Sanremo parte bene: non c'è più la Ferragni
Un anno fa regalammo l'Ariston alla più nota influencer del paese, oggi in disgrazia. Al suo posto trattori ed agricoltori
Prima ancora del debutto, questo Sanremo ha un innegabile pregio: sul palco non c’è più Chiara Ferragni. Ed è incredibile la velocità con cui si può passare dagli altari alla polvere per colpa di un pandoro. Solo in Italia si cade giù dall’empireo all’ultimo girone dell’inferno nel giro di un attimo.
Soltanto 12 mesi fa, in queste ore, si tagliava col coltello l’eccitazione nazionale per la presenza dell’eroina delle influencer al Teatro Ariston. Riviste patinate e commentatori à la page sbrodolavano peana per la Ferragni avvolta nella stola, marchiata “pensati libera”. Ci dicevano che era un motto filosofico, un grido rivoluzionario, manco fosse Martin Luther King. E noi telespettatori sgranavamo gli occhi con ammirazione dinanzi al “coraggio” di calcare quel palcoscenico con un abito trasparente, per poi tenere un monologo che sapeva tanto di manifesto esistenziale: “Goditi il vento, vivi quei momenti con tutta te stessa, piangi, arrabbiati, urla se devi, fanno parte del tuo percorso e più che mai dei te…nessuno fa la fila per delle montagne russe piatte. Vivile al massimo, sia quando sono altissime che ti manca il fiato, sia quando sali che la vita ti sembra un traguardo lontano”. Ascoltavamo quelle parole quasi storditi, caricandole di chissà quale significato metafisico, convinti che da quella ragazza stavamo davvero imparando qualcosa.
Un anno dopo, l’incantesimo ferragniano si è spezzato. Quel monologo, esaltato come inno all’empowerment femminile, appare oggi a tutti per quello che era: un’accozzaglia di banalità autoreferenziali buone per acchiappare like. Non erano parole genuine, ma solo l’ennesima prova di personal branding. Frasi luminescenti, alla moda, ma vuote come un panettone brandizzato: la pagina numero uno dell’abc della perfetta influencer: riconoscere che il talento conta poco, è basta in fondo “essere sé stessi” per sfondare tutte le porte.
Ci siamo cascati con tutte le scarpe, nella retorica dell’autenticità che ben si presta ad essere venduta al pubblico nazional-popolare. Ma era uno spot anche quello: in lustrini e paillettes, ma pur sempre uno spot. Quanto all’autenticità del personaggio, le successive vicende giudiziarie su pandori&beneficenza, al di là delle effettive responsabilità che verranno accertate, squarciano il velo dell’ipocrisia che qualcuno al tempo aveva già intuito. Ma un anno fa non si poteva alzare un dito contro Chiara Ferragni: sarebbe stato vilipendio alla bandiera nazionale. Men che meno si poteva storcere il naso contro il fidanzato che sulla prima rete pubblica si abbandonava ad effusioni fluide: era lecito soltanto applaudire alla loro modernità, alla loro genialità imprenditoriale, alla loro genuinità.
Ci sono voluti 12 mesi e un pandoro farlocco, a tornare con i piedi per terra. A interrompere la messa cantata. E a cambiare musica: o almeno si spera.
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