Siria, luci e ombre sul fondatore dell'Osservatorio per i diritti umani
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Siria, luci e ombre sul fondatore dell'Osservatorio per i diritti umani

Chi è Rami Abdul Rahman, l'uomo che gestisce una grandissima mole di informazioni. Con metodi su cui alcuni avanzano dubbi

Nella guerra mediatica in corso in Siria, la maggior parte delle informazioni sull’andamento del conflitto passano per le mani di un “uomo solo al comando”. Si tratta di Rami Abdul Rahman, direttore dell’Osservatorio Siriano per i diritti umani, organizzazione con sede a Londra, vicina all’opposizione siriana e considerata una delle fonti più attendibili da agenzie di stampa e giornali di tutto il mondo.

Sulla sua figura, e sulla credibilità dell’enorme mole di notizie diffusa ogni giorno dalla sua organizzazione, da qualche settimana ha concentrato le proprie attenzioni il Cremlino. La notizia dei bombardamenti che sarebbero stati effettuati da caccia russi su un ospedale da campo nel nord-ovest della Siria nel governatorato di Idlib, provocando l’uccisione di 13 civili, è stata smentita pochi giorni fa dal portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, la quale ha parlato di una “potente campagna informativa antirussa” e di accuse illegittime a Mosca, “incolpata di perseguire interessi propri e personali nella regione, nascondendoli dietro la lotta allo Stato Islamico”.

Non è la prima volta che la Russia critica le notizie fornite dall’Osservatorio Siriano per i diritti umani. Dubbi sono stati posti non solo sul video che testimonierebbe l’attacco russo sull’ospedale di Idlib ma anche su ricostruzioni di altri episodi poco chiari: dall’abbattimento di droni inviati da Mosca nello spazio aereo turco, alle collisioni sfiorate tra caccia britannici e russi in Iraq, fino ai missili lanciati dal Mar Caspio dalle navi da guerra del Cremlino che sarebbero finiti in Iran e non in Siria.

Chi è Abdul Rahman

Prima dell’intervento militare russo in Siria a sostegno di Bashar Assad, la storia di Rami Abdul Rahman era stata setacciata da diversi giornali. In un pezzo pubblicato dal New York Times nell’aprile del 2013, il direttore dell’Osservatorio Siriano per i diritti umani è stato definito uno “one man band”. Quarantaquattro anni, diplomato al liceo e con studi di marketing alle spalle, dalla sua casa di Coventry nella contea delle West Midlands al centro del Regno Unito, Rahman rappresenta dallo scoppio della guerra in Siria un punto di riferimento inamovibile per gli analisti militari di Washington, così come per le Nazioni Unite.

Eppure dalla Siria è scappato 15 anni fa pagando dei trafficanti, e da allora non vi ha fatto più ritorno. Il suo vero nome è Osama Suleiman. È nato e cresciuto a Baniyas, sulla costa siriana, dove è maggioritaria la presenza della comunità alawita a cui appartiene il presidente Assad. Quando nel 2000 due soci del suo negozio di abbigliamento sono stati arrestati con l’accusa di sostenere attività contro lo Stato, ha deciso di fuggire ed è finito a Coventry.

L’Osservatorio Siriano per i diritti umani nasce nel 2006, ufficialmente con l’obiettivo di attirare l’attenzione del mondo sugli arresti e sui soprusi perpetrati dall’esercito di Assad contro gli oppositori del regime. Il salto nel gotha nel circuito mediatico internazionale avviene però con l’inizio delle prime proteste anti-governative nel 2011. Da allora, dai primi rudimentali scambi di email e messaggi la sua organizzazione si è trasformata in una macchina capace di sfornare fiumi di informazioni, percentuali e statistiche sull’andamento del conflitto in Siria, sul numero di morti e feriti, su attacchi di terra e bombardamenti dall’alto.

