L'Europa che verrà: repubblicani contro sovranisti
È iniziata la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento dell'Unione. A contrapporsi, gli europeisti alla Macron contro i populisti e Salvini. Il test svedese è un primo segnale
Dopo l'infinita, ormai permanente campagna elettorale italiana, ahinoi, ci toccherà sorbirci anche quasi nove mesi di campagna elettorale per il Parlamento europeo. Condotta, stavolta, con gli stessi medesimi "sobri" toni che caratterizzano lo scontro politico nostrano. Sono finiti i buoni (?) vecchi tempi in cui dell'elezione del Parlamento europeo non interessava niente a nessuno.
Lo scontro tra Macron e Salvini
Gli elettori del Vecchio continente si sono resi ormai conto, sulla loro pelle e nelle loro tasche, che Bruxelles conta e che il tipo di Commissione che governerà i nostri conti pubblici o continuerà a non saper governare i flussi di immigrazione clandestina che da anni continuano a investire l'Europa, dipenderà anche da come finiranno le elezioni del prossimo maggio. Lo scontro si preannuncia teso e la campagna non ci farà mancare livore, retorica e volgarità assortite. Ne abbiamo avuto un assaggio nel botta e risposta a distanza tra Matteo Salvini e Emmanuel Macron. Il primo in ascesa costante nei sondaggi, ma con la magistratura alle calcagna e il rischio di bancarotta finanziaria del partito a causa principalmente di chi l'ha preceduto. Il secondo in bancarotta di consensi, il presidente francese con il più basso gradimento a un anno dalla sua elezione della storia della V Repubblica (peggio persino di François Hollande).
La ruggine tra i due è vecchia, ma al ministro degli Interni italiano non va giù che l'inquilino dell'Eliseo si erga a campione di compassione, umanitarismo e cosmopolitismo quando applica in Francia le politiche per cui critica Salvini. Frontiere chiuse ermeticamente ai migranti irregolari (anche a quelli che potrebbero ragionevolmente ottenere asilo, ai minori non accompagnati e alle donne incinte), restringimento della politica di accoglienza, misure durissime contro accattonaggio e vagabondaggio.
Certo, Macron respinge verso l'Italia e non verso la Libia, facendosi forte del Trattato di Dublino sulla cui riforma in senso maggiormente solidale verso Paesi come Grecia, Italia o Spagna è sordo tanto quanto il presidente ungherese Orbán. Ma, nella sostanza, sfrutta le norme esistenti per perseguire gli interessi francesi e sperare di frenare il disastro annunciato di En marche! alle prossime europee. Macron è stato il primo a riposizionare la sfida elettorale continentale in termini di europeisti contro sovranisti.
Élite finanziare vs ceti medi impoveriti
Una mossa astuta, che cerca di ridefinire il campo rispetto all'altra possibile lettura, ovvero élite cosmopolite e finanziarie contro ceti medi impoveriti. A ben guardare, Macron sta provando a ripetere l'esperimento che lo portò al successo nelle presidenziali francesi, quando sconfisse al secondo turno Marine Le Pen, dopo che il tempestivo emergere di uno scandalo (minore ma ben orchestrato) aveva fatto fuori il suo principale rivale del centro-destra. Anche allora poté competere contro un avversario ideale e diede vita a un "fronte repubblicano" da opporre al "Fronte nazionale". Così oggi la scelta cade su Salvini, o sull'asse Salvini-Orbán, identificato come leader di chi vorrebbe distruggere l'Unione, riportarci agli anni Trenta, mettere a repentaglio la democrazia in Europa. In questo è assistito dai principali mezzi di informazione e, ovviamente, dagli inserzionisti pubblicitari e dagli editori dei medesimi.
Gli stessi, per intenderci, che hanno assistito senza battere ciglio (semmai plaudendo e lavorando per mistificarlo come il solo percorso virtuoso) all'attacco allo Stato sociale, al crollo del potere d'acquisto dei ceti medi, alla libera circolazione dei capitali, all'applicazione non governata di innovazioni tecnologiche e contrattualistiche che hanno rivoluzionato il mercato dell'occupazione, spesso peggiorando le condizioni di chi lavora. Intendiamoci bene: sono innanzitutto i cosiddetti "sovranisti" che hanno l'obbligo di chiarirsi e chiarirci le idee sulle loro intenzioni ultime. E lo vediamo bene in Italia, dove non passa giorno senza che i due vicepremier alimentino la confusione sulle loro intenzioni: una confusione che tutti noi paghiamo a colpi di spread.
Come gli europeisti hanno generato il malcontento
Delle politiche liberiste, Macron è stato il promotore nel suo Paese. Ma evidentemente non gli conviene ricordarlo. Molto meglio, e per lui più confacente, assumere i panni della Giovanna d'Arco europea che quelli di un Necker, il ministro delle Finanze di Luigi XVI. Peccato che chi si oppone a lui e al supposto "fronte repubblicano-europeista" debba ancora decidere se intenda distruggere l'Unione o provare a modificarla nella direzione di una maggiore attenzione alle legittime preoccupazioni dei ceti medi impoveriti, tra le quali spiccano sicuramente la difesa dello Stato sociale e il timore per un'immigrazione incontrollata: tutte questioni che ovviamente non toccano chi vive in quartieri di lusso e non si serve dei servizi sociali pubblici. È indubitabile che all'interno del variegato "fronte sovranista-populista" si ritrovino anche soggetti (come Alternative fuer Deutschland, AfD) o leader (come Viktor Orbán) che hanno posizioni preoccupantemente illiberali e xenofobe. Ma d'altronde è fin troppo facile constatare che nel "fronte repubblicano-europeista" vi siano tanti esponenti e partiti che con le loro politiche anti-popolari hanno generato il ciclone che rischia di travolgerli.
