Gialli italiani: lo strano caso di Luca Canfora
Il suo corpo è stato ritrovato nel mare di Capri, ma l’ipotesi di suicidio del costumista di Paolo Sorrentino non convince. Ecco perché.
«C’è solo una cosa di cui sono certo: mio fratello Luca non si è suicidato». Giuseppe Canfora parla con la voce rotta, i suoi grandi occhi scuri che vagheggiano per la stanza affacciata sul golfo di Napoli per - infine - velarsi. Perché nonostante sia passato più di un anno dalla tragedia, non smette di interrogarsi sull’accaduto che definisce «un mistero irrisolto».
Luca Canfora aveva solo 51 anni quel 1° settembre 2023, quando è stato ritrovato senza vita nel mare di Capri, davanti alla Grotta dell’Arsenale. Storico collaboratore di Paolo Sorrentino, ne è stato il costumista in tanti suoi successi, a partire da La grande bellezza, film premiato nel 2013 con l’Oscar. E poi, ancora, Youth, Loro, The Young Pope e The New Pope. Ma ha anche curato i costumi per altri film, come La Passione di Cristo di Mel Gibson, Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee. E Sorrentino l’aveva voluto ancora: era nel team della sua ultima opera, Parthenope.
La pellicola, presentata in anteprima alla scorsa edizione del Festival di Cannes, è uscita nei cinema a fine ottobre, riscuotendo un buon successo. «Ma il vero tragico film» spiega Giuseppe Canfora «è avvenuto durante le riprese». Già, perché - sebbene stranamente se ne sia parlato poco e meno se ne parli adesso, nonostante il clamore dell’opera cinematografica - mentre si girava, a un certo punto succede qualcosa di drammaticamente inaspettato. È il 31 agosto 2023. Alle 7 del mattino parte della squadra, Sorrentino compreso, lascia Napoli - dove le riprese erano iniziate - per andare a Capri. La troupe gira già sul traghetto e poi sull’isola fino alle 17. Si continuerà il giorno dopo: all’alba sono previste riprese al faro e poi, intorno alle 8, ci si vedrà in uno dei luoghi più iconici dell’isola, i Giardini di Augusto, per realizzare una scena che sarà rimasta impressa a molti tra coloro che hanno visto il film: il suicidio di Raimondo, fratello di Parthenope. Ed ecco l’incredibile giallo. In questo continuo, singolare, inquietante rimando tra realtà e sceneggiatura, è proprio qui che - secondo una prima ricostruzione fatta dagli investigatori - Canfora è morto. Già, perché se le telecamere di sorveglianza hanno visto il costumista entrare nei Giardini di buon mattino, non ne hanno registrato l’uscita al termine delle riprese.
Il corpo viene avvistato da alcuni canoisti intorno alle 11,20. Ma nessuno riconosce il corpo, nessuna segnalazione di scomparsa arriva in Questura. Solo il giorno dopo, il 2 settembre, alle 11 del mattino, l’organizzatore generale del film di Sorrentino, Rocco Messere, riferisce alle Forze dell’ordine «di non avere più notizie dal giorno precedente di un proprio collaboratore». A quel punto, ovviamente, il cadavere viene identificato e le indagini avviate. Indagini, però, che sembrano procedere molto a rilento perché, a più di un anno di distanza, nessun fascicolo è stato chiuso o consegnato.
Panorama ha potuto leggere in esclusiva tutti gli atti finora prodotti. E il quadro è piuttosto singolare. Secondo le prime indagini svolte, parrebbe che gli investigatori siano convinti che Canfora si sia suicidato, lanciandosi proprio dai Giardini di Augusto. E ci sarebbe anche la perizia autoptica a consolidare questa tesi. I dubbi e i coni d’ombra, però, sono tanti. Troppi, forse. Non a caso Giuseppe Canfora ha nominato alcuni consulenti - tra cui l’ex generale dei Carabinieri e comandante dei Ris di Parma, Luciano Garofano - che sono convinti che non ci siano prove o indizi che possano far pensare che Luca si sia suicidato. C’è da dire, a riguardo, che vari testimoni che sono stati sentiti, per lo più colleghi di lavoro di Canfora, hanno sottolineato che l’uomo fosse depresso, facesse uso di sostanze stupefacenti e che conducesse una vita al limite per via anche del suo orientamento sessuale. «Nulla di più falso» ribatte però il fratello. «Sul corpo sono stati fatti tutti gli esami tossicologici del caso e tutti hanno dato esito negativo». Insomma, Luca non aveva ingerito né alcol né droghe.
