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L’inquietante scia di sangue dei figlicidi in Italia

Dalla strage famigliare di Nuoro agli infanticidi. Dal 2000 al 2023 sono stati 535 i casi, il 12,5% di tutti gli omicidi in ambito familiare

Nelle ultime settimane, il tragico fenomeno del figlicidio e dell’infanticidio è tornato con forza al centro delle cronache. Da Chiara Petrolini, che ha sepolto due neonati nel giardino di casa dopo averli partoriti, a Susanna Recchia, che si è tolta la vita insieme alla figlia di tre anni, la scia di sangue sembra non fermarsi. L’ultima tragedia è avvenuta ieri a Nuoro, dove un padre ha sterminato la sua famiglia, aggiungendo un altro capitolo agghiacciante a questa terribile serie di eventi.

Roberto Gleboni, 50 anni,,ha aperto il fuoco contro la sua stessa famiglia, uccidendo la moglie Giusi Massetti, 43 anni, e la loro figlia maggiore, Martina, di 26 anni. Gli altri due figli, di 10 e 14 anni, sono rimasti feriti e per il più giovane è stata dichiarata la morte cerebrale. Dopo aver compiuto il massacro, Gleboni è fuggito a casa della madre, dove ha deciso di porre fine alla sua vita.

Questi casi, apparentemente isolati e avvenuti in contesti sociali diversi, tracciano un quadro allarmante di un fenomeno, che sembra essere in preoccupante aumento.

Dal 2000 al 2023, l’Italia ha visto un totale di 535 figlicidi. I dati raccolti dall’Eures, in collaborazione con il Ministero dell’Interno e l'Istat, mostrano come gli omicidi in famiglia continuino a rappresentare una parte significativa del totale degli omicidi nel Paese. I figlicidi, in particolare, costituiscono circa il 12,7% di tutti gli omicidi in ambito familiare. Un fenomeno peggiorato ulteriormente durante il periodo della pandemia. Secondo i dati del 2020-2022, l’aumento della pressione psicologica e della violenza domestica ha portato a un incremento significativo dei casi di omicidio in famiglia, con i figlicidi che hanno toccato picchi allarmanti. Alcuni rapporti indicano che durante il lockdown il 53% degli omicidi domestici ha coinvolto figli come vittime.

Tradizionalmente, le madri sono state più spesso responsabili di questi atti, rappresentando il 60% dei casi. Ma negli ultimi anni si è osservato anche un aumento significativo del numero di padri che compiono figlicidi come dimostra la strage famigliare di Nuoro.

«La maggior parte degli omicidi di minori è commessa da madri biologiche o da caregiver, ma anche i padri non sono esenti da questa drammatica realtà. Le donne che commettono neonaticidio sono spesso giovani, madri single, al primo figlio e senza precedenti problemi di salute mentale. Ma non bisogna sottovalutare il ruolo degli uomini, che possono trovarsi in situazioni di stress estremo e impotenza, portandoli a compiere atti di violenza devastanti»-commenta Fabio Delicato psicologo e criminologo.

Qual è il contesto sociale in cui vivono queste persone?


«Le persone coinvolte in casi di figlicidio e infanticidio vivono spesso in contesti socioeconomici difficili e di precarietà lavorativa, che alimentano ansia e tensioni familiari. L'isolamento sociale, senza reti di supporto, aumenta la solitudine e la sensazione di impotenza. Inoltre, le dinamiche familiari possono essere complesse e conflittuali, includendo violenza domestica o problemi di salute mentale. Le pressioni sociali e culturali legate alla genitorialità possono generare vergogna e stress, mentre l'accesso limitato a servizi di supporto psicologico e assistenza sociale può impedire il recupero in situazioni di crisi. Questi fattori contribuiscono a rendere le famiglie vulnerabili, portandole a esplosioni di violenza devastanti».

Nel caso di Chiara Petrolini quali potrebbero essere le dinamiche psicologiche che l’hanno spinta a nascondere le gravidanza e poi ad uccidere i bambini?