Il suo team

Stando a quanto scritto dal NYT, è Rahman in persona a valutare ogni notizia che arriva all’Osservatorio da una rete formata da oltre 200 informatori sparsi tra il Medio Oriente e il Nord Africa: oltre che in Siria, anche in Egitto, Turchia e Libano. Mentre il suo team è composto da quattro collaboratori più un quinto che si occupa della traduzione delle notizie dall’arabo all’inglese e della pubblicazione dei flash sulla pagine Facebook dell’organizzazione. Rahman afferma di aver coltivato i suoi contatti prima di partire dalla Siria, ai tempi in cui partecipava all’organizzazione di manifestazioni clandestine. Si tratta di attivisti, medici ed ex militari dell’esercito regolare, ma anche di semplici testimoni che entrano in contatto con lui tramite Skype. Finora ha sempre professato la sua neutralità: “Non sono finanziato da nessuno - ha affermato al NYT -. Ho creato questo Osservatorio nel 2006 perché volevo fare qualcosa per salvare il mio Paese”.

Le informazioni

Eppure è difficile credere che dietro la principale fonte di informazioni sul conflitto siriano vi sia solo lui. Un sospetto avanzato non solo dalla Russia, ma anche da altri attori protagonisti in prima linea in questa guerra. In questi anni la figura di Rahman è stata affiancata a governi, servizi segreti, personalità influenti e centri di potere. Sono stati tirati in mezzo il Qatar, i Fratelli Musulmani - a cui lui stesso ha affermato di essere vicino -, la Cia, Rifaat Assad, zio di Bashar Assad attualmente in esilio, ma anche l’Unione Europea che sosterrebbe con dei finanziamenti la sua attività. E poi c’è l’ombra di un Paese europeo, vale a dire l’Inghilterra, come dimostrano la sede dell’organizzazione a Coventry e una foto scattata il 21 novembre del 2011 in cui Rahman è ritratto mentre esce dal ministero degli Affari Esteri e del Commonwealth.

 

Il rapporto con l’opposizione siriana

Nel dicembre del 2014 un altro articolo interessante su Rami Abdul Rahman è stato postato da Le Monde nella sua sezione dedicata ai blogger. Il titolo scelto non lascia spazio ai fraintendimenti: “La crédibilité perdue de Rami Abdel-Rahman, directeur de l’Observatoire syrien des Droits de l’Homme”. Il quotidiano francese mette in evidenza un particolare su cui pochi altri giornali occidentali si sono soffermati in questi anni, vale a dire la mancanza di fiducia di buona parte dei sostenitori delle opposizioni siriane rispetto al lavoro svolto dall’Osservatorio.

I siriani sospettano della figura di Rahman e del funzionamento della sua organizzazione, attenta esclusivamente a produrre informazioni senza verificarle in maniera il più possibile esaustiva sul campo, a differenza di quanto invece tentano di fare altre ong impegnate sul campo.

Dell’Osservatorio viene criticata anche l’attendibilità degli informatori, sulle cui storie personali e sui cui cambiamenti di opinione Rahman non può essere a conoscenza considerato che non si reca più in Siria da 15 anni. E ci sono anche sospetti sui suoi rapporti con i Fratelli Musulmani, sul suo presunto collegamento con i servizi segreti britannici e sulla possibilità concreta che tra le sue fonti vi siano elementi del regime di Damasco che fanno arrivare alla sua organizzazione notizie impacchettate ad hoc per creare disinformazione.

Visione manageriale

Per tutti questi motivi Rahman apparirebbe in patria non tanto come un difensore dei diritti umani quanto come un manager di successo che sta fabbricando una visione della Siria a uso e consumo esclusivo dei governi e dei media occidentali.

In questo groviglio di accuse, la logica della guerra mediatica, anche attraverso l’Osservatorio Siriano per i diritti umani, sta esprimendo al meglio le proprie potenzialità. Non è una scoperta, lo diceva già lo scrittore George Orwell più di mezzo secolo fa: “Il linguaggio politico è concepito in modo da far sembrare vere le bugie e rispettabile l’omicidio, e per dare parvenza di solidità all’aria”. La stessa che Rahman starebbe vendendo adesso per buona all’opinione pubblica mondiale.

 

 

 

Vedat Xhymshiti / Alamy/Olycom
Civili siriani ad Azaz, nel nord del paese

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Rocco Bellantone