Gay di tutto il partito, uscite allo scoperto
Franco Grillini attacca gli ex compagni: critica Bersani, troppo timido sui matrimoni omosessuali. Colpa, dice, delle radici comuniste. E di un’omofobia che risale ai tempi di Togliatti
Provate a chiedere al padre nobile dell’Arcigay, Franco Grillini, se finalmente è contento. Per anni ai è battuto per ottenere il riconoscimento delle coppie omosessuali. E ora che il Pd ha finalmente aperto alle coppie gay... «Soccia, se ha aperto!» Ride velenoso. «Bersani si è pure dichiarato a favore della soluzione tedesca, ma, se posso fare una battuta, sarebbe meglio specificare il periodo storico cui si riferisce. Perché in Germania per i gay ci sono stati anche i lager nazisti e i triangoli rosa».
Esagerato. E cattivissimo. Grillini ha 57 anni, Pier Luigi Bersani 61; hanno militato insieme nel Pci, nel Pds, nei Ds; Bersani è ora segretario nazionale del Pd, Grillini la tessera non l’ha mai voluta prendere perché «il Pd è nato sacrificando i diritti dei gay e delle lesbiche». Perciò, oggi che è consigliere dell’Idv alla Regione Emilia-Romagna e responsabile nazionale per i diritti civili del partito di Antonio Di Pietro, trionfa: «Tonino ha firmato la proposta di legge sulle nozze gay. Ha scavalcato a sinistra il Pd, gli imbarazzi di Bersani, l’obbedienza ai diktat del Vaticano, la soluzione tedesca».
Perché la mette giù pesante, Grillini?
Io? È il Pd che è pesantemente insensibile ai diritti degli omosessuali. Prima era la teodem Paola Binetti a dettare legge. Oggi è la presidente del partito, Rosy Bindi, a mettersi di traverso quando l’assemblea nazionale chiede il riconoscimento delle coppie gay. Bersani, trascinato per i capelli, pur di non parlare esplicitamente di nozze si attacca a un nome impronunciabile, Lebenspartnerschaft (unione tra conviventi, ndr). La soluzione tedesca, appunto.
Insomma, il Pd è omofobo?
Lo sono entrambe le chiese da cui è nato, quella cattolica e quella comunista. Pci e Dc condividevano la stessa morale bacchettona. Fino alla fine degli anni Sessanta, se non eri sposato regolarmente, nel Pci non facevi carriera; e questo valeva per le donne come per gli uomini. Un po’ meno per i leader. Infatti Palmiro Togliatti ha potuto lasciare la moglie, Rita Montagnana, e vivere con Nilde Iotti da concubino. Nessuno gli ha mai rimproverato niente.
E gli altri?
Erano tutti tenuti all’osservanza di un codice morale così rigido e puritano che Enrico Berlinguer indicava Santa Maria Goretti come esempio per la gioventù comunista. Il suo cattocomunismo ha prodotto un familismo del tutto identico a quello della Dc.
Cioè?
Visto che i non sposati erano guardati con sospetto, persino i gay erano costretti a mettere su famiglia. Poi esprimevano la propria identità sessuale di notte, in modo furtivo e clandestino. Infatti…
Erano ricattabili: e per questo il partito ne diffidava. O così ha sostenuto sul «Corriere» Diego Novelli, ex sindaco pci di Torino.
Beh, se sei un gay clandestino, sposato, con figli, che ha paura di venire allo scoperto, è chiaro che sei ricattabile. È come dire che l’acqua è bagnata. Paradossalmente erano messi meglio nella vecchia Dc: di Mariano Rumor e di Emilio Colombo, per esempio, Paolo Cirino Pomicino racconta che quando arrivavano ai congressi la gente si dava di gomito: «Arrivano le sorelle Bandiera!».
Nessuno scandalo?
La grande ipocrisia democristiana li copriva, li avvolgeva, li proteggeva. Anche se non si sposavano: si diceva che erano consacrati alla causa, alla politica, al Paese. Erano come preti laici, da ammirare.
Mentre nel Pci?
Eh, bastava una voce, un sospetto, una maldicenza per stroncare una carriera. O per provarci. Leggendaria la vicenda di Pietro Secchia, il vice di Togliatti. Di lui, nel partito, cominciò a girare la chiacchiera che fosse gay. Ma si diceva anche che la voce fosse stata messa in giro da Togliatti, proprio per rovinarlo. Togliatti lo detestava al punto che, quando Secchia interveniva al comitato centrale, lui si metteva ostentatamente a leggere L’Unità. Alla rovescia.
Quando hanno cominciato a cambiare le cose?
Verso la fine degli anni settanata.
Tardi..