«Potrebbero essere stati molti i fattori ad aver influito. A volte la vergogna e il desiderio di evitare il giudizio sociale spingono alcune donne a negare la gravidanza. Questo comportamento può essere accentuato dalla mancanza di supporto sociale e dal timore delle conseguenze economiche o personali. In alcuni casi, problemi psicologici come la depressione possono influenzare il comportamento della madre, portandola a compiere atti violenti. Inoltre, la percezione del bambino come un ostacolo alla propria identità o futuro può contribuire a decisioni estreme. Infine, può essere indicativo di un profondo stato di negazione. Questa negazione è particolarmente comune nei casi di neonaticidio, dove la gravidanza stessa è spesso nascosta o rifiutata».

Cosa può dirci del profilo psicologico dell’uomo che ha ucciso moglie e figli a Nuoro?


«In generale pur non conoscendo il caso specifico, il profilo psicologico di un padre che uccide moglie e figli è spesso legato a un senso profondo di fallimento personale, accompagnato da un crollo psicologico. Questi individui possono soffrire di disturbi mentali non trattati, come depressione grave o narcisismo patologico, che li porta a vedere la famiglia come un’estensione del proprio fallimento. La disperazione e il senso di impotenza si uniscono a un isolamento emotivo, alimentando l’idea che non ci sia via d’uscita. In alcuni casi, il gesto è motivato da un bisogno estremo di controllo, che si traduce in un atto estremo di possessività e vendetta».

L’uomo dopo aver ucciso la sua famiglia si è tolto la vita…


«Si tratta di un caso di murder-suicide, noto anche come suicidio allargato, rappresenta un fenomeno in cui la madre o il padre, si toglie la vita portando con sé anche i figli. A differenza di altre tipologie di omicidio, qui il figlio non viene percepito come un'entità separata, ma come una parte del sé. Il genitore, in preda a deliri o depressione, decide di mettere fine alla propria vita e porta con sé ciò che considera parte della propria identità, compresi i figli».

Come cambia il profilo psicologico nei casi di infanticidio e figlicidio?

«Le madri che commettono infanticidio sono spesso giovani, con bassa istruzione e senza accesso alle cure prenatali. Questo fenomeno si colloca nel primo anno di vita del bambino, un periodo in cui è più alta la prevalenza di malattie psichiatriche nelle donne. La gravidanza indesiderata, la mancanza di coinvolgimento emotivo con il neonato e la rabbia nei confronti del partner, che viene poi proiettata sul figlio, sono elementi comuni nei casi di figlicidio. In questi casi, il neonato è spesso percepito come una “cosa” o un oggetto esterno, non un individuo, e ciò contribuisce alla decisione di commettere l’omicidio. Al contrario, le madri che commettono figlicidio tendono ad essere più anziane e più inclini a problemi mentali gravi, spesso legati a esperienze traumatiche, abuso di sostanze e relazioni violente».

Cosa ne pensa dei numeri del fenomeno dei figlicidi in Italia?

«Occorre fare una distinzione.Nella comunità scientifica, queste tipologie vengono oggi classificate come neonaticidio, infanticidio e figlicidio. Il neonaticidio è l'omicidio del neonato nelle prime 24 ore di vita, l'infanticidio avviene nel primo anno, mentre il figlicidio è l'omicidio di un minore dopo il primo anno di vita e la loro incidenza varia da da paese a paese. In Italia nonostante i numeri significativi è probabile che i tassi di prevalenza siano sottostimati, a causa del fenomeno del cosiddetto "numero oscuro" (Dark Figure), ovvero crimini non denunciati o non rilevati. Tra le cause di questa sottostima ci sono l'occultamento del crimine, la difficoltà nell'accertare la vera causa della morte e la scarsità di dati disponibili. Il profilo psicologico di un padre che uccide moglie e figli è spesso legato a un senso profondo di fallimento personale, accompagnato da un crollo psicologico. Questi individui possono soffrire di disturbi mentali non trattati, come depressione grave o narcisismo patologico, che li porta a vedere la famiglia come un’estensione del proprio fallimento. La disperazione e il senso di impotenza si uniscono a un isolamento emotivo, alimentando l’idea che non ci sia via d’uscita. In alcuni casi, il gesto è motivato da un bisogno estremo di controllo, che si traduce in un atto estremo di possessività e vendetta»

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Linda Di Benedetto