L'odissea dell'ex direttrice del Beccaria; 9 anni a processo ed assolta. Ma ormai rovinata
Nuccia Micciché ci racconta la sua assurda storia di malagiustizia che, oltre agli irreparabili danni umani e professionali, ha lasciato per anni il carcere minorile milanese nel caos
Arrestata, licenziata, processata, rovinata, si è persino ammalata. Ed, infine, dopo anni ed anni, assolta, del tutto. Il caso di Nuccia Miccichè, ex direttrice del carcere minorile Beccaria di Milano, rappresenta un chiaro esempio di malagiustizia, purtroppo uno dei tanti. La sua storia, iniziata con l'arresto il 22 ottobre 2015 per accuse di corruzione si è conclusa dopo nove anni con un'assoluzione piena: "il fatto non sussiste". Tuttavia, il danno professionale e umano subito da Miccichè è incalcolabile. E chi glielo risarcisce adesso?
Miccichè fu arrestata con l'accusa di aver favorito una cooperativa e un'associazione culturale durante il suo mandato presso il carcere minorile di Caltanissetta. Dopo sei mesi di arresti domiciliari, venne rilasciata, ma il Ministero della Giustizia decise di retribuirla senza assegnarle alcun incarico significativo per cinque anni, fino alla pensione. Questa decisione non solo tolse alla dirigente la possibilità di continuare la sua carriera, ma privò il carcere Beccaria di una guida esperta e stabile.
La sua carriera, costruita con decenni di esperienza nei carceri minorili, è stata bruscamente interrotta da accuse infondate. A parlarcene in una lunga intervista è Nuccia Miccichè
Come ha vissuto il periodo degli arresti domiciliari e la lunga attesa per l'assoluzione?
«Finalmente, la verità è emersa e giustizia è stata fatta. Tuttavia, gli anni trascorsi in attesa di questo momento sono stati estremamente difficili. Ho vissuto un periodo di grande sofferenza, tanto che ho sviluppato il diabete a causa dello stress. Ho provato un profondo senso di ingiustizia perché sapevo di essere completamente estranea a tutte le accuse che mi erano state mosse. Questa consapevolezza mi ha fatto sentire impotente e frustrata, sentimenti amplificati dal coinvolgimento dei miei figli nella vicenda. Le persone che mi avevano accolto al Beccaria con fiducia, vedendomi come una guida con cui lavorare per il bene comune con passione e dedizione, si sono trovate improvvisamente a vedermi accusata di reati infamanti. Mi sono sentita come se avessi disatteso le loro speranze, come se il mondo mi fosse crollato addosso, trasformandomi in un mostro agli occhi di chi aveva creduto in me. Questo è un danno irreparabile: nessuno potrà mai restituirmi il tempo e la serenità perduti. Ho sempre cercato di agire con onestà e correttezza nella mia carriera, ma sono stata indagata per corruzione, una cosa che non avrei mai immaginato potesse accadere».
Come ha reagito la sua famiglia e chi le è stato vicino durante questo difficile periodo?
«Durante questo difficile periodo, ho trovato un grande supporto da parte della mia famiglia e delle persone a me vicine. Nessuno mi ha lasciato sola: gli operatori del Beccaria, don Gino Rigoldi, gli educatori e l’associazione teatrale Punto Zero mi sono stati accanto con costante affetto e solidarietà. Tuttavia, sono rimasta profondamente delusa dal Ministero della Giustizia, al quale avevo dedicato anima e corpo. Nel 2013, dirigevo contemporaneamente l’Ipm di Caltanissetta, il carcere minorile Beccaria di Milano e prima ancora un istituto a Palermo. Il Ministero mi riteneva in grado di gestire tre strutture contemporaneamente, una responsabilità enorme che mi ha tolto il sonno. Nonostante questo impegno, sono stata abbandonata nel momento del bisogno, e questo mi ha ferita molto. Nonostante tutto, la giustizia ha prevalso, anche se lentamente, e la verità è stata ristabilita. Ora valuterò con i miei legali la possibilità di chiedere un risarcimento per i danni subiti».
Può descrivere in che modo la sua assenza ha influito sulla gestione del carcere minorile Beccaria?
«Dopo il mio allontanamento, non è stato nominato un direttore a tempo indeterminato per il carcere minorile Beccaria, ma solo direttori di passaggio che avevano come priorità altre strutture. Questo ha trasformato il Beccaria in una nave senza capitano. La recente notizia delle violenze mi ha profondamente colpita e sorpresa, poiché il personale che conoscevo non avrebbe mai permesso tali atti. Il Beccaria era il fiore all’occhiello del dipartimento, un luogo dove si attuavano seri programmi di rieducazione. Ogni ragazzo era seguito attentamente. Vedere che ciò non è più così mi addolora immensamente, poiché credo fermamente nell'importanza di un ambiente sicuro e rieducativo per i giovani detenuti».
Quali sono le principali criticità che ha affrontato nella gestione di un carcere minorile?
«Provenendo dal carcere degli adulti, che è un contesto completamente diverso, ho dovuto imparare moltissimo dai ragazzi sia come direttrice sia come madre. È stata un'esperienza che mi ha arricchito profondamente sul piano professionale e personale. Ho dovuto ricominciare da capo, comprendendo che i ragazzi sbagliano spesso perché non hanno punti di riferimento stabili e necessitano di essere seguiti molto da vicino. La carenza di personale è un ostacolo significativo, poiché il rapporto ideale tra educatore e minore dovrebbe essere uno a uno. Solo così si può sperare di offrire loro una vera opportunità di riscatto e rieducazione».
Quali misure ritiene necessarie per garantire una direzione stabile e competente nelle strutture penitenziarie minorili?
«Per garantire una gestione efficace delle strutture penitenziarie minorili, è fondamentale avere un direttore stabile, con una solida formazione pedagogica e una forte presenza tra i ragazzi. Inoltre, è necessario incrementare il numero di personale qualificato, in modo che ogni minore possa essere seguito attraverso attività strutturate che prevengano la recidiva. In particolare, per quei ragazzi che non hanno una famiglia di supporto, il rischio di tornare a delinquere è molto alto. Senza un intervento adeguato, il carcere rischia di diventare l'unica alternativa per loro. Le attività educative, sportive e artistiche possono fare una grande differenza nel processo di rieducazione e reinserimento sociale».