo passo avanti verso la distensione per il raggiungimento del quale non aveva dato nessun contributo, Corea del Sud, Stati Uniti, Giappone e anche Russia hanno confermato la rispettiva approvazione per questo "importante incontro" che conferma che l'impegno per la denuclearizzazione e la pace di Kim Jong-un è sincero. La Cina, mostrandosi un partner serio e leale, ha annunciato che invierà un funzionario a Seul per informare la Corea del Sud sui dettagli dell'incontro. Tuttavia, il "ritorno in gioco" della Cina rischia di creare nuove tensioni.
Come la Corea del Nord sfrutta il contrasto Cina-Stati Uniti
Cina, Corea del Sud, Stati Uniti, e in parte anche Giappone: nessuno vuole farsi da parte perché tutti possono ricavare vantaggi strategici molto importanti da questo negoziato. La Corea del Nord lo sa e vuole a sua volta sfruttare la situazione a suo favore. Riassumiamo brevemente gli obiettivi di tutti: la Seul vuole la pace, e sa che ha bisogno del sostegno di una grande potenza per essere più credibile ed efficace. Viste le difficoltà con la Cina, ha optato per gli Stati Uniti.
Washington vuole annullare una possibile minaccia nucleare per gli Stati Uniti, Trump potrebbe essere interessato ad essere ricordato come il Presidente che ha risolto la crisi coreana, e se nel fare tutto questo gli Stati Uniti riescono anche a marginalizzare la Cina, alleato storico della Corea del Nord, tanto meglio. Così la colpiscono con dazi pesantissimi, sapendo di non correre rischi sul tavolo coreano: le difficoltà tra Pyongyang e Pechino non rendono conveniente per la seconda ridurre le pressioni su Kim.
Pechino non vuole essere messa da parte, e così invita Kim Jong-un in Cina. L'obiettivo? Definire una strategia comune prima dell'incontro con Trump. E chiarire al mondo che l'asse Pyongyang-Pechino esiste ancora. Un dettaglio importante, che regala a Xi Jinping una carta in più da giocare anche sul tavolo della guerra commerciale, e riduce la libertà di manovra di Trump. Tutto, in fin dei conti, a vantaggio della Corea del Nord, che può permettersi di alzare la posta in gioco. Se l'impegno per la denuclearizzazione è sincero (e probabilmente lo è, perché Pyongyang ha voluto dimostrare di essere una potenza nucleare, per aumentare la propria credibilità, ma non ha mai voluto attaccare nessuno, altrimenti si sarebbe autodistrutta), tanto vale sfruttare i prossimi negoziati per ottenere concessioni più generose: un ipotetico trattato di pace, il riconoscimento internazionale di potenza "rispettabile", un po' di notorietà, in patria e all'estero, e un sostegno economico e umanitario degno di essere definito tale.