Questa è una vicenda costellata di buchi neri. A iniziare dalla stessa autopsia, aspramente criticata da Giuseppe Canfora e, soprattutto, dai consulenti. Tra questi anche un noto e autorevole medico legale italiano, secondo il quale è inverosimile che il corpo dell’uomo potesse restare intatto lanciandosi dai Giardini di Augusto, a circa 100 metri di altezza rispetto alla superficie del mare. Senza dimenticare che, prima di toccare l’acqua, ci sono scogli impervi contro cui, a più riprese, Canfora avrebbe impattato. Ed è, peraltro, quello che si legge anche in una seconda relazione disposta dalla Procura e stilata da un esperto speleologo dalla quale si evince proprio come qualsiasi corpo fisico si sarebbe o devastato prima di finire in acqua o, molto più probabilmente, avrebbe terminato la sua caduta proprio su uno degli scogli senza continuare a «rimbalzare».
Resta allora la domanda: com’è morto Luca? Anche perché ci sono altre tessere che in questa storia non combaciano. Come per esempio il modo in cui è stato ritrovato in acqua. Pantaloncini abbassati alle caviglie e slip tirati giù fino alle ginocchia, ma pochi segni della caduta sul corpo. Anche in questo caso la domanda sorge spontanea: è possibile precipitare da 100 metri di altezza, arrivare in mare con il corpo intatto al di là di alcuni lividi e del volto tumefatto (anche qui: chi ha visto le foto dice che l’impressione che si ha è che sia stato preso a pugni) e restare con pantaloni e slip abbassati? Difficile dirlo, per quanto sia improbabile.
Ma c’è un ulteriore aspetto della vicenda che non quadra e riguarda il telefonino di Luca: nonostante le tante perlustrazioni effettuate sia in acqua che sugli scogli, non è mai stato ritrovato. Sparito. Eppure, secondo quanto emerso dalle prime indagini effettuate dalla Procura, quel numero sarebbe rimasto attivo fino al 2 settembre, dunque fino al giorno dopo rispetto alla morte effettiva del costumista. Non solo: la localizzazione del telefono prima di spegnersi (o di venire spento) lo ha individuato lontano dalla scogliera e lontano dai Giardini di Augusto. Era in una zona centrale di Capri, via Sant’Aniello: una strada dove alloggiavano tre «runner» del film (sono le persone che rimediano di corsa gli oggetti necessari alle scene, o che hanno altre mansioni di tipo pratico e dinamico). La Procura ha disposto perquisizioni in quelle case ma, secondo quanto risulta a Panorama, non sarebbe stato trovato alcunché di compromettente, men che meno il cellulare. Resta così un interrogativo: come ci è finito lì il telefono? E, soprattutto, che fine ha fatto? Oggi il dubbio dei familiari di Canfora è che qualcuno voglia nascondere le presunte responsabilità: se si esclude il suicidio, allora diventa verosimile che qualcosa possa essere avvenuto all’interno della troupe; o che, quantomeno, qualcuno all’interno di essa sia a conoscenza di elementi che al momento non vuole rivelare.
Ci sono ulteriori dettagli, a riguardo, che appaiono piuttosto singolari. Il capo costumista, Carlo Poggioli, nel corso dei suoi interrogatori avrebbe raccontato di un incontro con Canfora circa un’ora prima di morire. Un incontro, però, che non trova alcun riscontro dai video delle telecamere che a nostra volta abbiamo visionato. Poggioli, infatti, avrebbe raccontato di una lunga chiacchierata su una panchina dopo le riprese al Giardino di Augusto. Come abbiamo già raccontato, però, Canfora non sarebbe mai uscito da lì. Infine, un’osservazione importante da parte dei familiari della vittima: troppe poche persone sarebbero state interrogate dagli investigatori. Parliamo di una troupe di un centinaio di elementi nel complesso, di cui circa una trentina erano a Capri, ma «solo in sei o setti sono stati sentiti dai magistrati. Perché, per esempio, non è mai stato convocato lo stesso Paolo Sorrentino?» si chiede ancora Giuseppe. Domande che al momento restano senza risposta. Come senza risposta rimane la morte di Luca Canfora.