Napolitano tra due fuochi
Da una parte le accuse del Pdl, dall'altra quelle del Pd. In mezzo il paese (e la sua voglia di monetine)
L’assalto giudiziario dei giudici di Palermo al Colle, arriva proprio nel momento in cui Giorgio Napolitano è stretto tra due fuochi: da un lato il gelo di Silvio Berlusconi e di una parte significativa del Pdl rappresentata dal coordinatore Sandro Bondi (un ex comunista migliorista come il capo dello Stato) che rimprovera al presidente la mancata pacificazione, visto il trattamento al quale è sottoposto il Cavaliere; dall’altro il Pd che, al contrario, nei conversari privati rimprovera a Napolitano di essere stato troppo morbido con il Cav e di non essere in sostanza un giustizialista, come la sua base (si vedrà alle elezioni in cosa consiste questa mitica base) vorrebbe.
Napolitano è stretto tra questi due fuochi. Un po’ come lo fu tra il Pci di Enrico Berlinguer, il cui portavoce Antonio Tatò definiva Bettino Craxi «un gangster, un avventuriero» e il Psi dello stesso Craxi, di cui Napolitano era amico. Quel Psi che incalzava per fare «L’unità socialista». Napolitano propendeva, si sa, per la seconda soluzione, cosa che lo espose, insieme ai miglioristi, all’accusa offensiva di essere «un servo di Bettino».
Stare in mezzo a due fuochi, si dirà, è il suo destino. Ma forse Bondi, nella sua cocente accusa «Non si capisce più quale ruolo abbia il Quirinale», una ragione la ha. E cioè che il Pd, i Cinquestelle e affini, non possono uccidere politicamente così un tre volte presidente del Consiglio.
Così, con un ruolino di marcia tipo quello della «ghigliottina» della decadenza al Senato, senza consentire a Berlusconi neppure il diritto di rivolgersi alla Consulta per verificare la costituzionalità della applicazione retroattiva della legge Severino. Non si può uccidere politicamente così un tre volte presidente del Consiglio, che ha presieduto un G7 e un G8, non si può restare silenti di fronte a trasmissioni televisive, come quella andata in onda giovedì 17 ottobre a Servizio pubblico di Michele Santoro, dove chiunque o la chiunque può impunemente gettare fango sull’ex premier, tanto più alla soglia del «carcere» dei servizi sociali.
L’Italia è un paese dall’eterna voglia delle monetine. Una volta il bersaglio era Craxi, ora è Berlusconi. Primi mininistri che hanno rappresentato l’Italia nel mondo.
A Berlusconi, ma a ben ricordare neppure a Craxi, fu mai riconosciuto nei fatti dalla sinistra comunista e post-comunista quel ruolo istituzionale che hanno occupato. Berlusconi, a differenza dell’ex premier e leader socialista, non è neppure un figlio di partito. Ma per sua stessa ammissione «l’estraneo» che però per vent’anni ha riempito e continua a riempire il vuoto dell’Italia moderata e riformista che il Pd non è mai riuscito a colmare. Berlusconi è così odiato da questa sinistra proprio perché è l’immagine vivente del suo fallimento, visto che l’ha sempre battuta.
La mancata trasformazione del Pci-Pds-Ds ora Pd in un vero partito socialista è storia che Napolitano ben conosce. E della quale lui stesso, restando a metà del guado, rischia di diventare a sua volta un’immagine, con tutto il rispetto per la sua alta funzione e per i coraggiosi strappi finora fatti rispetto alla linea giustizialista, pur nel pieno rispetto dell’autonomia e del ruolo della magistratura. Certo, Bondi e con lui molti dei dieci milioni di elettori di Berlusconi proprio per questo ora si aspetterebbero che Napolitano dica: non si uccidono politicamente così gli ex presidenti del Consiglio. Ancora peraltro «leader incontrastao» come Berlusconi di quell’Italia che non si riconosce nel conservatorismo catto-comunista, men che meno nelle metamorfosi renziane.
Altrimenti il rischio eterno è quello di restare sempre tra due fuochi. E di non aver posto il sigillo a quella pacificazione o comunque legittimazione reciproca che Napolitano aveva invocato nel suo discorso di investitura per il secondo mandato in Parlamento. Bello e solenne. Quel giorno sì, Re Giorgio aveva davvero unito tutti.