Insomma, la realtà è più complessa di quella che vorrebbero farci credere gli uni e gli altri. La posta in gioco è la capacità di rimuovere gli eccessi di rigidità che impediscono all'Unione e ai Paesi membri di governare in maniera efficace tanto la politica economica quanto quella migratoria, allontanando la prospettiva della necessaria coniugazione di efficienza e solidarietà, di apertura e sicurezza. La sola cosa certa è che, a forza di ripetere slogan triti e ritriti ("difendiamo l'Europa", "è colpa dell'Europa", "accogliamoli tutti", "tornate a casa vostra") rischiamo di non vedere se c'è qualcosa di diverso e di nuovo in giro per il Continente.
Le difficoltà di Angela Merkel
Della Francia abbiamo detto. Passando alla Germania, si confermano tanto le difficoltà di Angela Merkel quanto quelle dei socialdemocratici. Paradossalmente, proprio il fatto di essere al governo insieme rischia qui di rendere molto più spuntata che altrove la sacra alleanza anti populismo. AfD, che è già il secondo partito in tre Laender, potrebbe diventarlo a livello nazionale, costringendo la dirigenza socialdemocratica a interrogarsi sul fatto se convenga decretare la fine o l'emarginazione politica della Spd pur di continuare a sostenere il governo di Frau Angela. Va notato che proprio sull'immigrazione irregolare le tensioni tra Cdu e Csu (la Dc nazionale e quella bavarese) sono molto cresciute nel corso degli ultimi mesi, proprio per la paura dei dirigenti di quest'ultima di vedere insidiata la propria storica egemonia in Baviera dalla crescita di consensi per AfD. Certo è che, se AfD vedesse una consistente affermazione, il governo federale potrebbe avere i mesi contati. Sarebbe la spia che una parte crescente di tedeschi sconfessa la politica di Merkel sull'immigrazione, chiedendo implicitamente misure più severe, difficilmente adottabili dalla Grande coalizione e dalla stessa Angela Merkel.
Il peso dei quattro Paesi Visegrad
Non sembra che dai Paesi del cosiddetto "Blocco di Visegrad" (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) emergano grandi novità, se non quella dell'allargamento della sua influenza, grazie all'attrazione dell'Austria nella sua orbita. Certo, continua a preoccupare l'involuzione autoritaria dell'Ungheria, ma sulle questioni europee va osservato che la spinta verso la ricostituzione delle frontiere interne è un riflesso dell'incapacità di un'effettiva sorveglianza delle frontiere esterne dell'Ue.
Questi Paesi devono decidersi se vogliono la chiusura delle troppe falle che consentono a scafisti e soggetti privati di vendere o comunque gestire il "diritto" ad approdare in Europa per consentire all'Unione di progredire o se per loro questi temi sono solo "siluri" lanciati contro l'Ue. Dal punto di vista della politica economica e dei rapporti con la Commissione sul lato finanziario, non dovremmo scordare che si tratta di economie che hanno beneficiato sì di consistenti aiuti da parte di Bruxelles (come tutti i Paesi ex socialisti) e che hanno attuato liberalizzazioni e privatizzazioni in grado diverso, ottenendo risultati non del tutto omologabili, ma che hanno usufruito della massiccia delocalizzazione industriale, soprattutto tedesca e in parte francese.
Elezioni in Svezia, bussola per il futuro
In Svezia le elezioni parlamentari del 9 settembre ci diranno qualcosa di concreto e forse di nuovo e utile per il destino comune europeo. I socialdemocratici, pur in flessione, dovrebbero mantenere il primo posto, mentre il Partito della sinistra e i Democratici svedesi (di destra) dovrebbero conoscere un consistente affermazione. Anche lì le questioni di fondo sono la difesa dello Stato sociale e il tema dell'immigrazione. Sul primo versante va segnalato che la Svezia, pur avendo adottato riforme di matrice liberista, è riuscita a mantenere un buon equilibrio tra competitività e tutela. Proprio nei giorni scorsi il premier ha annunciato la volontà di estendere di una settimana le ferie pagate (gli svedesi già ne fanno più di tutti): una misura ben diversa dalla mancetta di 80 euro di renziana memoria, ma piuttosto orientata a redistribuire ai lavoratori una parte dei "dividendi" dell'aumento di produttività legata all'innovazione tecnologica.
La Svezia ha accolto il più grande numero di rifugiati tra i Paesi europei (in termini percentuali rispetto alla propria popolazione) e ha visto cambiare in maniera rapida e vertiginosa il proprio mix etnico. Basti pensare che nel 2000 i residenti di religione musulmana erano pari al 4 per cento del totale, mentre le stime per il 2050 portano il dato al 20. Sarà interessante vedere che cosa esce dalle urne di Stoccolma, per capire se un mix non xenofobo, non autoritario, di maggior attenzione alla protezione sociale e di irrigidimento verso l'immigrazione irregolare può essere di successo e fornire un'indicazione (e magari altre opportunità di allineamento) per le successive elezioni europee.
(Articolo pubblicato nel n° 38 di Panorama in edicola dal 6 settembre 2018 con il titolo "L'Europa che verrà")