Sì, soprattutto se calcoliamo che c’erano già stati il ’68, il femminismo, la contestazione studentesca con le prime rivendicazioni di libertà sessuale. C’erano già gruppi gay organizzati in Francia, in Germania, negli Stati Uniti; e anche da noi, finalmente, soprattutto grazie a Mario Mieli e ad Angelo Pezzana, nel 1972 era nato il Fuori! (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano, ndr). Certi temi cominciavano a essere pubblici. Lotta continua aveva i suoi froci, idem Avanguardia operaia, Il manifesto, il Pdup…
Ora sta divagando.
No no, sto spiegando il contesto. Ricordo l’uscita di Porci con le ali nel settembre 1976 (il best-seller scritto da Marco Lombardo Radice e da Lidia Ravera, ndr): uno shock. Era scandaloso anche solo scrivere in un romanzo che il dirigente del Partito comunista era omosessuale.
L’omosessualità era, ancora nel 1976, un tabù così assoluto?
Già. E i militanti cominciavano a non poterne più. Ricordo la lettera che una coppia di ragazzi di Ravenna spedì a Città futura, il settimanale della Fgci. E un articolo su Rinascita a firma di un certo Enrico, pseudonimo di un giornalista gay dell’Unità. E la lettera di Marisa, una militante lesbica di
Modena. Tutti raccontavano la sofferenza di doversi nascondere sempre. Così, alla fine, i vertici hanno dovuto fare qualche cauta apertura sul tema.
E come?
In modo geniale: in outsourcing. Affidando all’Arci il compito di aprire alle tematiche nuove. L’Arci era un’associazione collaterale del movimento comunista, gestita in condominio da Pci e Psi. All’epoca il presidente era Enrico Menduni, un comunista molto creativo: sotto la sua egida sono nate Arcigola, Legambiente e Arcigay. A mettere in piedi Arcigay chiamò Marco Bisceglia, un prete sospeso a divinis perché promotore, insieme a don Enzo Mazzi, delle comunità di base. E Bisceglia era gay.
Un suo collaboratore, poi, diventerà famoso: Nichi Vendola.
All’epoca, parlo del 1983, Nichi era un semplice iscritto alla Fgci, obiettore di coscienza. Venne a Roma all’Arci, scelse di lavorare con Bisceglia, poi il presidente dell’Arci lo segnalò al segretario della Fgci, Pietro Folena.
Quindi essere gay non lo ha danneggiato?
No. Ma per essere eletto deputato ha dovuto rompere col Pci ed entrare in Rifondazione comunista. So ben io le difficoltà che ho avuto per arrivare alla Camera: ci ho messo 14 anni. Quando Achille Occhetto nel 1987 chiese ai bolognesi di candidarmi in posizione sicura, nel partito ci fu la rivolta:
i bolognesi non volevano saperne di essere rappresentati a Roma da un «busone».
Ma come, Bologna è la città del Cassero, la culla dell’associazionismo gay italiano.
Seee… Torno al 1984, festa delle donne comuniste alla Montagnola; metà dei volontari del Pci rifiutò di lavorarci perché c’era lo stand dei «busoni».
Nessuna solidarietà tra comunisti?
La responsabile delle donne, Anna Maria Carloni, attuale compagna di Antonio Bassolino, tenne duro: senza battere ciglio coprì il tragico passivo che si ritrovò alla fine della festa. Anche Nilde Iotti venne, parlò e più tardi firmò pure una proposta di legge sui matrimoni gay.
Ma i vertici del Pci?
Nella primavera 1985 l’Arcigay fu ufficialmente ricevuta dal segretario, Alessandro Natta. L’incontro durò tre ore. All’uscita ci imbattemmo in Gian Carlo Pajetta. «Cosa fate qui?». «Abbiamo parlato con il segretario». «Ah, bravi». Noi dovevamo fare delle foto, e lui subito si mise in posa al nostro fianco. «Ma voi chi siete?» chiese. «Noi siamo l’Arcigay». Manco il tempo di dirlo che già era scappato. E dentro ai corridoi di Botteghe Oscure muggiva: «Prima le puttane, adesso i froci! Ma dove sta andando ’sto partito?».
E le lesbiche? Non ce n’erano?
Sì, sì. In un certo periodo pressoché l’intero gruppo dirigente femminile del partito era lesbico. La loro lobby era molto forte (e lì sono nate anche delle belle carriere), ma dichiararsi no, non lo faceva nessuna. La prima è stata Paola Concia.
Ora il Pd ha un gay dichiarato, Rosario Crocetta, candidato alla presidenza della Regione Siciliana. Contento?
Mah, uno che dichiara che se vince smetterà di fare sesso mi lascia un po’ perplesso. Come tributo pagato all’alleanza con l’Udc mi pare eccessivo.
A parte Crocetta, però, nel Pd non ci sono gay dichiarati ad alto livello. Come mai?
C’è Ivan Scalfarotto, vicepresidente dell’assemblea nazionale: ma lui era un militante gay ancora prima di entrare nel Pd. Poi ci sono altri gay, e sappiamo che ci sono. Gli altri sono tutte «velate». Proprio come ai tempi del vecchio Pci.